Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 16 marzo 2018, n. 6666. L’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale per cui l’impugnazione del lodo è soggetta alla disciplina e ai principi che regolano il giudizio di appello, in quanto compatibili.

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Quanto alla memoria illustrativa, vi viene invocato il principio formulato da Cass., Sez. Un., 6 settembre 2010, n. 19051, che pero’ e’ stato riconsiderato, sulla scia di alcuni precedenti, dalla gia’ citata Cass., Sez. Un., 21 marzo 2017, n. 7155, ben nota, giacche’ resa dalle Sezioni Unite su questione di massima di particolare importanza, oggetto di contrasto, la quale ha stabilito che la violazione dell’articolo 360 bis c.p.c.. determina inammissibilita’, anche del singolo motivo, e non manifesta infondatezza.

Per il resto, l’affermazione contenuta in memoria, secondo cui la natura giurisdizionale dell’arbitrato sarebbe stata ribaltata in epoca successiva alla pronuncia di Cass. 18 giugno 2014, n. 13898 e’ totalmente destituita del benche’ minimo fondamento, come emerge dalla semplice trascrizione, senza pretesa alcuna di completezza, delle assortite massime che seguono:

Cass. 26 maggio 2014, n. 11634: In tema di arbitrato, anche prima dell’introduzione dell’articolo 824 bis c.p.c. da parte del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, gli effetti tra le parti del lodo arbitrale rituale erano equiparabili a quelli della sentenza, avendo l’attivita’ degli arbitri natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario. Ne consegue che degli effetti favorevoli al condebitore del lodo reso tra il creditore ed uno dei condebitori solidali prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 40 del 2006 puo’ giovarsi altro condebitore solidale che non sia stato parte del giudizio arbitrale, applicandosi pure al lodo non impugnabile l’effetto espansivo della sentenza previsto dall’articolo 1306 c.c., comma 2. Cass. 13 agosto 2014, n. 17908: inammissibile l’appello avverso la decisione del tribunale declinatoria della propria competenza a favore degli arbitri rituali, poiche’ l’attivita’ di questi ultimi ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicche’ la relativa questione puo’ essere fatta valere solo con regolamento di competenza.

Cass. 7 aprile 2015, n. 6909: In tema di interpretazione del patto compromissorio, anche con riferimento alla disciplina applicabile prima della introduzione dell’articolo 808 ter c.p.c. ad opera del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, il dubbio sull’interpretazione dell’effettiva volonta’ dei contraenti va risolto nel senso della ritualita’ dell’arbitrato, tenuto conto della natura eccezionale della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria.

Cass. 12 novembre 2015, n. 23176 anche prima delle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, deve ritenersi che l’attivita’ degli arbitri rituali abbia natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicche’ lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza. Ne consegue che la mancata impugnazione della declinatoria di competenza del giudice ordinario ed il conseguente giudicato formatosi sulla competenza degli arbitri preclude ogni discussione non solo sull’atto che ne sta alla base (la clausola compromissoria), ma anche sulla pronuncia arbitrale che ne costituisce lo sviluppo, ove non impugnata per ragioni ulteriori e diverse da quelle riguardanti la competenza.

Cass. 25 ottobre 2016, n. 21523: In tema di arbitrato rituale, l’articolo 819-ter c.p.c., introdotto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 22 il quale prevede l’impugnabilita’ con il solo regolamento di competenza delle pronunce affermative o negative della competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato, si applica a tutte le sentenze pronunciate dopo l’entrata in vigore della citata disposizione (2 marzo 2006), a prescindere dalla data di instaurazione del relativo processo. La soluzione interpretativa si impone in ragione della riconosciuta natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale ed in applicazione del principio tempus regit actum, per il quale, in assenza di diversa disposizione transitoria, il regime di impugnabilita’ dei provvedimenti va desunto dalla disciplina vigente quando essi sono venuti a giuridica esistenza. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile l’impugnazione proposta avverso la sentenza di merito che aveva dichiarato improponibile la domanda, dovendo tale pronuncia essere rettamente intesa quale sentenza declinatoria della competenza in favore degli arbitri e, dunque, impugnabile soltanto con il regolamento necessario di competenza).

Ne’ puo’ ricostruirsi, come si sostiene contro l’evidenza nella memoria illustrativa, l’esistenza di un diverso orientamento a partire da Cass. 30 ottobre 2014, n. 23074, non a caso neppure massimata dal competente ufficio, giacche’ essa, lungi dall’adottare una posizione critica rispetto a quella della notissima citata decisione delle Sezioni Unite poc’anzi richiamata (decisione che Cass. 30 ottobre 2014, n. 23074 neppure cita, come non cita Cass. 18 giugno 2014, n. 13898, il che rende sorprendente l’assunto di parte ricorrente), si cimenta con un problema totalmente diverso, quale quello della distinzione tra arbitrato rituale e irrituale, adottando una formula tralaticia priva di ogni rilievo nomofilattico.

8.2. E’ poi manifestamente infondato il secondo motivo.

Ed infatti, affinche’ un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinche’ si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del progresso indirizzo, tale, cioe’, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte Cass. 11 marzo 2013, n. 5962).

Nel caso di specie, discorrere di imprevedibilita’ del mutamento giurisprudenziale (che peraltro neppure riguarda una regola del processo) in ordine alla natura dell’arbitrato, di cui e’ diretta conseguenza il principio che vuole applicabili all’impugnazione per nullita’ le regole dell’appello, ovviamente nei limiti della compatibilita’, e’ del tutto fuor di luogo, dal momento che:

a) la natura “privata” dell’arbitrato e’ stata avversata da larga parte della dottrina anche nel circoscritto arco temporale in cui la giurisprudenza di questa Corte vi ha prestato adesione, sicche’ su detta ricostruzione non si e’ mai formato un generale consenso tale da giustificare l’affidamento degli operatori del diritto;

b) il ritorno alla tesi della natura giurisdizionale dell’arbitrato e’ diretta ed ineluttabile conseguenza della riforma di cui al Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ed in particolare dell’articolo 824 bis c.p.c., il quale, stabilendo che il lodo ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorita’ giudiziaria implica che il procedimento che conduce alla pronuncia del lodo abbia natura assimilabile a quella giurisdizionale;

c) del resto gia’ la Consulta aveva ammesso gli arbitri a sollevare la questione di legittimita’ costituzionale (Corte cost., n. 376/2001), qualificando l’arbitrato come “procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicaione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai lini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialita’ tipiche della giurisdizione civile ordinaria”.

La memoria illustrativa non contiene argomenti ulteriori meritevoli di replica.

9. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 7.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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