Il medico specializzato non deve limitarsi a far eseguire al paziente solo esami clinici riguardanti il proprio settore, ma a fronte dei sintomi manifestati dal paziente deve avere quella flessibilità che porti a considerare patologie che non sono del proprio campo e a sottoporre il paziente ad ulteriori e differenti accertamenti.

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[…]

Il riferimento lascerebbe pensare ad un richiamo alla L. 8 marzo 2017, n. 24, che ha introdotto il nuovo articolo 590 sexies c.p. il quale, in materia di colpa professionale, ha escluso la punibilita’ dal reato, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali. A parte la considerazione che la pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, essendo piu’ favorevole rispetto ad una pronuncia di non punibilita’, prevarrebbe su quest’ultima, si deve osservare come il riferimento non possa trovare ingresso in questa sede, essendo i profili di responsabilita’ configurati a carico del ricorrente riconducibili all’ambito della negligenza. Inoltre, sulla base delle condivisibili argomentazioni illustrate dai giudici di merito, risulta acclarato che vi fu mancato rispetto delle Linee guida valevoli in materia di accertamento dell’origine delle crisi di perdita di coscienza.
La difesa solleva, altresi’, la questione della individuazione del grado di colpa da configurarsi a carico del ricorrente, in relazione alla L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3 (c.d. legge Balduzzi), affermando che il giudice avrebbe dovuto ravvisare nel caso in esame una ipotesi di colpa lieve.
Numerose pronunce della Suprema Corte hanno affrontato la materia della colpa medica, con specifico riferimento alle problematiche interpretative determinate dall’entrata in vigore dell’articolo 3 della c.d. legge Balduzzi, a mente del quale “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attivita’ si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunita’ scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Gia’ in sede di prima lettura, la Corte di Cassazione aveva svolto un’importante opera interpretativa, resa necessaria dalle peculiarita’ della norma, che introduceva il novum di una distinzione tra colpa lieve e colpa grave, con tutto cio’ che ne consegue in termini definitori dei due concetti.
L’orientamento conforme delle diverse pronunce di questa Corte, nella vigenza della legge richiamata, si e’ attestato su una linea esegetica che esclude la possibilita’ di ravvisare la colpa lieve nei casi di violazione del dovere di diligenza. Si e’ invero affermato che la limitazione di responsabilita’ prevista in caso di colpa lieve, ai sensi della L. 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3, operando soltanto per le condotte professionali conformi alle linee guida, non si estende agli errori diagnostici connotati da negligenza o imprudenza (cosi’ Sez. 4, n. 7346 del 8/7/2014, Rv. 262243; Sez. 4 n. 16944 del 20/3/2015, Rv. 263389).
Poiche’ nel caso in esame viene in rilievo il profilo colposo della negligenza e dell’errore diagnostico e’ escluso, sulla base dei principi appena richiamati, che possa trovare applicazione l’invocato L. n. 189 del 2012, articolo 3.
5. Nel secondo motivo di ricorso la difesa lamenta una carenza di valutazione, nell’apparato argomentativo della sentenza, con riferimento all’aspetto riguardante il nesso causale ed il giudizio controfattuale. Lamenta inoltre la difesa, un vizio di travisamento della prova, affermando che la Corte territoriale ha attribuito ai consulenti conclusioni che non risultavano dagli atti.
Dall’esame della motivazione, risulta che la Corte territoriale ha effettuato una ricostruzione approfondita e chiara detta vicenda, correttamente valutando la rilevanza causale della condotta omissiva contestata all’imputato con richiamo al quadro teorico della c.d. causalita’ della colpa, rispetto alla quale vale il principio per cui “il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarita’ del caso concreto”. (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261103).
Calando nella realta’ del caso in esame, i suddetti principi, la Corte territoriale ha correttamente affermato, in modo conforme a quanto ritenuto dal primo giudice, che l’omessa, doverosa esplorazione della causa cardiologica del malessere, imposta dalle leggi di copertura scientifica, non ha consentito di approfondire la natura della canalopatia presente nella paziente e di approntare gli adeguati presidi, come l’installazione di un defibrillatore sottocutaneo, che avrebbero salvato la vita alla donna.
Quanto al vizio di travisamento della prova, non e’ superfluo ricordare che, nell’ambito del ricorso per Cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. (cosi’ ex multis Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, Rv. 269217).
In realta’, il ricorrente si limita a proporre una diversa lettura degli elementi probatori che, a fronte di una doppia conforme sentenza di condanna, non possono essere presi in considerazione, anche perche’ non evidenziano, ne’ isolatamente, ne’ valutati nel loro insieme, un reale vizio logico e argomentativo della decisione.
Quanto alla causa del decesso della (OMISSIS), circostanza anch’essa contrastata dalla difesa, occorre rilevare come tale causa sia stata validamente individuata dai giudici di merito, sulla base delle prove raccolte (esiti dell’autopsia, testimonianza del CT professore (OMISSIS) e testimonianza del CT professore (OMISSIS)) in una malattia di origine cardiologica (canalopatia aritmogena maligna). Tale affermazione, fondata su un’attenta e convincente analisi degli elementi scaturiti dalle testimonianze di ordine scientifico raccolte nel corso dell’istruttoria, non risulta suscettibile di essere riconsiderata in questa sede. Le valutazioni inerenti alla prova scientifica, come si e’ detto anche in precedenza, sono sottratte al sindacato di legittimita’ sotto il profilo della maggiore o minore attendibilita’ del sapere tecnico-scientifico veicolato nel giudizio. Cio’ che rileva in questa sede, e’ la tenuta logica del ragionamento del giudice di merito che ne recepisce il risultato e la correttezza metodologica dell’approccio al sapere tecnico-scientifico. Ebbene, nel caso in esame, risulta evidente la correttezza dell’approccio e della valutazione espressa dai giudici sulla causa del decesso della donna, essendo corredata da una logica e adeguata motivazione che non si presta a censure.
