L’indennità di espropriazione, in quanto espressa ab origine in valori monetari, ha natura di debito di valuta natura che non muta per il fatto che i criteri della sua determinazione vadano riferiti al valore del bene al tempo del provvedimento ablativo

Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 4 aprile 2018, n. 8337.

L’indennità di espropriazione, in quanto espressa ab origine in valori monetari, ha natura di debito di valuta natura che non muta per il fatto che i criteri della sua determinazione vadano riferiti al valore del bene al tempo del provvedimento ablativo, in quanto, una volta che sia stato accertato, il relativo numerano costituisce, come si è detto, il ristoro, di cui all’art. 42 Cost. per la perdita del diritto reale, al quale si sostituisce.

Ordinanza 4 aprile 2018, n. 8337
Data udienza 23 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 2100/2017 proposto da:
(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) S.p.a., – Societa’ per Azioni, gia’ (OMISSIS) – Societa’ di Trasporti e Servizi per Azioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3930/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2018 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.
FATTI DI CAUSA
Con decreto del 18 ottobre 1973, il Prefetto di Roma disponeva l’espropriazione, a favore dell’Amministrazione delle (OMISSIS), di vari terreni siti nel comune di (OMISSIS), gia’ occupati in via d’urgenza dall’espropriante (giusta decreto del 19.12.1970), per la costruzione della sede dell’Istituto di ricerche ed esperienze ferroviarie (I.R.E.F.), e determinava l’indennita’ secondo i criteri di cui alla L. n. 2892 del 1885, articolo 13 richiamato dalla L. n. 429 del 1907, articolo 77 sulle espropriazioni occorrenti per le costruzioni ferroviarie. Con sentenza non definitiva del 12.12.1975, il Tribunale di Roma, decidendo sulle riunite opposizioni alla stima proposte da vari espropriati nei confronti del Ministero dei Trasporti, affermava che l’indennita’ doveva esser determinata in base alla legge richiamata nel decreto di espropriazione, non essendo consentito al giudice ordinario di sindacare la scelta del modello espropriativo operata dalla p.A. Impugnata immediatamente, in via principale dagli espropriati ed incidentale dall’Amministrazione, la sentenza veniva confermata dalla Corte di Roma, che affermava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla legittimita’ degli adottati criteri di indennizzo, ma la decisione veniva cassata dalle SU di questa Corte, con sentenza n. 134 del 1983, secondo cui il giudice ordinario poteva verificare se il procedimento espropriativo previsto da una specifica legge (nella specie per le opere ferroviarie) fosse stato in concreto adottato per un’opera a quella riconducibile per natura e funzione e, ove tale corrispondenza fosse mancata, poteva determinare la giusta indennita’ alla stregua dei criteri generali e secondo la fattispecie legale cui si riconnetteva il fatto dedotto in lite, con eventuale disapplicazione del provvedimento amministrativo.
La Corte d’Appello di Roma, giudicando in sede di rinvio, con sentenza non definitiva del 12 febbraio 1985, escludeva che fossero applicabili i criteri indennitari relativi alle espropriazioni volte alla realizzazione delle linee ferroviarie e delle relative opere accessorie, trattandosi nel caso della realizzazione di edifici destinati all’attivita’ di studio e di ricerca, ed affermava che l’indennita’ doveva essere determinata secondo le disposizioni della L. n. 2359 del 1865, articoli 39 e 40. Con sentenza definitiva del 23 aprile 1987, provvedeva alla liquidazione delle indennita’ secondo tale criterio.
Nuovamente adita, questa Corte, con sentenza n. 2798 del 1991, rigettava il ricorso proposto dall’Ente (OMISSIS) contro la sentenza non definitiva del 1985, condannandolo al pagamento delle spese, e cassava senza rinvio la sentenza definitiva del 1987, rilevando che la stessa aveva proceduto alla liquidazione concreta dell’indennita’ di espropriazione, mentre, essendo stata impugnata la sentenza non definitiva del tribunale, con la decisione su di questa si erano esauriti i poteri di cognizione del giudice d’appello (ancorche’ adito a seguito di cassazione con rinvio) non rientrando in essi anche quello di determinare in concreto la misura dell’indennita’.
