La nozione di negozio contrario al buon costume comprende (oltre ai negozi che infrangono le regole del pudore sessuale e della decenza) anche i negozi che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente, e per altro verso che sono irripetibili, ai sensi dell’articolo 2035 c.c.

Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 3 aprile 2018, n. 8169.

La nozione di negozio contrario al buon costume comprende (oltre ai negozi che infrangono le regole del pudore sessuale e della decenza) anche i negozi che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente, e per altro verso che sono irripetibili, ai sensi dell’articolo 2035 c.c., i soli esborsi fatti per uno scopo contrario al buon costume, ma non pure le prestazioni fatte in esecuzione di un negozio illegale per contrarieta’ a norme imperative.

Chi ha versato una somma di denaro per una finalita’ truffaldina o corruttiva non e’ ammesso a ripetere la prestazione, perche’ tali finalita’, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume

La contemporanea violazione, da parte di una medesima prestazione, tanto dell’ordine pubblico quanto del buon costume, attingendo ad un livello di maggiore gravita’, deve ricevere il trattamento previsto per la prestazione che sia soltanto lesiva del buon costume.

Ne consegue che il pagamento oggetto del giudizio odierno non poteva, come ha sostenuto la Corte d’appello, essere inquadrato nell’ipotesi dell’indebito oggettivo, bensi’ imponeva l’applicazione dell’articolo 2035 c.c., secondo il noto brocardo romanistico per cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.che chi ha versato una somma di denaro per una finalita’ truffaldina o corruttiva non e’ ammesso a ripetere la prestazione, perche’ tali finalita’, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume

Ordinanza 3 aprile 2018, n. 8169
Data udienza 30 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27953/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2125/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 30/01/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS), davanti al Tribunale di Torre Annunziata, chiedendo che fosse condannato al pagamento della somma di Euro 20.650,84 asseritamente da lui versata a titolo di compenso per la promessa di un posto di lavoro per la figlia (OMISSIS) presso il (OMISSIS), ove il convenuto aveva sostenuto di avere alcune conoscenze. A sostegno della domanda, l’attore espose che l’assunzione non era avvenuta e che egli aveva sporto denunzia per i reati di truffa e millantato credito, dai quali il (OMISSIS) era stato prosciolto per intervenuta prescrizione.
Si costitui’ in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigetto’ la domanda per mancanza di prova e compenso’ le spese di giudizio.
2. La pronuncia e’ stata impugnata in via principale dall’attore soccombente e in via incidentale dal convenuto (in punto di spese) e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 24 maggio 2016, ha accolto il gravame principale e, in riforma della decisione del Tribunale, ha condannato l’appellato al pagamento della somma suindicata, con gli interessi ed il carico delle spese dei due gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che nella specie non doveva trovare applicazione la soluti retentio di cui all’articolo 2035 c.c., bensi’ la disciplina dell’indebito oggettivo, poiche’ il versamento di denaro era avvenuto in violazione anche di norme imperative e non solo del buon costume.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso (OMISSIS) con affidato a due motivi.
Resiste (OMISSIS) con controricorso.
Il ricorso e’ stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli articoli 375, 376 e 380-bis c.p.c., ed entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’articolo 2035 c.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo oggetto di contestazione tra le parti.
Osserva il ricorrente che il pagamento da lui ricevuto non avrebbe dovuto essere considerato ripetibile, trovando applicazione nella specie la regola di cui all’articolo 2035 c.c. e la conseguente soluti retentio.
1.1. Il motivo e’ fondato.
Questa Corte ha in passato gia’ affermato che la nozione di negozio contrario al buon costume comprende (oltre ai negozi che infrangono le regole del pudore sessuale e della decenza) anche i negozi che urtano contro i principi e le esigenze etiche della coscienza collettiva, elevata a livello di morale sociale, in un determinato momento ed ambiente, e per altro verso che sono irripetibili, ai sensi dell’articolo 2035 c.c., i soli esborsi fatti per uno scopo contrario al buon costume, ma non pure le prestazioni fatte in esecuzione di un negozio illegale per contrarieta’ a norme imperative (sentenza 18 giugno 1987, n. 5371, in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite, sentenza 17 luglio 1981, n. 4414).
Piu’ di recente, questa Corte ha precisato – in una fattispecie diversa, ma tuttavia assimilabile a quella odierna – che chi ha versato una somma di denaro per una finalita’ truffaldina o corruttiva non e’ ammesso a ripetere la prestazione, perche’ tali finalita’, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume (sentenza 21 aprile 2010, n. 9441).
La sentenza 17 settembre 2010, n. 35352, della Seconda Sezione Penale di questa Corte, invece, ha stabilito che la natura illecita del patto intercorso con la vittima di una truffa non impedisce la condanna dell’imputato alla restituzione della somma di denaro versatagli dalla vittima, perche’ solo la prestazione contraria al buon costume sarebbe assoggettata alla soluti retentio, mentre l’illiceita’ della causa del contratto per contrarieta’ all’ordine pubblico determinerebbe l’applicazione della disciplina dell’indebito oggettivo.
1.2. Ritiene il Collegio che, diversamente da quanto attestato dalla citata sentenza penale, vadano confermati gli approdi ai quali e’ gia’ pervenuta la giurisprudenza civile di questa Corte.
Nel caso in esame, la fattispecie descritta dalla Corte di merito -consegna di una somma di denaro ai fini di un interessamento (vero o presunto) per l’ottenimento di un posto di lavoro – mentre configura certamente un negozio contrario a norme imperative, e quindi illecito, integra anche gli estremi del negozio contra bonos mores, posto che e’ contrario al concetto di buon costume comunemente accettato il comportamento di chi paghi del denaro per ottenere in cambio un posto di lavoro (e cio’ a prescindere dall’esito, magari anche negativo, della trattativa immorale). Di tanto ha dato atto la Corte napoletana la quale, pero’, e’ pervenuta alla non condivisibile conclusione secondo cui se la condotta, oltre ad essere immorale, e’ anche illecita per contrarieta’ all’ordine pubblico, non si applicherebbe il regime dell’articolo 2035 c.c.. Va invece ribadito che la contemporanea violazione, da parte di una medesima prestazione, tanto dell’ordine pubblico quanto del buon costume, attingendo ad un livello di maggiore gravita’, deve ricevere il trattamento previsto per la prestazione che sia soltanto lesiva del buon costume. Ne consegue che il pagamento oggetto del giudizio odierno non poteva, come ha sostenuto la Corte d’appello, essere inquadrato nell’ipotesi dell’indebito oggettivo, bensi’ imponeva l’applicazione dell’articolo 2035 c.c., secondo il noto brocardo romanistico per cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.
2. Il secondo motivo di ricorso rimane assorbito.
3. Il ricorso, pertanto, e’ accolto e la sentenza impugnata e’ cassata.
Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, con rigetto della domanda proposta da (OMISSIS). La natura della causa ed il comportamento, sicuramente da censurare, tenuto anche dall’odierno ricorrente impongono la compensazione integrale delle spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da (OMISSIS).
Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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