Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 6 novembre 2017, n. 26300. Non è compromettibile in arbitri, la controversia avente come oggetto l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di una società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione

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2.1. Il ricorso, ad onta dell’inammissibilita’ infondatamente eccepita ex adverso – esso soggiace pacificamente ratione temporis al disposto dell’articolo 819-ter cod. proc. civ. e la sua ammissibilita’ non soffre piu’ smentite da quando questa Corte ha chiarito che l’attivita’ degli arbitri “ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicche’ lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza” (Cass., Sez. U, 25/10/2013, n. 24153) – e’ tuttavia privo di fondatezza e va percio’ respinto.
2.2. Infondato, per vero, deve giudicarsi il primo motivo di ricorso. Con esso gli istanti ribadiscono la tesi della facoltativita’ della cognizione arbitrale sulla base di un duplice argomento. La previsione di cui al citato articolo 41, comma 3, statuto sociale, in guisa della quale sono devolute in arbitrato le controversie promosse da e contro amministratori, liquidatori e sindaci deve essere infatti letta in uno con la previsione di cui al comma 1 che rende l’arbitrato appunto facoltativo per le controversie tra soci e tra i soci e la societa’. Inoltre, il raffronto tra il primo ed il terzo comma porta a ritenere che la clausola sia formulata in maniera poco chiara e contraddittoria, sicche’, come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, in caso di dubbio deve preferirsi un’interpretazione restrittiva intesa a riaffermare il primato della giurisdizione statuale.
2.3. In chiosa ad esso va infatti diversamente osservato, sulla premessa che l’indagine in ordine alla portata di una clausola compromissoria, esperibile dalla Corte in questa sede in quanto giudice del fatto sostanziale (Cass., Sez. 6-1, 30/09/2015, n. 19456), va condotta alla stregua degli ordinari canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 e segg. cod. civ. (Cass., Sez. 1, 21/11/2013, n. 26135), che la tesi seguita dai ricorrenti e’ smentita prioritariamente dal tenore letterale delle previsioni messe a confronto, che adottano forme verbali non consonanti e percio’ non sono sovrapponibili, atteso che, mentre il modo ottativo utilizzato nel primo comma, per mezzo del predicato “puo'”, legittima la indubbia facoltativita’ della devoluzione al giudizio arbitrale delle controversie genericamente endosocietarie afferenti al rapporto di societa’, il predicato “sono rimesse”, che figura in principio del comma 3, rende invece ineludibile la competenza degli arbitri in relazione alle controversie riguardanti amministratori, liquidatori e sindaci.
2.4. Eppur vero, pero’ che la giurisprudenza di questa Corte, avvertita da tempo della fallacia che circonda talora il criterio dell’interpretazione letterale, pur non ricusandone l’impiego quando la comune intenzione delle parti sia chiara e non si renda necessario procedere ad altri approfondimenti (Cass. Sez. 3, 9/12/2014, n. 25840), raccomanda tuttavia di non intenderne il carattere prioritario in senso assoluto (Cass., Sez. 1, 28/06/2017, n. 16181), giacche’ il richiamo, per il tramite dell’articolo 1362 cod. civ. alla comune intenzione delle parti, impone di ponderare l’elemento letterale, pur sempre centrale nella ricerca della reale volonta’ di esse, alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici in grado di chiarire la ragione pratica della previsione (Cass., Sez. 3, 22/11/2016, n. 23701) e di estendere percio’ l’indagine anche alla valutazione di tutti gli elementi di ordine logico, teleologico e sistematico che si rendono utile a questo fine (Cass., Sez. 4, 1/12/2016, n. 24560).
2.5. Senonche’ anche a spingersi in questa direzione l’esegesi, cui conduce primo ictu oculi l’argomento letterale,, esce decisamente rafforzata.
Intanto i non si potrebbe trascurare, nel ricostruire la comune intenzione delle parti e, dunque, la ratio della previsione statutaria, il dato sistematico nascente dal raffronto della previsione in parola con quello che a buona ragione puo’ reputarsene l’archetipo normativo, ovvero con il Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, articolo 34 dei cui commi 1 e 4, l’articolo 41 dello statuto sociale della (OMISSIS) riproduce il contenuto, ancorche’, tuttavia, con una significativa variante poiche’, mentre le norme richiamate si esprimono entrambe in forma ottativa (“gli atti costitutivi delle societa’, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis c.c., possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la societa’ che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, recita il comma 1; “gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, e’ vincolante per costoro”, dice il comma 4), la riproduzione di esse nello statuto, mentre conferma la medesima forma verbale per la prima, con riguardo alla seconda – e non senza significato sotto il profilo che ne occupa – muta la forma verbale impiegata dalla legge in quella piu’ vincolante del tempo presente.
Non meno significativo e’ sotto un profilo teleologico il fatto che l’uso di forme verbali alternative, attesa la naturale pregnanza giuridica dell’atto che le adotta, non puo’ essere imputato solo al caso, tanto da poter essere facilmente accantonato sul terreno interpretativo, ma e’ piuttosto rappresentativo, di fronte alla considerazione che altrimenti non vi sarebbe stata ragione di adottare una forma verbale diversa, della precisa volonta’ degli stipulanti di differenziare il regime di arbitrabilita’ delle controversie endosocietarie, distinguendo quelle tra i soci e dei soci e della societa’ relative al rapporto sociale, per le quali l’investitura degli arbitri e’ solo facoltativa, da quelle in cui siano coinvolti amministratori, liquidatori e sindaci, puramente e semplicemente sottratte alla cognizione ordinaria.
Il che porta a sottolineare la conferenza nella direzione tracciata anche di un argomento logico, dal momento che nel panorama delle controversie che hanno fonte interna alla societa’ quelle che coinvolgono gli organi sociali – e segnatamente amministratori, liquidatori e sindaci – identificano un contenzioso che per soggetti, contenuti e finalita’ si differenzia nettamente dal comune contenzioso endosocietario, sicche’ ogni assimilazione, cui condurrebbe la pretesa di rendere omogenei il primo ed il comma 3 della norma in esame, gia’ smentita da piu’ lati, va esclusa anche sotto questo profilo.

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