La trattazione della causa veniva ripresa dinanzi al Tribunale di Roma, che, con sentenza del 29.05.1998, anche all’esito delle disposte indagini tecniche d’ufficio, respingeva le opposizioni degli espropriati e compensava le spese processuali, ritenendo applicabile lo ius superveniens di cui alla L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis ed affermando la natura non edificatoria dei terreni occupati ed espropriati, sicche’ gli indennizzi (d’esproprio e di occupazione temporanea) determinati in sede amministrativa non si rivelavano incongrui. L’appello proposto dai soccombenti veniva rigettato dalla Corte di Roma, con sentenza del 3.01.2005, secondo cui, trattandosi di terreni non legalmente edificabili, le indennita’ andavano determinate in base ai VAM. La Corte affermava, inoltre, che la domanda di risarcimento danni da occupazione illegittima non poteva essere esaminata perche’ nuova aggiungendo che la stessa era comunque infondata per difetto dei presupposti della vicenda acquisitiva – estintiva, data la mancata realizzazione dell’opera e l’emissione del decreto di espropriazione e che la retrocessione dei beni espropriati non era stata chiesta.
Anche questa decisione, su ricorso degli espropriati, veniva cassata da questa Corte, con sentenza n. 15075 del 10.9.2012, che dichiarava inammissibile il primo motivo, accoglieva il terzo e dichiarava assorbito il secondo.
La Corte d’appello di Roma, giudicando in sede di rinvio, con sentenza del 21.6.2016, e per quanto ancora interessa: a) riteneva inammissibile la domanda risarcitoria, per la dedotta natura usurpativa dell’espropriazione, che era preclusa dal giudicato formatosi a seguito della precedente sentenza del 2005 di essa Corte; b) affermava l’inapplicabilita’ della sopravvenuta disposizione di cui al TU n. 327 del 2001, articolo 42 bis per esser il fondo stato oggetto di provvedimento espropriativo; c) riteneva preclusa la produzione documentale relativa alla destinazione urbanistica del fondo ed applicabile il criterio dell’edificabilita’ di fatto, operando la determinazione in conformita’ della stima di uno dei quattro consulenti, nel tempo nominati, esclusa la rivalutazione, trattandosi di debiti di valuta e non essendo stato chiesto il maggior danno ex articolo 1224 c.c. cpv.; d) regolava le spese in riferimento ai singoli gradi, condannando l’espropriante a rifonderle relativamente a quelle del giudizio d’appello conclusosi nel 2005, e dei successivi giudizi di legittimita’ e di rinvio, e compensandole nel resto.
Per la cassazione di tale sentenza, hanno proposto ricorso (OMISSIS) e consorti, con quattro motivi, successivamente illustrati da memoria, ai quali (OMISSIS) S.p.A. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo ed il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 112, 113, 324 e 345 c.p.c., L. n. 353 del 1990, articolo 90; della L. n. 2359 del 1865, articoli 51 e 39; del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articoli 21, 23, 32, 37 e 54; della L. n. 244 del 2007, articolo 2, commi 89 e 90; articolo 834 c.c., articolo 1224 c.c., comma 2, articolo 2909 c.c.; articoli 42, 10, 111 e 117 Cost. articolo 1 del Protocollo 1 addizionale alla CEDU e la violazione del principio del diritto al pieno ristoro della perdita economica derivante dall’espropriazione per pubblica utilita’. I giudici a quo, lamentano i ricorrenti, hanno equivocato le loro istanze, da sempre dirette a contestare le indennita’ offerte, onde ottenere tutela rispetto al danno connesso alla perdita del potere d’acquisto della moneta ed alla nefasta incidenza dell’adozione dell’Euro. Il richiamo all’occupazione usurpativa era stato, in primo tempo, effettuato allo scopo di evitare la dimidiazione della L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis e conseguire il maggior valore di mercato dei beni all’attualita’, ai sensi dell’articolo 345 c.p.c. e dell’articolo 1224 c.c., comma 2, secondo la domanda gia’ formulata in prime cure. Dopo la declaratoria d’incostituzionalita’ di detto criterio, la richiesta era, invece, connessa alle richieste di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali di cui allo jus superveniens rappresentato dall’articolo 42 bis TUE.
Sotto altro profilo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata, che, da una parte, ha ritenuto preclusa l’indagine sulla natura edificatoria o agricola del fondo, senza considerare che la sentenza del 2005 era stata cassata per vizio di motivazione sul punto, e, dall’altra, non ha consentito il deposito di documentazione relativa alla destinazione urbanistica delle aree, argomentando dal carattere chiuso del giudizio di rinvio, quando invece andava accertata proprio l’effettiva qualita’ giuridica dei fondi.
