Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43496. In tema di valutazione delle risultanze peritali

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– la lettura dei preparati istologici del miocardio aveva documentato la presenza di segni riferibili ad una sofferenza ischemica di assai recente produzione, confermata nel mancato riscontro di marcata eosinofilia citoplasmatica e nella mancata evidenza di bande di contrazione, tutti aspetti che confermavano che il miocardio del (OMISSIS), gia’ interessato da segni deponenti per la sussistenza di una condizione di cardiopatia ischemica cronica, era stato colpito da un evento ischemico acuto insorto circa quattro/dodici ore prima dell’arresto cardiaco terminale;
– la milza si era presentata di forma e volume conservati, aspetto non conciliabile con un evento mortale iperacuto;
– era stata riscontrata una necrosi tubulare renale, che rimanderebbe ad una sofferenza ischemica.
Alla luce di tutti questi dati, gia’ il Tribunale aveva ritenuto che l’aspetto aritmico fosse del tutto secondario e conseguentemente era priva di rilevanza la questione relativa alla eventuale incidenza della condotta del medico prescrittore del regime dietetico farmacologico quale possibile fattore causale sopravvenuto, dato che la fendimetrazina era farmaco inidoneo a provocare la costrizione dei vasi coronarici.
La Corte di Appello, ripercorsa la complessa indagine peritale, ha quindi fatto propria la conclusione che il (OMISSIS) fosse portatore di cardiopatia ischemica non clinicamente espressa, ma confermata dai dati anatomo-patologici ed istologici riscontrati, quali, riassuntivamente, l’occlusione dell’arteria discendente anteriore, la presenza di placche arteriosclerotiche attive, le multiple aree di fibrosi miocardica dovute a multipli eventi di ischemia presenti in diverse zone del ventricolo sinistro come la parete anteriore, laterale e posteriore, la dilatazione del ventricolo stesso. Su tale affermazione non incideva il fatto che il reperto esaminato non fosse stato sottoposto ad accertamento istopatologico, basandosi essa su evidenze cliniche inconfutabili e su argomentazioni medico legali, oltre che logiche, rigorose e aderenti ai dati riscontrati, che l’accertamento mancante non avrebbe in alcun modo potuto modificare. Non erano poi praticabili, perche’ non altrettanto scientificamente sostenibili alla luce delle evidenze anatomo-patologiche, gli ulteriori percorsi prospettati dai consulenti, in particolare della parte civile, che potessero spiegare con altrettanto rigore la natura della patologia che causo’ il decesso del (OMISSIS).
In assenza di evidenze cliniche che consentissero dunque di ipotizzare fondatamente la ricorrenza unica o concomitante di altre patologie, in particolare di una patologia aritmogena del ventricolo destro di tipo fibrillazione ventricolare, poteva dunque affermarsi, superando ogni dubbio, che il (OMISSIS) era portatore di una cardiopatia ischemica cronica e che era stato interessato da un insulto ischemico tra le quattro e le dodici ore prima dell’evento finale, determinato verosimilmente da un vasospasmo coronarico transitorio.
Anche se in via ipotetica – prosegue la Corte di Roma – l’evento terminale fosse stato determinato funzionalmente dalla comparsa di un disturbo aritmico, andava condivisa la precisazione dei periti sul punto, secondo la quale cio’ avrebbe costituito l’ultimo anello di una catena che aveva avuto origine in una condizione di ischemia acuta, che comunque rappresentava il fattore preponderante, se non unico, del processo causativo della morte del (OMISSIS). Rispetto a tale quadro patologico la fendimetrazina non poteva aver dispiegato alcun effetto, ne’ quale fattore di insorgenza, ne’ quale causa di aggravamento: seguendo gli studi della comunita’ scientifica sull’argomento, citati ed utilizzati dai periti, e verificato che la fendimetrazina e’ simile per i suoi effetti all’anfetamina, con cui condivide la molecola/madre, doveva escludersi ogni azione di vasocostrizione sui vasi coronarici, idonea a determinare un evento ischemico quale quello accertato. La spiegazione causale del decesso del (OMISSIS) appariva come l’unica sorretta da un quadro oggettivo clinicamente evidente e verificabile, all’esito di ricerca scientifica in cui i periti avevano preso in considerazione le ulteriori ipotesi astrattamente sostenibili, e valutato e spiegato le ragioni per cui non potevano essere condivise.
L’impugnata sentenza e’ pertanto immune, in base ai principi di diritto piu’ sopra ricordati, dal denunciato vizio motivazionale.
2. Di fronte alla esaustiva indagine peritale, non appare fondata la ulteriore doglianza delle parti ricorrenti di una mancata parziale rinnovazione della istruttoria dibattimentale, volta all’acquisizione di ulteriori consulente, ritenute dalla Corte territoriale non necessarie ai fini del decidere.
3. Quanto al motivo relativo all’essersi discostato l’ (OMISSIS) dalle linee guida e dai protocolli medici, si osserva che tale condotta, sebbene accertata, non ha spiegato effetto sulle cause dell’evento, per le ragioni che la Corte di Roma ha ampiamente esposto e che sono gia’ state richiamate.
4. Infondata, infine, la doglianza relativa alla condanna delle parti civili alle spese processuali nonostante l’appello del P.M., stante la diversita’ delle parti e l’autonomia ontologica delle due impugnazioni, l’una riguardante gli effetti penali e l’altra gli effetti civili della condotta attribuita all’imputato.
5. I ricorsi vanno per tali considerazioni rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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