Il medico specializzato non deve limitarsi a far eseguire al paziente solo esami clinici riguardanti il proprio settore, ma a fronte dei sintomi manifestati dal paziente deve avere quella flessibilità che porti a considerare patologie che non sono del proprio campo e a sottoporre il paziente ad ulteriori e differenti accertamenti.

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Seguendo un percorso argomentativo analogo a quello seguito dal giudice di primo grado, la Corte territoriale e’ giunta a ribadire, sia pure ai soli effetti civili, la responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine ai fatti in contestazione, mettendo in rilievo: il particolare affidamento riposto dalla giovane nella diagnosi e nelle indicazioni ricevute dal neurologo; la negligenza dimostrata dai (OMISSIS) nella trattazione del caso, avendo egli prescritto di effettuare un accertamento che risulto’ fuorviante ai fini della individuazione dell’esatta causa della patologia della (OMISSIS); l’omessa, doverosa esplorazione, da parte del sanitario, della possibile origine cardiologica dei preoccupanti svenimenti della persona offesa; l’errore diagnostico.
3. Prima di passare oltre nell’esame del contenuto del ricorso proposto dalla difesa dell’imputato, alla luce dell’esito del giudizio di appello, occorre svolgere talune considerazioni di carattere preliminare, volte a definire l’ambito di svolgimento del sindacato di legittimita’ in caso di sentenza dichiarativa di una causa estintiva del reato.
E’ d’uopo rilevare che, in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, trovando applicazione l’articolo 129 c.p.p., comma 2, anche in sede di legittimita’, la Corte di cassazione puo’ rilevare l’evidenza della prova dell’innocenza del ricorrente pervenendo al suo proscioglimento. Tuttavia, a questo fine, la esistenza di una delle cause piu’ favorevoli, enunciate nell’articolo 129 c.p.p., comma 2, puo’ essere desunta unicamente dal testo del provvedimento impugnato (cosi’, ex multis Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013; Sez. 1, n. 35627 del 18/04/2012, Rv. 253458; Sez. 6, n. 27944 del 12/06/2008, Rv. 240955; Sez. 1, n. 10216 del 05/02/2003, Rv. 223575; Sez. 4, n. 9944 del 27/04/2000, Rv. 217255). Si e’ quindi affermato che la valutazione da esperirsi da parte del giudice, nella ipotesi contemplata dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, e’ piu’ vicina al concetto di “constatazione”, che di “apprezzamento”, essendo incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento, dovendo risultare ictu oculi dal provvedimento impugnato (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
Ebbene, escluso che nella vicenda in esame possa trovare applicazione l’articolo 129 c.p.p., comma 2, stante la mancanza di evidenza della prova della innocenza dell’imputato, tenuto conto delle due conformi decisioni adottate nei gradi precedenti, e’ preciso dovere di questa Corte, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni pronunciata dai giudici di merito, secondo il disposto dell’articolo 578 c.p.p., esaminare il fondamento dell’azione civile e verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale, al fine di confermare o meno la condanna agli effetti civili.
4. Occorre rilevare come la Corte territoriale ed il giudice di primo grado, nella disamina dei fatti, abbiano offerto una compiuta risposta alle doglianze difensive, individuando in modo conforme alle norme che sovrintendono alla disciplina del caso in esame ed ai principi stabiliti in sede di legittimita’, i profili di responsabilita’ nei quali e’ incorso il (OMISSIS), fondanti la condanna al risarcimento.
4.1 Nel primo motivo di ricorso, che contiene diverse doglianze, il difensore censura la decisione di attribuire una posizione di garanzia al ricorrente. La motivazione offerta sul punto dai giudici di merito e’ esente dai denunciati vizi logici, poiche’ si regge su un convincente percorso argomentativo, basato su precisi elementi fattuali enucleati dalle prove raccolte, che risultano indiscutibili.
In particolare, con riferimento a tale aspetto, il giudice di primo grado e la Corte territoriale, hanno messo in rilievo l’esistenza di una posizione di garanzia, in capo al (OMISSIS), desumendola dall’avvenuta instaurazione del rapporto terapeutico, nell’ambito del quale, peraltro, la persona offesa e sua madre avevano riposto particolare fiducia, confidando nelle doti professionali del sanitario, ritenuto nell’ambiente medico e scientifico, un esperto nel campo della neurologia.
