Corte di Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 13 novembre 2017, n. 51622. Resta l’aggravante e dunque la rilevanza penale per la condotta in danno di un bene esposto alla fede pubblica anche quanto ci si trovi in presenza di un sistema di allarme o videoregistrazione.

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Con l’evolversi della tecnologia, le stesse considerazioni sono state estese all’ipotesi della presenza di un sistema di videosorveglianza, che, ancorche’ consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per se’ una difesa idonea a impedire la consumazione dell’illecito attraverso un immediato intervento ostativo (Sez. 5, n. 6682 del 08/11/2007 – dep. 2008, Manno, Rv. 239095).
Pertanto, la presenza di sistemi di allarme e videoregistrazione, se puo’ facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l’individuazione del colpevole, non elimina quell’affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato, che e’ a fondamento della previsione normativa, si’ da giustificare l’aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta.
2. Il ricorrente ravvisa altresi’ contraddizione con la diversa statuizione di abolitio criminis disposta per il danneggiamento provocato a sua volta dal (OMISSIS) perche’ il (OMISSIS), a bordo dell’auto, esercitava sulla stessa un controllo diretto, sicche’ il veicolo non poteva ritenersi esposto alla pubblica fede.
Non sussiste alcuna contraddizione, perche’ nel caso del danneggiamento specularmente ascritto al (OMISSIS) il (OMISSIS) si trovava a bordo dell’autovettura danneggiata, sicche’ non poteva neppur concettualmente ipotizzarsi la situazione di affidamento alla pubblica fede che costituisce il presupposto dell’aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7 e, conseguentemente della persistente rilevanza penale del danneggiamento.
3. Secondo il ricorrente non era legittima neppure l’eliminazione delle statuizioni civili relative al danneggiamento subito dal (OMISSIS), disposta dalla Corte in conseguenza dell’abolitio criminis, persistendo il diritto quesito al risarcimento del danno alla sopravvenuta abrogazione della disposizione incriminatrice.
La censura e’ manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica. L’abolitio criminis sopravvenuta alla sentenza impugnata deve essere rilevata d’ufficio a norma dell’articolo 129 c.p.p. e dell’articolo 2 c.p., comma 2. Cio’ anche nel caso di ricorso inammissibile ed indipendentemente dall’oggetto dell’impugnazione, atteso il principio della ragionevole durata del processo, che impone di evitare una pronunzia di inammissibilita’ che avrebbe quale unico effetto un rinvio della soluzione alla fase esecutiva. (Sez. 5, n. 44088 del 02/05/2016, Pettinaro e altri, Rv. 267751).
Il necessario annullamento della sentenza di condanna per un fatto che la legge non prevede piu’ come reato travolge anche le statuizioni civili, alla luce sia della regola generale del collegamento necessario tra condanna e statuizioni civili da parte del giudice penale, sia della tassativita’ della preclusione di deroga contenuta nell’articolo 578 c.p.p., sia della diversa disciplina espressamente sancita dal Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 9 per gli illeciti oggetto di depenalizzazione, non prevista per le ipotesi di abolitio criminis dal Decreto Legislativo n. 7 del 2016, ne’ ad esso applicabile in via analogica.
In tal senso si e’ ormai consolidata la giurisprudenza di legittimita’ secondo cui l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, determina la revoca delle statuizioni civili, cui potra’ seguire, per effetto della eventuale azione risarcitoria davanti al giudice civile competente per valore, il giudizio civile per l’accertamento dell’illecito depenalizzato, l’irrogazione della sanzione pecuniaria e il risarcimento del danno (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267884; Sez. 2, n. 26091 del 10/06/2016, Tesi, Rv. 267004; Sez. 5, n. 32198 del 10/05/2016, Marini, Rv. 267002).
4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte ricorrente in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n.186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000.00 a favore della Cassa delle ammende.

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