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Il giudice di merito ha altresì dato rilievo alle dichiarazioni rese dall’assistente sociale Ne. , la quale ha dichiarato che nell’ottobre 1999 la P. aveva risposto correttamente alle domande riguardanti la sua vita e quotidianità, risultando invece volutamente evasiva su temi che non intendeva affrontare, traendo da tali dichiarazioni, con valutazione di merito coerente ed adeguata, la conclusione di una – sicura consapevolezza in capo alla de cuius della propria condizione economica e della permanenza di capacità e volontà di autodeterminazione.
Non appare dunque ravvisabile né la dedotta violazione degli artt. 591 e 2697 c.c.(primo motivo), in relazione alla nozione di incapacità naturale quale desumibile dall’art. 591 comma 1 n. 3) c.c., ed alla corretta attribuzione a colui che impugna la scheda testamentaria del relativo onere della prova, né la dedotta carenza motivazionale (quinto motivo) posto che la Corte ha fondato la sua statuizione sulla complessiva valutazione degli elementi istruttori, con apprezzamento di merito logico ed adeguato, ed in quanto tale non censurabile nel presente giudizio.
Passando alle altre censure, deve senz’altro rilevarsi l’inammissibilità dei motivi (secondo e terzo) con cui si denuncia la violazione degli artt. 115 e 116, nonché 210 e 213 cpc, in relazione al vizio di violazione di legge ex art. 360 n. 3) cpc.
Ed invero, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. Civ. Sez. I sent del 20/09/2013 n. 21603).
Nel caso di specie, peraltro, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato la decisione di non espletare una consulenza tecnica d’ufficio, ritenendo che una consulenza medica unicamente fondata sull’esame degli atti, a distanza di diversi anni dalla data di redazione del testamento e dello stesso decesso della testatrice, non potesse fornire risultati con apprezzabile grado di attendibilità.
Risulta adeguatamente motivato il rigetto di ammettere le prove orali per la loro genericità e difetto di decisività, in quanto dirette a confermare, oltre alla circostanza, non rilevante nel presente giudizio, della fiducia riposta nel fratello Carlo, ciò che non è controverso, vale a dire, la necessità di assistenza della de cuius, circostanza peraltro inidonea a provare uno stato di incapacità della stessa.
Del pari infondata la censura al provvedimento di rigetto dell’istanza di rimessione in termini ex art. 184 bis cpc per l’acquisizione di ulteriore documentazione, atteso che, come evidenziato nella sentenza impugnata, di trattava di documenti già esistenti al maturare delle preclusioni istruttorie e che comunque avrebbero potuto essere acquisiti da chi vi aveva interesse.
La Corte ha dunque correttamente fondato la propria valutazione sulla documentazione medica ritualmente acquisita, in forza della quale, solo con il certificato medico del 20/6/2001 si attesta nella de cuius la presenza di Parkinson e di un quadro involutivo cerebrale grave, mentre l’accertamento della invalidità ha data ancora successiva.
Risulta del pari infondata (quinto motivo) la censura di omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento dell’autenticità e di provenienza della certificazione medica del dott. N. sulle condizioni di salute della de cuius.
La Corte territoriale ha infatti evidenziato che la parte che tale certificazione contestava non aveva proposto querela di falso, né istanza di verificazione, onde non risultava contestata la provenienza del certificato dal pubblico ufficiale, né gli altri atti che questi attestava essere avvenuti in sua presenza (ex multis Cass. 18868/15).
Il giudice di appello ha peraltro affermato il difetto di decisività di tale certificazione, che è stata, in ogni caso, specificamente presa in esame e valutata dal giudice.
Ed invero, premesso che l’efficacia privilegiata che l’art. 2700 c.c.c assegna all’atto pubblico non si estende all’intrinseca veridicità delle dichiarazioni in esso contenute, né tanto meno i certificati medici possono fare prova in ordine ai giudizi valutativi che il sanitario ha in quell’occasione espresso (Cass. 6045/2000), la Corte territoriale, con valutazione di merito adeguata, ha ritenuto che le patologie descritte nella certificazione del dott. N. non fossero idonee a provare l’incapacità di intendere e di volere della de cuius e dunque non potessero, neppure indirettamente, rilevare ai fini della prova dell’incapacità naturale alla data (successiva) di redazione del testamento olografo.
Con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cpc, nonché l’omessa e contraddittoria motivazione, sia in relazione alla disposta condanna integrale dell’odierno ricorrente al pagamento delle spese di ambedue i gradi, sia avuto riguardo all’ammontare liquidato.
Pure tale motivo è infondato.
Quanto alla statuizione di condanna, la stessa costituisce corretta applicazione del principio della soccombenza di cui all’art. 91 cpc, atteso che la domanda dell’odierno ricorrente è stata integralmente rigettata e nessun particolare onere motivazionale, a differenza dell’ipotesi in cui fosse stata disposta la compensazione delle spese, faceva carico al giudice di merito (ex multis Cass. n. 2730/2012).
Avuto riguardo all’ammontare delle spese, risulta corretta l’applicazione dello scaglione di valore indeterminabile, ferma la valutazione discrezionale del giudice di merito, nell’ambito dello scaglione correttamente individuato, del “quantum” in relazione alla natura e concrete modalità di svolgimento della causa.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi, Euro 2700,00 cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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