Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 10 novembre 2017, n. 51448. La responsabilita’ del proprietario di un animale per le lesioni arrecate a terzi dall’animale medesimo, puo’ essere affermata ove si accerti in positivo la colpa in forza dei parametri stabiliti in tema di obblighi di custodia dall’articolo 672 cod. pen.

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Il ricorrente deduce l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di lesioni personali per difetto dell’elemento oggettivo del reato e del nesso di causalita’ tra l’azione o l’omissione del soggetto agente e l’evento lesivo accaduto al (OMISSIS). L’imputato, infatti, non sarebbe stato ne’ proprietario del cane ne’ detentore dello stesso, trattandosi di un cucciolo randagio di pastore tedesco.
Il difensore ricorrente evidenzia che i testi dell’accusa hanno riferito in dibattimento che si trattava di un cane visto a passeggio solo in un’occasione con i figli dell’imputato, qualche giorno prima del fatto, mentre se fosse stato il (OMISSIS) il vero proprietario quantomeno ne avrebbero notato un rapporto stabile con l’animale, che invece non hanno mai visto in sua compagnia o al suo guinzaglio.
Se ne desumerebbe che il (OMISSIS) non avesse alcun obbligo di custodia dello stesso, tenuto anche conto che sia la persona offesa, che il fratello e la madre, hanno ricordato che l’imputato era contrario al fatto che i figli si intrattenessero con il cane in questione, per cui non vi sarebbe stata alcuna tolleranza da parte dell’imputato in merito al fatto che l’animale si aggirasse dinanzi la propria abitazione. Ne’ alcuna prova di segno contrario potrebbe essere dedotta dalla foto depositata nel fascicolo d’ufficio dal difensore della persona offesa, in cui si vede il cane legato ad una catena, in un area demaniale situata nei pressi della proprieta’ del (OMISSIS). Si fa presente in ricorso, infatti, che, a seguito dell’infortunio, era stato lo stesso (OMISSIS), persona offesa, a chiedere ai vicini di aiutarlo ad incatenare il cane al fine poter effettuare degli accertamenti sanitari sull’animale. Di conseguenza, trattandosi di cane randagio, veniva informata la ASL competente, che effettuava accertamenti sanitari sull’animale, il quale, peraltro, non risultava affetto da patologie contagiose ne’ dannose per la pubblica incolumita’.
Il difensore ricorrente lamenta, inoltre, che, nella fattispecie in esame, difetterebbe totalmente l’elemento soggettivo del reato, ossia la colpa, in quanto non sarebbero addebitabili all’imputato ne’ l’omessa custodia e nemmeno l’omessa cautela nel vigilare sul cane, trattandosi di cane randagio, visto in qualche sporadica occasione giocare con i suoi figli in un area pubblica.
Viene ricordato in ricorso che il teste (OMISSIS) abbia riferito come l’animale si aggirasse spesso nei pressi di un campo di calcetto derivandone che la responsabilita’ della mancata custodia e vigilanza del cucciolo andrebbe addebitata al Comune ed alla ASL competente, unici soggetti titolari del relativo obbligo di custodia.
Dunque, nel caso di specie, ad avviso del ricorrente, mancherebbero tutti gli elementi costitutivi del reato contestato. Viene richiamato sul punto il dictum di una risalente sentenza di questa Corte di legittimita’ 14 novembre 1961, Laggada (CPMA 62, 210) secondo cui deve ritenersi vagante un cane trovato libero sulla pubblica strada anche se ad un metro dall’abitazione del proprietario. E, a corroborare ancora di piu’ la tesi per cui il (OMISSIS) doveva andare esente da penale responsabilita’, vengono richiamati due ulteriori (e risalenti) sentenze di questa Corte (13 aprile 1951, Cammarota, GP 51, 2, 1061, nt. Grieco; 27 marzo 1952, Godani, G3 52, 1, 606, 1600) secondo cui il possesso dell’animale non va confuso con la semplice detenzione momentanea e, pertanto, deve ritenersi possessore dell’animale il proprietario, anche se momentaneamente non ne sia il detentore, sicche’ a lui spetta l’adozione delle cautele del caso. Di conseguenza, prosegue il ricorso, dovendosi escludere la responsabilita’ penale del (OMISSIS), verrebbe a mancare altresi’ il presupposto per una condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, nonche’ alla rifusione delle spese di costituzione e difesa, in quanto solo il proprietario di un cane risponde in relazione agli obblighi che derivano dall’essere lui solo la persona che dispone dell’animale e che puo’ controllare le sue reazioni.
