L’esimente della provocazione non può essere applicata al reato di molestie nei confronti del vicino perpetrato attraverso telefonate ‘mute’ come reazione ai rumori prodotti.

Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 3 aprile 2018, n. 14782.

L’esimente della provocazione non può essere applicata al reato di molestie nei confronti del vicino perpetrato attraverso telefonate ‘mute’ come reazione ai rumori prodotti.

Sentenza 3 aprile 2018, n. 14782
Data udienza 29 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZEI Antonella P. – Presidente

Dott. TARDIO Angela – Consigliere

Dott. FIORDALISI Domenico – rel. Consigliere

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere

Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile (OMISSIS), nato il (OMISSIS);
dalla parte civile (OMISSIS), nato il (OMISSIS);
dalla parte civile (OMISSIS), nato il (OMISSIS);
dalla parte civile (OMISSIS), nato il (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 29/01/2016 del TRIBUNALE di PARMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DOMENICO FIORDALISI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MURA Antonio che ha concluso;
Il P.G. chiede l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore:
L’avvocato (OMISSIS) si associa alle conclusioni del P.G..
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS) con sentenza del Tribunale di Parma del 29/01/2016 e’ stato assolto dall’accusa del reato di molestie di cui all’articolo 660 c.p., commesso ai danni del suo vicino di casa dott. (OMISSIS) con reiterate telefonate mute a tutte le ore.
Il giudice con la sentenza del 29/01/2016 ha ritenuto la sussistenza dell’esimente della provocazione prevista dall’articolo 599 c.p., comma 2 (da individuarsi piu’ correttamente nell’unico comma di tale articolo, dopo l’abrogazione del primo comma avvenuta per effetto del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 2, comma 1, lettera i), n. 2) considerando quale causa di non punibilita’ la situazione che si concretizza in una reazione nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto che le molestie acustiche poste in essere mediante rumori di tacchi, parte sbattute, tapparelle alzate ed abbassate a tutte le ore consenta l’applicabilita’ della norma al di la’ dei delitti di ingiuria e diffamazione.
Secondo il provvedimento impugnato, l’applicabilita’ dell’esimente non puo’ essere limitata al delitto di ingiuria e diffamazione, come testualmente previsto dalla norma, ma va esteso alla fattispecie di cui all’articolo 660 c.p..
Le costituite parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione ai soli effetti civili, deducendo, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e in relazione all’articolo 660 c.p., l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, in quanto il legislatore non avrebbe codificato la scriminante di condotte siffatte mentre, nel caso di specie, solo il comportamento dell’imputato sarebbe qualificabile come molestia; d’altronde non sarebbe emerso alcun comportamento illecito posto in essere dal (OMISSIS), nemmeno la violazione del regolamento condominiale.
Con memoria difensiva, l’imputato (OMISSIS) deduce l’inammissibilita’ del ricorso delle parti civili, per violazione dell’articolo 576 c.p.p., non avendo le stesse alcuna possibilita’ di impugnare la sentenza di assoluzione di primo grado, con una mera rivalutazione dei dati probatori acquisiti.
Inoltre, con riferimento alla motivazione della sentenza, il giudice sostanzialmente avrebbe evidenziato che la condotta non fosse da attribuire a “biasimevoli motivi”, cioe’ a una condotta che comportasse una disapprovazione per la futilita’ del motivo che l’ha originata, rispetto a preesistenti regole giuridiche, di costume e di convivenza sociale; pertanto, difetterebbe un elemento costitutivo del reato.
(OMISSIS) eccepisce, infine, la prescrizione del reato intervenuta nelle more del processo, agli effetti della conseguente declaratoria di estinzione del reato ex articolo 129 c.p.p., in quanto la condotta contestata sarebbe cessata il 2 ottobre 2011 e sarebbero trascorsi piu’ di cinque anni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso delle parti civili e’ fondato e contrariamente a quanto eccepito dal (OMISSIS), e’ ammissibile perche’ la parte civile puo’ impugnare ai meri effetti civili la sentenza di assoluzione dell’imputato, ai sensi del chiaro disposto dell’articolo 576 c.p.p., mentre al momento della pronuncia della sentenza impugnata il reato non era prescritto.
L’articolo 599 c.p., comma 2, prevede una condizione di non punibilita’ che, per espressa disposizione di legge, si applica solo agli articoli 594 e 595 c.p..
