Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43496. In tema di valutazione delle risultanze peritali

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1. I ricorsi delle parti civili non sono fondati.
2. La questione principale che si pone all’attenzione del Collegio attiene alla valutazione della prova scientifica.
Questa Corte ha affermato che in tema di valutazione delle risultanze peritali, quando le conclusioni del perito d’ufficio non siano condivise dai consulenti di parte, ed il giudice ritenga di aderire alle prime, non dovra’ percio’ necessariamente fornire, in motivazione, la dimostrazione autonoma della loro esattezza scientifica e della erroneita’, per converso, delle altre, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di aver comunque criticamente valutato le conclusioni del perito d’ufficio, senza ignorare le argomentazioni dei consulenti; ragione per cui potra’ configurarsi vizio di motivazione solo quando risulti che queste ultime fossero tali da dimostrare in modo assolutamente lampante ed inconfutabile la fallacia di quanto affermato dal suddetto perito; e cio’ avuto riguardo anche alla diversa posizione processuale dei consulenti di parte rispetto ai periti, essendo i primi, a differenza degli altri, chiamati a prestare la loro opera nel solo interesse della parte che li ha nominati, senza assunzione, quindi, dell’impegno di obiettivita’ previsto, per i soli periti, dall’articolo 226 c.p.p. (cosi’ Sez. 1, n. 11706 del 11/11/1993, Rv. 196076; Sez. 4, n. 11235 del 5/6/1997, Rv. 209675). In virtu’ del principio del libero convincimento, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, costituisce poi giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimita’, purche’ la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell’opinione disattesa e delle decisioni contrarie delle parti (Sez. 4, n. 8527 del 13/2/2015, Rv. 263435; Sez. 4, n. 45126 del 6/11/2008, Rv. 241907).
L’impugnata sentenza ha fatto buon governo di tali principi: ferma restando la violazione da parte dell’ (OMISSIS) delle linee guida e dei protocolli in materia di cura dell’obesita’, accertata in sede di merito, la Corte territoriale e’ pervenuta alla conferma dell’assoluzione per insussistenza del fatto, dopo aver motivato in maniera ampia ed esaustiva – conformemente alle conclusioni cui era pervenuto il collegio peritale – sulla inesistenza del nesso eziologico tra la somministrazione della fendimetrazina, in dosi e con modalita’ non conformi alla buona arte medica, ed il decesso del paziente.
I giudici di appello, dopo aver ampiamente illustrato le conclusioni del collegio peritale, fatte proprie dal Tribunale, e le opposte tesi dei consulenti del P.M. e delle parti civili, esposte nei motivi di appello, hanno ritenuto che la problematicita’ della corretta ricostruzione dell’eziologia dell’evento nei casi di c.d. “morte improvvisa”, in cui poteva presentarsi una multifattorialita’ di cause non sempre clinicamente individuabili, non si era presentata nel caso concreto.
Hanno rimarcato in primo luogo alcuni elementi di fatto incontestati:
– il (OMISSIS), negli anni tra il 1993 ed il 2005 aveva assunto fendimetrazina senza nessun effetto comparabile a quello per cui e’ processo e cio’ costituiva un primo elemento a sostegno della tesi che non fu tale farmaco a determinare l’insulto cardiaco causa del decesso, che verosimilmente si sarebbe altrimenti verificato prima; sul motivo di tale significativa circostanza i consulenti del P.M. non avevano fornito alcuna spiegazione e dunque il dato manteneva inalterata la propria valenza logico scientifica ineludibile nella valutazione del caso in esame;
– durante la cena, la sera dell’evento, il (OMISSIS) aveva accusato un dolore al braccio ed il decesso si era verificato diverse ore dopo, mentre il paziente dormiva ed era in condizioni di inattivita’. L’evento aritmico primitivo, ipotizzato dal P.M. e dalle parti civili, non si conciliava con l’insorgenza della fase agonica in un soggetto inattivo perche’ dormiente ne’ con la circostanza che la sintomatologia era insorta alcune ore prima della morte, quando nel corso della cena il paziente aveva lamentato un forte dolore al braccio: l’aritmia maligna agiva invece in un arco temporale ben piu’ ristretto, anche di pochi minuti, stante la comparsa improvvisa dell’insulto;
– l’esame autoptico aveva rivelato in corrispondenza del ramo discendente anteriore della coronaria sinistra, nei primi centimetri della sua origine, placche giallastre eccentriche, a conferma dell’ipotesi che il giovane era portatore di una cardiopatia ischemica “non clinicamente espressa”, mentre non erano emerse evidenze anatomo patologiche ed istologiche che supportassero altre cause di morte improvvisa, del tipo miocardiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro;

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