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In particolare, ad avviso di parte ricorrente, non sarebbe stata necessaria, nella specie, alla luce delle caratteristiche delle suddette locandine, alcuna autorizzazione, questa essendo prevista solo per i manifesti idonei a distrarre i guidatori.
La doglianza e’ infondata.
Infatti, l’articolo 23 C.d.S., comma 1, che vieta la collocazione sulla sede stradale, sulle sue pertinenze, o in prossimita’ di essa, di “insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicita’ o propaganda, segni orizzontali reclamistici sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sul le strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilita’ o l’efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”, mira ad impedire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, cosi’ come sugli spazi a questi adiacenti, fonti di captazione o disturbo dell’attenzione dei conducenti dei veicoli. In ragione di tale ratio, il successivo comma 4, affida all’ente proprietario della strada la valutazione del maggiore o minore impatto di ogni messaggio pubblicitario sull’attenzione dei conducenti e, in funzione di tale valutazione, subordina ad autorizzazione la “collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari” lungo le strade o in vista di esse.
Dal complessivo sistema normativo si evince, pertanto, che l’impatto visivo e le potenzialita’ di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosita’, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall’ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione (Cass., Sez. 2, n. 4683 del 26 febbraio 2009, Rv. 606766-01).
Nel caso in esame, non risulta che la necessaria autorizzazione sia stata domandata, per cui il ricorso va respinto.
2. Il ricorso va, quindi, rigettato.
3. Le spese di lite seguono la soccombenza ex articolo 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo fra la societa’ ricorrente e il Comune di Ancona.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, dell’obbligo di versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si e’ perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015, Rv. 636018-01).
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore di quella controricorrente, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della societa’ ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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