E’ principio indiscusso, nella giurisprudenza di legittimita’, quello in base al quale, in tema di colpa professionale medica, l’instaurazione della relazione terapeutica tra medico e paziente e’ fonte della posizione di garanzia del primo nei confronti del secondo, con conseguente assunzione dell’obbligo di tutela della vita e della salute della persona (cosi’ Sez. 4, n. 10819 del 04/03/2009, Rv. 243874).
Gli sviluppi fattuali susseguitisi alla instaurazione di tale relazione, non sono suscettibili di escludere la responsabilita’ assunta dal sanitario nel rapporto con il paziente. Nella sostanza, la funzione di garanzia non puo’ considerarsi rescissa per effetto della circostanza che la paziente non ritorno’ piu’ dal (OMISSIS) o, per effetto della sua decisione di praticare il Tilt test presso una struttura diversa da quella indicata dal ricorrente. La paziente, benche’ avesse deciso di effettuare l’ulteriore accertamento presso l’Ospedale (OMISSIS), aveva ottemperato precisamente alle indicazioni dello specialista, confidando nella esattezza della sua diagnosi.
Pertanto, non e’ corretto affermare, come si dice nel ricorso, che il (OMISSIS) fu emarginato dalle scelte diagnostiche da effettuarsi.
Sul punto, la Corte territoriale, ha correttamente osservato, sulla base delle prove raccolte, che il (OMISSIS), all’esito della visita specialistica, non paleso’ la necessita’ di alcun successivo consulto. Quanto all’esito del tilt test, avendo la giovane avuto contezza del buon esito dell’accertamento, ritenne logicamente confermata la diagnosi dello specialista, che l’aveva rassicurata sulla sua natura benevola (cosi’ pag. 17 della sentenza impugnata).
La sentenza impugnata esprime argomentazioni del tutto logiche in ordine ai profili di responsabilita’ ravvisati a carico del ricorrente, mettendo in rilievo, in piu’ punti della motivazione, l’erroneo approccio diagnostico del sanitario, che limito’ la propria indagine esclusivamente all’ambito neurologico, escludendo, a priori, la natura cardiologica delle perdite di coscienza della giovane. La competenza di tale approfondimento, si afferma in sentenza, doveva intendersi radicata presso il (OMISSIS), che non poteva limitare il proprio consulto ad un unico profilo, omettendo qualunque previsione e successiva indicazione di approfondimento, in ordine alla possibile, alternativa genesi cardiaca delle crisi di perdita di coscienza.
Il motivo per il quale tale competenza spettava allo specialista, coerentemente con quanto risulta dalla disamina dei fatti, viene individuata in sentenza, nella circostanza che il medico di base avanzo’ una mera ipotesi di epilessia, indirizzando la giovane verso un esperto che doveva vagliare le effettive cause degli episodi sincopali.
La diagnosi posta dal professionista, che si era pronunciato unidirezionalmente per una genesi vagale delle sincopi, determino’ il successivo sviluppo degli eventi, con esito infausto per la donna.
4.2 Sempre nel primo motivo di ricorso, si affronta la tematica riguardante l’osservanza delle linee guida stabilite in materia per la corretta risoluzione delle problematiche inerenti alle P.T.C. (perdite temporanee di coscienza). Si afferma nel ricorso che tali linee guida, vigenti nell’anno 2004, furono osservate dallo specialista che prescrisse, come avrebbe dovuto, il Tilt test, in presenza di una sincope vagale di origine sconosciuta. Sul punto, secondo la difesa, la Corte territoriale si sarebbe fatta fuorviare dall’equivoco introdotto dal consulente del P.M., prof. (OMISSIS), il quale aveva affermato che il Tilt test era un esame di secondo livello, non in grado di rivelare la origine cardiologica degli episodi di perdita di coscienza, la cui individuazione era possibile attraverso un elettrocardiogramma a 12 derivazioni.
