Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 25 ottobre 2017, n. 48993. L’art. 314 c.p.p. deve essere inteso nel senso che è legittimo il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di un errore di calcolo della pena da eseguire

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Nella specie, la decisione della Consulta riguardava un caso diverso da quello oggetto dell’odierno ricorso, nel quale l’ordine d’esecuzione della misura era stato adottato in base all’errato presupposto che si fosse formato il giudicato di condanna nei confronti dell’interessato; tuttavia il principio affermato nella sentenza de qua deve interpretarsi come estensibile a tutte le ipotesi di provvedimenti causalmente incidenti sulla restrizione personale che siano viziati da illegittimita’ (fra i quali a ben vedere rientra anche quello che ha attinto l’odierno ricorrente).
Sul punto, invero, il Giudice delle leggi cosi’ si esprime: “(…) la diversita’ della situazione di chi abbia subito la detenzione a causa di una misura cautelare, che in prosieguo sia risultata iniqua, rispetto a quella di chi sia rimasto vittima di un ordine di esecuzione arbitrario non e’ tale da giustificare un trattamento cosi discriminatorio, al punto che la prima situazione venga qualificata ingiusta e meritevole di equa riparazione e la seconda venga invece dal legislatore completamente ignorata”.
“La disparita’ di trattamento tra le due situazioni appare ancor piu’ manifesta, se si considera che la detenzione conseguente ad ordine di esecuzione illegittimo offende la liberta’ della persona in misura non minore della detenzione cautelare ingiusta”.
“La scelta legislativa risulta oltretutto ingiustificata anche alla luce della L. 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), dove, al punto 100 dell’articolo 2, comma 1, e prefigurata, accanto alla riparazione dell’errore giudiziario, vale a dire del giudicato erroneo (gia’ oggetto della disciplina del codice previgente), anche la riparazione per la ingiusta detenzione; cio’ che lascia trasparire l’intento del legislatore delegante di non introdurre, su questo piano, ingiustificate differenziazioni tra custodia cautelare ed esecuzione di pena detentiva. Lo stesso articolo 2 della citata legge di delegazione, nel prevedere che il nuovo codice si debba adeguare alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale, depone nel senso della non discriminazione tra le due situazioni, giacche proprio la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, ratificata dall’Italia con la L. 4 agosto 1955, n. 848, prevede espressamente, all’articolo 5, il diritto alla riparazione a favore della vittima di arresto o di detenzioni ingiuste senza distinzione di sorta. (…)”.
3. Ne’ mancano, nella giurisprudenza di legittimita’, pronunzie che, pur non affrontando la specifica questione, hanno risolto questioni similari applicando analoghi principi.
Ad esempio si e’ affermato che l’esecuzione di un ordine di carcerazione originariamente legittimo ma relativo ad una pena risultante estintasi, in ragione del lungo arco temporale intercorso tra l’emissione del titolo e la sua esecuzione, determina l’ingiustizia della detenzione sofferta e, dunque, la configurabilita’ del diritto all’equa riparazione (Sez. 4, n. 45247 del 20/10/2015, Myteveli, Rv. 264895: in motivazione la S.C. ha affermato che l’ordine di esecuzione non poteva piu’ considerarsi efficace, pur in assenza di un’espressa declaratoria di estinzione della pena, per la doverosa diretta applicazione dell’articolo 172 c.p.).
Ancor piu’ di recente la Corte di legittimita’ ha affermato che la tardiva esecuzione dell’ordine di scarcerazione disposta per liberazione anticipata determina l’ingiustizia della detenzione sofferta fino alla concreta liberazione del detenuto e, pertanto, costituisce titolo per la domanda di riparazione (Sez. 4, n. 47993 del 30/09/2016, Pittau, Rv. 268617: nella fattispecie il ricorrente era stato scarcerato con oltre un mese di ritardo per la tardiva comunicazione al collegio procedente per la rideterminazione della pena dell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che aveva concesso quarantacinque giorni di riduzione della pena per liberazione anticipata).
4. Conclusivamente, sulla base di un’interpretazione sistematica dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, che dovra’ provvedere in termini conseguenti sull’istanza dell’interessato. L’ammontare della somma spettante a titolo d’indennizzo dovra’ infatti essere determinato dalla Corte distrettuale tenendo conto del principio, affermato dalle Sezioni Unite, in base al quale la liquidazione dell’indennizzo, che va determinata conciliando il criterio aritmetico con quello equitativo, deve tenere conto del fatto che il grado di sofferenza cui e’ esposto chi, innocente, subisca la detenzione e’ di norma amplificato rispetto alla condizione di chi, colpevole, sia ristretto per un periodo eccessivo rispetto alla pena inflitta. Ne consegue che, se, in linea di principio, il diritto dell’innocente e’ da valutare in maniera privilegiata rispetto a quello del colpevole, tale conclusione non ha carattere assoluto, ed e’ compito esclusivo del giudice di merito considerare la peculiarita’ della situazione, adeguando la liquidazione alla specificita’ della fattispecie e motivando in modo puntuale sulla sua entita’ (vds la gia’ citata Sez. U, Sentenza n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, Pellegrino, Rv. 241856).
P.Q.M.
Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte d’appello di Bologna per nuovo esame.

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