Viene anche ricordata la pronuncia Sez. 5 n. 34589/2008 secondo cui, anche nel caso in cui l’animale venga condotto da terzi a rispondere per eventuali danni provocati dall’animale e’ sempre il proprietario, in quanto l’obbligo di controllo del cane incombe di diritto sempre su quest’ultimo, al quale spetta anche l’obbligo di impedire che persona inidonea a contenere e controllare le reazioni dell’animale lo porti a spasso, ovvero di verificare che l’uscita avvenga con l’adozione delle prescritte cautele. E anche la pronuncia 1485/1958 secondo cui, inoltre, la possibilita’ di, sfruttamento dell’animale e la correlativa responsabilita’ manca, evidentemente, allorche’ l’animale segua una persona amica del proprio padrone e, in tale occasione, arrechi danni a terzi.
Alla luce di quanto sopra, la mancata custodia sarebbe eventualmente da addebitarsi al Comune o alla ASL, trattandosi di un cane che girovagava nei pressi di un campo di calcio. Pertanto, conclude il ricorrente, la motivazione dell’impugnata sentenza, sul punto, sarebbe illogica e carente.
c. Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, in particolare per mancata derubricazione del reato nella fattispecie di cui all’articolo 672 cod. pen..
Il ricorrente, in via subordinata, eccepisce la mancata derubricazione del reato di cui all’articolo 590 c.p. nella fattispecie di cui all’articolo 672 c.p. e la conseguente applicazione di una sanzione meno afflittiva, trattandosi di reato depenalizzato oggi punito con una sanzione amministrativa.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. In primis, va rilevato che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente – e da qui la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso – alla data in cui veniva emanata la sentenza oggi impugnata (31/3/2014) non era ancora decorso il termine massimo di prescrizione.
Cio’ in quanto occorreva tenere conto delle sospensioni della prescrizione determinate dai rinvii delle udienze su istanza del difensore e non determinate da esigenze di acquisizione della prova, a cominciare da quello dell’udienza del 9/2/2009, in primo grado, in cui i difensori delle parti – come si evince dal relativo verbale cui questa Corte di legittimita’ ha ritenuto di accedere in ragione della natura della doglianza proposta- dichiaravano essere in corso trattative di bonario componimento e chiedevano congiuntamente un rinvio per cui, nulla osservando il PM, il giudice disponeva in conformita’.
Va ricordato, sul punto, che questa Corte di legittimita’ ha chiarito in piu’ occasioni – e va qui ribadito – che la sospensione della prescrizione opera in tali casi ex lege e non occorre alcun provvedimento dichiarativo del giudice.
Gia’ all’inizio degli anni Duemila le Sezioni Unite ebbero a precisare che, in tema di prescrizione del reato, la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano l’automatica sospensione dei relativi termini ogni qualvolta siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta e sempre che l’una o l’altro non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova o dal riconoscimento di un termine a difesa (cosi’ Sez. Un. n. 1021 del 28/11/2001 dep. il 2002, Cremonese, Rv. 220509, che, in applicazione di tale principio, ritennero che plurimi rinvii del dibattimento disposti in un procedimento per lesioni colpose, a seguito dell’adesione del difensore all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dall’associazione di categoria, comportassero la sospensione del corso della prescrizione per tutto il periodo complessivo della durata dei rinvii predetti). E due anni piu’ tardi ribadirono che il corso della prescrizione del reato e’ sospeso nei periodi durante i quali il dibattimento e’ rinviato per impedimento o su richiesta dell’imputato o del difensore (Sez. Un., n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226075).
Nel 2015, poi Sez. Un. n. 4909 del 18/12/2014 dep. il 2015, Torchio, Rv. 262913 hanno precisato ulteriormente che il rinvio dell’udienza per impedimento legittimo del difensore per contemporaneo impegno professionale determina la sospensione del corso della prescrizione fino ad un termine massimo di sessanta giorni a far capo dalla cessazione dell’impedimento stesso, dovendosi applicare in tal caso la disposizione di cui all’articolo 159 c.p., comma 1, n. 3, nel testo introdotto dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, articolo 6. Viceversa, qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, il corso della prescrizione e’ sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facolta’ delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione.
Ancora di recente, poi, si e’ condivisibilmente ribadito che il provvedimento di rinvio del processo disposto dal giudice su istanza e per esigenze della parte richiedente, da’ sempre luogo alla sospensione dei termini di prescrizione per l’intera durata del rinvio, a prescindere dalle ragioni poste a fondamento della richiesta, salvo che esse consistano in un legittimo impedimento della parte o del suo difensore, poiche’, in tal caso, la sospensione ha una durata massima di sessanta giorni (Sez. 7, Ord. n. 8124 del 25/1/2016, Nascio ed altro, Rv. 266469 in una fattispecie relativa a richiesta di rinvio per concessione di termini a difesa per discussione).

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