Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 12 ottobre 2017, n. 46996. L’ambito di applicazione del disposto dell’art. 299 bis cod. proc. pen.

L’ambito di applicazione del disposto dell’art. 299 bis cod. proc. pen. (e in particolare l’estensione dell’onere di avviso alle persone offese di reati commessi con violenza alla persona) rispetto ai reati contro il patrimonio.

Corte di Cassazione

sez. II Penale

sentenza 8 giugno – 12 ottobre 2017, n. 46996
Presidente Diotallevi – Relatore Tutinelli

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento in questa sede impugnato, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’appello cautelare, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Sciacca e in riforma della ordinanza del GIP presso il Tribunale di Sciacca del 20 dicembre 2016, ha ripristinato nei confronti dell’imputato ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere in quanto l’istanza non era stata preceduta dalla notifica alle persone offese.
La contestazione riguardava il reato di rapina.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, articolando i seguenti motivi.
2.1. Violazione o erronea applicazione dell’articolo 299 comma 2 bis e comma 3 cod. proc. pen. nonché illogica e contraddittoria motivazione in ordine al dichiarato motivo di inammissibilità. Afferma ricorrente che nessuna notifica doveva essere fatta dell’istanza di sostituzione della misura posto che le persone offesa (legali rappresentanti delle due banche) non erano presenti al momento della rapina.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
2. Nel caso che occupa, questa Corte è chiamata a valutare l’ambito di applicazione del disposto dell’art. 299 bis cod. proc. pen. (e in particolare l’estensione dell’onere di avviso alle persone offese di reati commessi con violenza alla persona) rispetto ai reati contro il patrimonio.
Tale norma risulta essere stata frutto di specifica modifica introdotta in sede di conversione di decreto legge finalizzato – tra l’altro – al contrasto delle violenze di genere.
Nello specifico, come già evidenziato da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 43353 del 14/10/2015 Rv. 265094) la situazione precedente alla legge di conversione può essere riassunta nei seguenti termini.
2.1. In caso di richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (artt. 282-bis e 282-tercod. proc. pen.), si era stabilito vi fosse un obbligo di notifica all’offeso o al suo difensore; parimenti, i provvedimenti disposti ai sensi dell’art. 299 commi 1 e 2 cod. proc. pen., si sarebbero dovuti immediatamente comunicare al difensore della persona offesa o, in sua mancanza, all’offeso e ai servizi socio-assistenziali del territorio.
2.2. Si criticava, tuttavia, tale previsione laddove limitava l’obbligo comunicativo alle sole vicende evolutive (ex art. 299 cod. proc. pen.) delle cautele richiamate sulla scorta del fatto che una altrettale attenzione alla vittima si sarebbe dovuta prestare tanto in occasione della declaratoria di estinzione della misura o di decorrenza dei termini della sua esecuzione, quanto sul versante tipologico delle cautele, stante l’assenza di qualsivoglia informazione relativa al divieto e all’obbligo di dimora, agli arresti domiciliari, alla custodia carceraria e alla custodia cautelare in luogo di cura. Fra l’altro, quegli originari incombenti di notifica avevano un mero effetto informativo, non essendosi previsto un momento di reale coinvolgimento dell’offeso nella dinamica cautelare.
3. La legge di conversione, n.119 del 2013 ha modificato il dettato introdotto col precedente decreto legge ridisegnando ruolo e rilevanza della persona offesa.
3.1 In particolare le integrazioni apportate al disposto dell’art. 299 cod. proc. pen. impongono alla parte indagata o imputata di delitti commessi con violenza alla persona che richiede la modifica dello stato cautelare l’onere di notificare la richiesta al difensore della persona offesa e, in mancanza di questo, alla persona offesa., a pena di inammissibilità dell’istanza La persona offesa potrà depositare memorie. Sussiste poi l’onere a carico della polizia giudiziaria di comunicazione alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali dei conseguenti provvedimenti estintivi o modificativi delle misure cautelari emessi dal giudice (art. 299, comma 2 bis cod. proc. pen.).
2.3 Si è determinata così una rafforzata rilevanza della parte offesa in genere e in particolare una particolare tutela della vittima dei reati con violenza alla persona, sia in termini di onere di informazione in caso di richiesta di modificazioni della misura a carico dell’indagato, sia in termini di legittimazione al deposito di memorie ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen. al fine di offrire all’autorità giudiziaria procedente ulteriori elementi di valutazione pertinenti all’oggetto della richiesta. La finalità di tutela rafforzata alla persona offesa è poi esplicitata ulteriormente dall’onere di successiva informazione alla vittima stessa e ai servizi socio assistenziali dei provvedimenti di modifica della misura cautelare in atto.
3. A fronte della riformulazione della norma contenuta nella legge di conversione, deve preliminarmente determinarsi cosa si intenda per “procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona” in quanto parametro normativo per identificare l’area del coinvolgimento della vittima nell’evoluzione delle misure cautelari applicate alla persona accusata.
4. La peculiarità di tale previsione è che l’onere di avviso condiziona la procedibilità dell’istanza de libertate e quindi – di fatto – l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato e l’interesse di questi a non vedere ingiustificatamente negato o sospeso l’esame della propria istanza, soprattutto se in ambito de libertate. Tale situazione implica il contemperamento di due ordini di beni tutelati e costituzionalmente rilevanti: da una parte i diritti – di libertà e difesa – dell’imputato; dall’altra i diritti – di tutela della vita privata, dell’incolumità personale e di esercizio delle proprie facoltà – della persona offesa dal reato.
5. In tale contesto, occorre domandarsi se il riferimento al novero dei delitti commessi con violenza alla persona debba intendersi onnicomprensivo ovvero se la palese limitazione del diritto alla difesa necessiti di una concreta giustificazione razionale e, in tal caso, in che modo e sulla scorta di quali principi debba ritenersi che l’ambito di applicazione della norma debba intendersi implicitamente limitato.
Per fornire una risposta a tale quesito occorre verificare se nell’ordinamento sussistano principi o norme interpretative che possano definire o qualificare i delitti che riservano alla parte offesa il diritto a una partecipazione e a una tutela qualificata.
6. In tale ottica, deve tenersi conto del fatto che la novella legislativa de qua si pone nell’alveo dei principi e delle scelte di politica legislativa espresse dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 (recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) e dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (maggio 2011), ratificata dall’Italia con L. n. 77 del 27.6.2013, fornendo attuazione alle medesime.
6.1 In particolare, la direttiva costituisce un atto programmatico assunto dagli organismi Europei che, nel rivedere ed integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI, impegna gli Stati membri dell’Unione a “realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali”, assicurando alle vittime dei reati il diritto a ricevere “informazioni dettagliate”, al fine di “prendere decisioni consapevoli in merito alla loro partecipazione al procedimento”, informazioni anche “relative allo stato del procedimento”.
6.2 Essa già contiene in premessa il richiamo a precedenti interventi aventi la specifica finalità di contrastare i reati di violenza “di genere” ovvero di tutelare vari ambiti di soggetti deboli, come risulta esplicitato dal riferimento alla risoluzione del 26 novembre 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne, alla risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell’UE in materia di lotta alla violenza contro le donne, alla Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW) adottata il 18 dicembre 1979, alle raccomandazioni e decisioni del comitato CEDAW e alla convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata il 7 aprile 2011, alla direttiva 2011/36/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011 concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, alla direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, alla decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo.

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