6. Nel terzo motivo di ricorso, la difesa sostiene che il giudice di primo grado abbia emesso una pronuncia dal contenuto difforme rispetto alla Imputazione elevata a carico dell’imputato. Tale doglianza non sarebbe stata esaminata dalla Corte d’appello, cui la questione era stata sottoposta, con conseguente nullita’ della sentenza per violazione degli articoli 521 e 522 c.p.p..
Il motivo di ricorso e’ infondato. L’asserita mancata corrispondenza tra quanto contestato al ricorrente e quanto ritenuto dal giudice, secondo la difesa, consisterebbe nel fatto che i giudici di merito hanno attribuito un rilievo decisivo nella determinazione causale dell’evento, all’autorevolezza del professionista che indusse la paziente ad attenersi scrupolosamente alla diagnosi errata ed alle prescrizioni inadeguate del sanitario.
Occorre rilevare come la Corte territoriale, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, abbia fornito adeguata risposta sul punto, rammentando il principio consolidato, espresso in sede di legittimita’, in base al quale: “In tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa” (cosi’ Sez. 4, n. 35943 del 07/03/2014, Rv. 260161). Il principio, si afferma nella motivazione della pronuncia citata, trae origine dalle caratteristiche stesse della condotta colposa che puo’ essere identificata solo attraverso la integrazione del dato fattuale con quello normativo.
In essa, quindi, diventa determinante la precisa individuazione del quadro fattuale verificatosi, nel quale si e’ trovato inserito l’agente/omittente, tanto che una modifica anche marginale dello scenario fattuale puo’ importare lo stravolgimento del quadro nomologico da considerare. Da cio’ deriva il ricorrente richiamo da parte della giurisprudenza di legittimita’, alla necessita’ di tener conto della complessiva condotta addebitata come colposa e di quanto e’ emerso dagli atti processuali; ove risulti corrispondenza tra tali termini, al giudice e’ consentito di aggiungere agli elementi di fatto contestati, altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, perche’ sostanzialmente non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa.
7. Nell’ultimo paragrafo, la difesa si duole della mancata quantificazione, in termini percentuali della responsabilita’ del proprio assistito con riferimento alla concorrente colpa del medico di base e del medico che effettuo’ il Tilt test.
Sul punto, lamenta la difesa, la Corte d’appello avrebbe fornito una risposta incongrua affermando che: le cause preesistenti o concomitanti non valgono ad interrompere il nesso causale; il contributo causale delle condotte degli altri sanitari, seppur valutabili ai fini del grado della colpa dell’odierno imputato, non valgono ad escludere il nesso di causalita’; l’apporto causale del primo medico risultava minimamente incidente sull’evento.
Le questioni sollevate dalla difesa non risultano fondate. Nell’ambito delle previsioni colpose, ove piu’ persone risultino responsabili di un evento, ciascuna ne risponde per intero. In tema di rapporto di causalita’ vige il principio della equivalenza delle cause, avendo il legislatore, all’articolo 41 c.p., adottato la teoria della par condicio. Pertanto, qualunque comportamento riferibile ad un soggetto agente, che si ponga come antecedente nella verificazione di una serie di accadimenti che conducono all’evento, e’ causa dello stesso.
Il rilievo mosso dalla difesa in ordine alla corresponsabilita’ degli altri medici che si’ sono occupati del caso, ovemai tale responsabilita’ fosse stata ritenuta esistente, avrebbe potuto essere considerata come elemento di valutazione rilevante ai fini della determinazione della entita’ della pena, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 133 c.p., comma 1, n. 3) che fa espresso riferimento al grado della colpa.
Peraltro, poiche’ il reato e’ estinto per intervenuta prescrizione, tale aspetto non ha piu’ alcuna incidenza nell’ambito della vicenda in esame.
Quanto alla possibilita’ di una valutazione comparativa, in termini percentuali, della responsabilita’ dell’imputato, si tratta di un aspetto che viene in rilievo quando vi e’ un concorso di colpa anche della persona offesa. Sul punto, questa Sezione, si e’ cosi’ espressa: “In tema di reato colposo, il giudice penale e’ tenuto ad accertare la colpa concorrente del terzo, rimasto estraneo al giudizio, al solo fine di verificare la rilevanza della sua condotta sull’efficienza causale del comportamento dell’imputato e di assicurare la correlazione tra gravita’ del reato e determinazione della pena, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, n. 3) dovendosi escludere, in via generale, l’esistenza di un obbligo di quantificazione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento, a meno che egli non sia chiamato a pronunciare statuizioni civilistiche e ricorra il fatto colposo della parte civile” (Sez. 4, n. 23080 del 30/01/2017, Rv. 270428). Poiche’ nel caso in esame non si ravvisa alcun aspetto afferente al fatto colposo della parte civile, il giudice non era tenuto ad effettuare una previsione percentualistica dei diversi fattori causali dell’evento.
8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile (OMISSIS), liquidate in Euro 2.500,00 oltre ad accessori di legge.

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