La Corte territoriale, investita della questione, cosi’ argomentava in proposito: “Le crisi descritte, per quanto chiarito dai consulenti, erano delle perdite transitorie di coscienza – dunque sincopi e come tali andavano trattate, secondo le linee guida che governano la specifica materia, alle quali hanno fatto riferimento i consulenti escussi. Tali linee guida gia’ nel marzo 2002 erano esistenti ed applicabili ed erano ribadite nei documenti di analogo tenore stilati in epoca successiva, e precisamente nel 2004 come evidenziato correttamente dal professor (OMISSIS) e dalla parte civile: la societa’ di cardiologia richiamando gli studi pubblicati stilava il documento condiviso della GIAC – nel quale classificava in tabella le diverse cause che potevano indurre alla sincope, tra queste le aritmie cardiache e le cardiopatie strutturali ed evidenziava che la percentuale di mortalita’ era sicuramente piu’ elevata in ipotesi di causa cardiaca- espressamente indicava quale esame adottabile nel corso della valutazione iniziale, l’effettuazione di un elettrocardiogramma standard che, per quanto precisato dai consulenti escussi, rappresenta il primo step operativo a differenza del tilt-test che risulta inadeguato e non risolutivo ai fini della evidenziazione di eventuali canalopatie (in tal senso (OMISSIS), (OMISSIS) e lo stesso (OMISSIS))”.
Si osserva, dall’analisi del testo, che la Corte territoriale ha ritenuto valide le indicazioni provenienti dal consulente del P.M. e dal consulente della parte civile, non smentite dal consulente del ricorrente, in base alle quali, l’indagine sulle cause delle sincopi di natura non determinata, andava condotta principalmente effettuando l’elettrocardiogramma, unico accertamento in grado di escludere la piu’ pericolosa e insidiosa origine cardiaca degli episodi. Cio’, in ossequio alle Linee guida dettate in materia.
La consultazione delle tavole presenti nell’allegato 3 del ricorso, tese a censurare le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale, rivelano il carattere generico e non dirimente delle asserzioni difensive. Oltre ad evincersi, dalla numerazione dell’allegato, la incompletezza del documento, si’ nota, nella tavola n. 2, la indicazione all’effettuazione del tilt test in pazienti nei quali non siano presenti cardiopatie. Si tratta quindi di un’allegazione incompleta, dalla quale si desumono indicazioni che riguardano esclusivamente le perdite di coscienza collegate a fenomeni che non hanno attinenza con una origine che interessa la sfera cardiologica, che proprio in questa sede viene in rilevo come causa del decesso della (OMISSIS).
Le critiche mosse dalla difesa alle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, in ordine all’errore diagnostico in cui era incorso il (OMISSIS) ed alla mancata osservanza delle linee guida, impongono di svolgere talune necessarie considerazioni sul tema dell’onere motivazionale imposto al giudice in materia di valutazione delle perizie e del sapere scientifico. In tema di prova, costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di’ legittimita’ – se logicamente e congruamente motivato, come nel caso di specie – l’apprezzamento, positivo o negativo, espresso dal giudice con riferimento all’elaborato peritale ed alte relative conclusioni. Si e’ invero affermato in molteplici pronunce, che il giudice di legittimita’ non puo’ operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza tecnica, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimita’, se congruamente motivato (cosi’ ex multis Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, Rv. 262722). Il giudice del merito puo’ attenersi alle conclusioni del perito ove le condivida, purche’ motivi il proprio convincimento con criteri che rispondano a principi scientifici e di logica. E’ altrettanto certo, tuttavia, che il giudice possa fare legittimamente propria una determinata tesi scientifica, preferendola ad un’altra, purche’ dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire (cosi’ ex multis Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Rv. 209675). Entro questi limiti, deve ritenersi, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, l’omesso esame critico di ogni piu’ minuto passaggio della perizia, poiche’ la valutazione delle emergenze processuali e’ affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, essendo sufficiente che enunci, con adeguatezza e logicita’, gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (cosi’, “ex plurimis”, Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Rv. 209675). Cio’ e’ quanto si e’ verificato nel caso di specie, laddove la Corte distrettuale ha raccolto, e motivatamente condiviso le indicazioni fornite dal consulente del P.M. e di quello di parte civile disattanedendo, con puntuale argomentazione, la prospettazione difensiva dell’imputato.
4.3 L’affermazione secondo la quale la Corte territoriale non avrebbe argomentato sulla inosservanza delle Linee guida, non puo’ ritenersi fondata, come si evince dal passaggio della motivazione riportata sopra.
Il lamentato aspetto dell’asserita inadeguatezza delle motivazioni rese dalla Corte in tema di Linee guida, ha offerto occasione alla difesa per rappresentare che i profili di colpa individuati dai giudici di merito a carico del ricorrente non sarebbero limitati alla negligenza, ma riguarderebbero anche l’imperizia. Si afferma, quindi, che la responsabilita’ per imperizia, nell’ambito della colpa professionale, verrebbe in rilievo soltanto nella ipotesi di colpa grave, da escludersi nel caso in esame.

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