La disposizione trova la propria ratio nella condizione di colui che subisce una aggressione verbale con caratteri ingiuriosi o diffamatori; situazione che ha un particolare rilievo per il legislatore al punto da escludere conseguenze penali per la reazione della vittima di tali azioni, quando si viene a delineare una peculiare situazione soggettiva di tipo emotivo, apprezzata dal legislatore in termini di inesigibilita’.
L’esimente ha, di conseguenza, dei precisi limiti oggettivi e soggettivi indicati dalla norma e non appare suscettibile di applicazione analogica.
Per l’applicabilita’ dell’esimente, occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che, per la sua intrinseca illegittimita’ o per la sua contrarieta’ alle norme del vivere civile (Sez. 5, n. 9907 del 16/12/2011, Rv. 252948), abbia in se’ la potenzialita’ di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente, anche in assenza di proporzione fra la reazione ed il fatto ingiusto altrui.
Ritiene pero’ il Collegio che la reazione della vittima di tale condotta abbia la rilevanza esimente voluta dalla norma solo quando integri i reati testualmente indicati dall’articolo 599 c.p.: ingiuria o diffamazione (articoli 594 e 595 c.p.); ora – dopo la novella del 2016 – solo quello di diffamazione.
Non e’ ammissibile l’estensione analogica della scriminante, come e’ stato ritenuto nella sentenza impugnata, in modo da comprendere pure il reato di molestia o di disturbo alle persone previsto dall’articolo 660 c.p..
D’altronde, confligge con tale interpretazione la stessa ratio e la struttura della scriminante che ha natura tutta soggettiva, per la particolare considerazione data dal legislatore allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, subito dopo che esso si e’ verificato.
Solo nel momento in cui viene percepito e immediatamente dopo tale istante, il fatto ingiusto altrui puo’ avere tale rilevanza esimente, esentando da pena colui che, in uno stato psicologico d’ira, reagisce.
Nella stessa Relazione al Re sul codice penale si legge che il requisito della immediatezza e’ stato introdotto per non confondere la provocazione con la vendetta, di guisa che la ratio di inesigibilita’ dell’esimente e’ sottesa alla provocazione, che gia’ e’ contemplata come circostanza attenuante comune e, nella speciale materia dei delitti contro l’onore, eccezionalmente manda esente da pena l’autore del reato, pur lasciando in vita le eventuali conseguenze civili, per l’incontenibilita’ dell’impulso emotivo dello stato d’ira, che la caratterizza quale causa speciale di esenzione dalla pena.
Si tratta, quindi, di una esimente la cui ratio risiede esclusivamente in una scelta di mera opportunita’ fatta dal legislatore, che concerne solo determinati delitti contro l’onore.
Il legislatore, invece, attraverso la previsione nell’articolo 660 c.p. di un fatto recante molestia alla quiete di un privato, ha inteso tutelare anche la tranquillita’ pubblica per l’incidenza che il suo turbamento ha sull’ordine pubblico, data l’astratta possibilita’ di reazione delle persone offese, pertanto, rispetto a detta contravvenzione viene in considerazione l’ordine pubblico, pur trattandosi di offesa alla quiete privata, infatti il reato e’ perseguibile di ufficio.
Il reato, pertanto, e’ plurioffensivo (Sez. 1 n. 12303 del 28/02/200).
Per di piu’, di fronte ad un comportamento reiterato o prolungato nel tempo che si concretizza in semplici rumori molesti, si e’ oltre l’ambito ristretto in cui il legislatore ha dato eccezionale rilevanza esimente a uno stato emotivo momentaneo che, per la sua improvvisa intensita’, comprime la capacita’ di ponderazione e controllo delle proprie scelte di condotta.
La sentenza impugnata, pertanto, lungi dal considerare assente un elemento costitutivo del reato di molestie, per come sostenuto in ricorso dal (OMISSIS), ha incentrato la propria decisione sulla ritenuta estensione analogica della speciale causa di non punibilita’ dell’articolo 599 c.p., comma 2.
Tale situazione si evince dal riferimento alle “condotte ritorsive” fatto a pag. 4 e alla estensione del “motivo ritorsivo quale causa di non punibilita’ ex articolo 599 c.p., comma 2”, spiegata a pag. 6 della sentenza.
Nel provvedimento in esame vengono interpretati in modo errato gli articoli 599 e 660 c.p. e lo stesso deve quindi essere annullato con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per l’esame della domanda delle costituite parte civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.

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