I ricorrenti lamentano che, pur avendo riconosciuto la qualita’ edificatoria, la Corte territoriale ha ancorato la sua valutazione alla data dell’espropriazione, ha negato la rivalutazione, e cosi’ liquidato indennizzi meramente simbolici, tenuto conto del tempo trascorso (45 anni). In base al Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 32 proseguono i ricorrenti, l’indennita’ deve, bensi’, tener conto delle caratteristiche del bene alla data di emanazione del decreto di espropriazione, ma deve determinarsi sulla scorta del valore che lo stesso ha in epoca prossima alla decisione, come si desume dal successivo articolo 37, che, nel prevedere l’aumento del 10%, impone che la somma offerta a titolo di indennita’ provvisoria si debba “attualizzare”. L’affermazione dei giudici a quo secondo cui non era stato richiesto il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, e’ erronea, proseguono i ricorrenti, poiche’ l’istanza era stata formulata in primo grado il 15.10.1997, in appello il 23.6.1999, con la citazione in riassunzione del 2013.
2. Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli articoli 112, 113, 324 e 345 c.p.c., della L. n. 353 del 1990, articolo 90; della L. n. 2359 del 1865, articoli 39 e 51; del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, articolo 42 bis; articolo 834 c.c., articolo 1224 c.c., comma 2 e articolo 2909 c.c.; articoli 42, 10, 111 e 117 Cost. articolo 1 del Protocollo 1 addizionale alla CEDU ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. I ricorrenti lamentano che erroneamente non e’ stato riconosciuto il loro diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ex articolo 42 bis TU, ribadendo di aver dedotto la natura usurpativa dell’occupazione solo a tal fine, e sostenendo che la procedura, formalmente regolare, e’ appunto illegittima, in quanto non solo l’opera pubblica non era stata realizzata – circostanza da equiparare alla sopraggiunta mancanza di dichiarazione di pubblica utilita’ – con conseguente irrilevanza del decreto di espropriazione tempestivamente emesso, ma i terreni erano, poi, stati venduti a terzi; fatti decisivi che la Corte d’appello ha erroneamente omesso di valutare.
3. I motivi, da valutarsi congiuntamente, per comodita’ espositiva, sono parzialmente fondati.
4. Con essi i ricorrenti chiedono, in estrema sintesi, che, per soddisfare il principio, di derivazione anche convenzionale, del diritto al pieno indennizzo in ipotesi di espropriazione di pubblica utilita’, le somme loro dovute siano accresciute: o prendendo a parametro i sopravvenuti criteri in tema di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, o rapportando l’indennizzo al valore del bene all’attualita’, ovvero provvedendo a rivalutare quello stimato con riferimento alla data dell’espropriazione.
5. Sotto il primo profilo, va osservato che la preclusione da giudicato interno sulla domanda risarcitoria e’ in effetti insussistente: la relativa statuizione della sentenza della Corte d’Appello del 2005 e’ stata impugnata dagli odierni ricorrenti col secondo motivo del precedente ricorso, ritenuto assorbito da questa Corte con la sentenza rescindente del 2012, restando, in conseguenza, impregiudicata la relativa riproponibilita’ al giudice di rinvio (cfr. Cass. n. 18677 del 2011). E tuttavia i ricorrenti non hanno interesse a criticare in parte qua la sentenza che ha affermato il contrario, avendo chiesto, in sede di rinvio, come riassunto al precedente §1, il riconoscimento dei criteri introdotti con l’istituto della c.d. acquisizione sanante, che da’ luogo ad un credito indennitario da atto lecito (dunque non risarcitorio). Il rigetto di tale istanza e’, poi, giuridicamente corretto.
6. La ratio del provvedimento di acquisizione, disciplinato dall’articolo 42 bis TU sulle espropriazioni e’ quella di consentire alla P.A. di “riprende(re) a muoversi nell’alveo della legalita’ amministrativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilita’ perseguiti, sebbene emersi successivamente alla consumazione di un illecito ai danni del privato cittadino” (v., in tal senso, Corte cost. n. 71 del 2015). Il provvedimento non ha effetto retroattivo e costituisce l’extrema ratto per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, senza essere espressione di un potere meramente rimediale rispetto ad un pregresso illecito (cfr. Cons. di Stato, sez. 4, n. 4777/2015). La norma attribuisce, insomma, alla P.A. “che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilita’” il potere, valutati gli interessi in conflitto, di optare fra l’acquisizione e la non acquisizione di un immobile appartenente al privato, disciplina l’adozione del relativo provvedimento, e la misura dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla perdita definitiva dell’immobile.
