Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 28 settembre 2017, n. 22711. La violazione della cosa giudicata ed efficacia del giudicato esterno

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2.3- Nella specie l’interpretazione del giudicato e’ congruamente motivata con riferimento al tenore complessivo della clausola annullata – pretermesso nell’esposizione del motivo in esame ma ricavabile dalla lettura della sentenza qui impugnata (fol. 5) – che faceva divieto di “destinare i locali ad uso diverso di privata civile abitazione, attesa la destinazione dell’immobile a luogo di riposo e di villeggiatura e pertanto e’ fatto divieto di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo”, con cio’ mettendosi in relazione il diverso uso intensivo dei locali allorche’ fossero stati destinati a pensione o albergo rispetto all’uso non abitativo in generale. Sicche’ la motivazione della sentenza risulta effettivamente immune da errori giuridici e vizi di logica, essendosi limitata a ritenere che la clausola del regolamento condominiale annullata non si riferisse ad un divieto assoluto di adibire i singoli vani dell’immobile ad uso diverso da quello di privata abitazione, e che, pertanto, fosse consentita la locazione per brevi periodi, come dimostrato anche dal tenore letterale del regolamento condominiale e dal fatto che in istruttoria si era accertato che la clausola era stata modificata proprio per chiarire tale aspetto, e che gli stessi appellanti avevano ammesso che la previsione regolamentare consentiva gli affitti saltuari, cui avevano dovuto ricorrere, conseguendo minori guadagni rispetto a quelli derivanti dall’esercizio della preclusa attivita’ alberghiera.

2.4- D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il significato dell’espressione utilizzata nella sentenza del tribunale di Messina passata in giudicato di cui il ricorrente lamenta la violazione non e’ affatto univoco. In tale sentenza si legge, secondo quanto riportato nel ricorso, che l’assemblea del condominio non poteva vietare la destinazione dei locali di proprieta’ esclusiva ad uso diverso di privata abitazione e, tanto meno, vietare di darli in affitto o subaffitto sotto forma di pensione o di albergo. Ben poteva, pertanto, la Corte d’Appello interpretare tale espressione, come poi effettivamente ha fatto, nel senso che, se in astratto e’ illegittimo un regolamento condominiale che vieti una particolare destinazione agli immobili di proprieta’ esclusiva, in concreto tale illegittimita’ certamente ricomprende quella di vietare l’affitto sotto forma di pensione o di albergo.

Alla luce di cio’ deve allora ritenersi coperta da giudicato l’illegittimita’ della clausola ma non le argomentazioni svolte nella sentenza di annullamento in merito agli altri usi che sarebbero stati comunque consentiti, non costituendo, tale svolgimento logico, un presupposto ineliminabile per sostenere la illegittimita’ della delibera.

Tanto basta, dunque, per rigettare il primo motivo di ricorso.

3.- Con il secondo motivo si fa valere l’omessa pronuncia e la violazione o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

Secondo i ricorrenti costituirebbe un errore della sentenza impugnata l’aver dichiarato assorbito il secondo motivo di appello attesa la mancanza di prova in ordine all’an debeatur, in quanto la delibera era potenzialmente produttiva di un danno che, pertanto, andava solo provato, mentre giudice d’appello avrebbe omesso totalmente di esaminare le prove raccolte nella fase istruttoria del giudizio e di conseguenza avrebbe omesso di considerare il secondo motivo di appello relativo alla prova del nesso di causalita’ tra la previsione regolamentare contestata e poi annullata in sede giurisdizionale e la dedotta impossibilita’ di destinare le unita’ immobiliari possedute allo sfruttamento turistico. Dunque, ricorrerebbe il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’articolo 112 c.p.c..

Con il terzo motivo si fa valere l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione articolo 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello omesso di considerare l’istruttoria raccolta nel giudizio di primo grado tendente a provare l’effettiva sussistenza del danno e la quantificazione dello stesso come proverebbe quanto avvenuto in sede di interrogatorio formale e di prova testimoniale oltre che di consulenza tecnica di ufficio.

Dalle considerazioni esposte in relazione al primo motivo discende anche l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso che, vista la loro intima connessione, possono essere trattati insieme.

La sentenza impugnata ha ritenuto che dall’interpretazione della clausola del regolamento condominiale, cosi’ come annullata dal Tribunale di Messina, non potesse derivare nessun danno ai ricorrenti per il fatto che questi non avevano la licenza alberghiera e che, pertanto, potevano sfruttare economicamente gli immobili di loro proprieta’ solo mediante la locazione stagionale che il regolamento condominiale non gli vietava.

I giudici del gravame, dunque, hanno ritenuto mancante il presupposto stesso del danno, in quanto l’unica attivita’ che il regolamento vietava era l’esercizio dell’attivita’ alberghiera e i ricorrenti non erano in possesso della licenza per esercitare tale attivita’.

Risulta evidente, pertanto, che non vi e’ alcuna omissione di pronuncia e che la Corte d’Appello di Messina ha dato risposta, sia pure negativa, a tutte le doglianze fatte valere con i motivi di appello. Infatti risulta corretta anche la decisione di non esaminare il motivo di appello circa l’erronea valutazione della prova dell’esistenza del danno causato dalla forzata inutilizzazione del bene, essendo venuto meno il presupposto stesso dell’impossibilita’ di sfruttamento economico degli immobili.

In conclusione il ricorso deve essere interamente rigettato, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 5.700,00 (cinquemilasettecento), di cui 200 per esborsi.

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