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2) Il primo motivo si riferisce al preteso inadempimento della dottoressa, per mancato espletamento del tentativo di conciliazione. La ricorrente rileva che il tribunale ha fatto riferimento a una transazione della controversia del tutto erroneamente, giacche’ il procedimento era stato cancellato dal ruolo dando atto della mancata conciliazione.
La censura e’ inconferente, atteso che la ratio principale del rigetto della doglianza consiste nel rilievo del tribunale secondo cui il tentativo di conciliazione non e’ obbligatorio, ma da esperire quando sia possibile, restando priva di sanzione espressa l’omissione di esso.
Questa ratio non e’ stata impugnata dalla ricorrente, sicche’ resta irrilevante (Cass SU 7931/13; Cass. 22753/11) l’altra autonoma ratio, peraltro svolta ad abundantiam.
3) Il secondo motivo (violazione articolo 111 Cost.; articolo 112 c.p.c., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 168) concerne l’eccessivita’ della liquidazione e il ricorso al criterio residuale delle vacazioni.
La ricorrente lamenta che il tribunale, pur riconoscendo di dover applicare il Decreto Ministeriale del 2002, articolo 21, ha confermato il medesimo importo, facendo ricorso erroneamente al raddoppio previsto dalla L. n. 319 del 1980, articolo 5.
Sostiene che il giudice non avrebbe motivato adeguatamente l’attribuzione dell’onorario nella misura massima, sebbene la perizia fosse di “facile elaborazione”.
Anche questa censura non merita accoglimento.
Quanto all’errata indicazione della norma applicabile per il raddoppio del compenso, e’ agevole ricorrere alla correzione ex articolo 384 c.p.c., u.c., indicando il Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 52, che peraltro e’ stato agevolmente individuato dalla stessa parte ricorrente.
Quanto alla valutazione della complessita’ dell’incarico, va osservato: che il provvedimento ha adeguatamente motivato la scelta di incrementare il compenso per la consulenza medico legale in relazione alla attivita’ professionale sempre complessa, “anche nei casi apparentemente piu’ semplici”, come secondo la ricorrente era quello in esame. Cio’ a causa dello “stesso avvicendarsi di norme e decisioni giurisprudenziali”, che rendono l’opera dei medici legali meritevole di aumento del compenso “irrisorio” previsto dalla tabella fissa.
Gia’ queste considerazioni, completate da ulteriori considerazioni del provvedimento, smentiscono la censura e dimostrano anzi la presenza di congrua motivazione, che e’ insindacabile dal giudice di legittimita’ (Cass. n. 12027 del 17/05/2010; n.6414 del 2007) allorche’ sia razionale e adeguata come nella specie.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
Ratione temporis non e’ applicabile il disposto di cui alla Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 370 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
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