7. Nulla di tutto cio’ e’ ravvisabile nel caso di specie, in quanto il bene e’ stato regolarmente espropriato nell’anno 1973, e non e’ stato emanato alcun provvedimento di acquisizione sanante, che costituisce il titolo delle provvidenze ulteriori rispetto al valore venale del bene, di cui si chiede il riconoscimento. L’ipotesi esegetica di generalizzare il criterio indennitario previsto per tale specifica disposizione per i casi di mancata realizzazione dell’opera pubblica non trova alcuna base nell’ordinamento, che al riguardo appresta ai proprietari l’istituto della retrocessione (con la valutazione della decadenza della dichiarazione di pubblica utilita’), e tale domanda, tuttavia, non e’ stata proposta.
8. Sotto il secondo profilo, va rilevato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 11261/16; 17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001), l’indennita’ di espropriazione va determinata in riferimento alle caratteristiche del bene al tempo dell’espropriazione: la giusta indennita’ di cui all’articolo 42 Cost. si sostituisce, infatti, al bene espropriato, ed il diritto del proprietario a percepirla sorge, appunto, in conseguenza del provvedimento ablativo ed e’ immediatamente azionabile, non essendo subordinato alla liquidazione in sede amministrativa (cfr. Corte Cost. n. 67 del 1990). L’assunto secondo cui la stima, ancorata alle caratteristiche del bene alla data dell’ablazione, dovrebbe esser riferita al valore del bene stesso al tempo “indefinito (…) prossimo alla decisione” (pag. 23 del ricorso), non e’ coerente con tale ricostruzione sistematica e va, dunque, disattesa, non trovando affatto conforto, come opinano i ricorrenti, nella disposizione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 327, articolo 37, comma 2, (nel testo risultante dalle modifiche apportategli dalla L. n. 244 del 2007, articolo 2, comma 89), che prevede la maggiorazione nella misura del 10 per cento nel caso in cui sia stata offerta un’indennita’ provvisoria che, attualizzata, risulti inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva. La norma, che mira ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo in via consensuale e non giudiziale, a sanzionare l’ingiustificata attesa della sua conclusione, ed a stimolare comportamenti virtuosi della P.A. (Cass. n. 12058 del 2017), non sposta, infatti, l’epoca di rifermento dell’indennita’ (dal tempo dell’espropriazione a quello della determinazione dell’indennita’ definitiva), ma serve a valutare la congruita’ dell’offerta provvisoria, rendendola temporalmente omogenea a quella della determinazione definitiva, cio’ in quanto, come gia’ accadeva nel sistema di cui alla L. n. 865 del 1971, la pronuncia del decreto di esproprio segue di regola la sola offerta dell’indennita’ provvisoria, e precede logicamente la determinazione dell’indennita’ definitiva.
9. Quanto alla censura inerente alla ritenuta preclusione della valutazione della disciplina urbanistica del fondo, va osservato che la sentenza rescindente, dopo aver ribadito il principio secondo cui la mera adozione del piano regolatore generale e’ irrilevante ai fini della classificazione del fondo quale edificabile o meno, essendo altresi’ necessaria l’approvazione regionale, ha anche affermato che il giudice deve far ricorso al criterio della edificabilita’ di fatto quando “non esista alcuno strumento urbanistico recepibile ai fini dell’inquadramento in questione, ancora prescritto dalla L. n. 359 del 1992, articolo 5 bis, comma 3”, ed ha disposto che il giudice del rinvio avrebbe dovuto attenersi al criterio dell’edificabilita’ di fatto, in assenza di valido strumento urbanistico (adottato e approvato); criterio, dunque, residuale e non imposto, come erroneamente hanno ritenuto i giudici a quo, che lo hanno applicato, affermando preclusa l’acquisizione di ulteriore documentazione, e dunque l’indagine di fatto sulla qualita’ giuridica dei beni, che invece questa Corte aveva loro demandato, con l’accoglimento della dedotta censura motivazionale.
10. La critica e’, quindi, corretta, ma tanto non giova alla tesi dei ricorrenti. Nonostante abbia affermato l’esposto erroneo principio, la sentenza impugnata non ha mancato di svolgere, in concreto, l’indagine che le era stata rimessa, avendo rilevato (con motivazione aggiuntiva a pag. 6 penultimo periodo) che nessuno dei consulenti che si erano avvicendati nel corso del giudizio aveva fatto riferimento a strumento urbanistico diverso da quello del 1972, non ancora efficace, nonostante specifiche ricerche svolte da uno di essi presso il Comune di Anguillara, e che l’esistenza di un programma di fabbricazione, affermata da (OMISSIS), era del tutto generica.
11. Pertanto, nell’addebitare alla Corte la mancata ammissione della documentazione offerta in proposito, i ricorrenti avrebbero dovuto, anche, indicare quale strumento urbanistico fosse stato presentato e ricusato, avrebbero, inoltre, dovuto specificarne il relativo contenuto, precisando, in ispecie, se in forza dello stesso sarebbe stata consentita la realizzazione di una volumetria maggiore rispetto a quella considerata, secondo il criterio dell’edificabilita’ di fatto, dai giudici a quo nella valutazione del bene. E cio’ non hanno fatto, avendo, anzi, fatto riferimento all’articolo 41 quinquies LU, che disciplina i limiti della edificazione a scopo residenziale per i Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, senza svolgere critiche specifiche alla stima (riferita, beninteso, al valore dei beni alla data del decreto di esproprio, con conseguente irrilevanza della delibera ai fini dell’ICI del 2007, riportata a pag. 21 del ricorso), posta, appunto, a base del calcolo (pag. 23 ricorso) da arricchire con la rivalutazione e poi triplicare per sterilizzare il reale effetto inflattivo derivato dall’introduzione dell’Euro. La doglianza risulta, pertanto, generica ed, a monte, neppure sorretta da reale interesse.
12. In relazione al terzo profilo, inerente alla questione della rivalutazione, va osservato che e’ costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo cui l’indennita’ di espropriazione, in quanto espressa ab origine in valori monetari, ha natura di debito di valuta (cfr. Cass. n. 17786 del 2015; 22923 del 2103; 3738 del 2012; 13456 del 2011; 719 del 2011), natura che non muta per il fatto che i criteri della sua determinazione vadano riferiti al valore del bene al tempo del provvedimento ablativo, in quanto, una volta che sia stato accertato, il relativo numerarlo costituisce, come si e’ detto, il ristoro, di cui all’articolo 42 Cost. per la perdita del diritto reale, al quale si sostituisce.
13. Nella specie, come si desume ex actis, data la natura processuale del vizio dedotto, la domanda volta alla tutela della perdita del potere di acquisto della moneta risulta proposta il 15.10.1997 innanzi al Tribunale, dopo che la causa (iniziata prima dell’entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 353 del 1990) era stata ripresa in primo grado, perche’ si provvedesse (con sentenza definitiva) a statuire sulla determinazione dell’indennita’, dopo la cassazione senza rinvio, intervenuta nel 1991, della sentenza d’appello (ma pronunciata in sede di rinvio) che la aveva determinata, nonostante si fossero esauriti i suoi poteri di cognizione. Premesso, poi, che tale domanda integra la fattispecie processuale della emendatio libelli, e non anche della (non consentita) mutatio, trattandosi di sua specificazione quantitativa nella ipotesi di originaria specificazione del danno da ritardo identificato con gli interessi legali (Cass. n. 7275 del 1997), va rilevato che con essa i ricorrenti hanno chiesto di esser risarciti del danno che affermano di aver subito ex articolo 1224 c.c., comma 2, come si desume dalla richiesta di considerare illecito il comportamento inadempiente dell’espropriante, nonche’ dal reiterato riferimento al lunghissimo tempo intercorso, ed all’estenuante maratona giudiziaria, senz’altro ravvisabile tenuto conto che il processo, iniziato nel febbraio 1974, giunge all’esame di questa Corte per la quarta volta; conclusione che si pone in conformita’ col principio secondo cui il trascorrere del tempo non puo’ ritorcersi in danno agli espropriati, in attesa della definizione del procedimento espropriativo, che deve concludersi con il pagamento del giusto indennizzo “in tempo utile” (articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), ed e’ coerente con la giurisprudenza della Corte Edu (v., tra le tante, sent. 1 aprile 2008, Grande Camera, Gigli Costruzioni c. Italia; 21 febbraio 1997, Guillemin c. Francia; cfr. pure in tema di aumento del 10% Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, ex articolo 37, comma 2 12058 del 2017).
14. La sentenza che ha negato esser stata posta siffatta domanda, va, in conclusione, cassata, con rinvio, per i necessari accertamenti di fatto alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, restando assorbito il quarto motivo relativo alle spese del giudizio. Il giudice del rinvio provvedera’ a regolare le spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
Accoglie nei sensi di cui in motivazione il secondo motivo, rigetta primo e terzo, assorbito il quarto, cassa e rinvia, anche per le spese i alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

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