Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 28 settembre 2017, n. 44859. Il divieto di una pluralità di sentenze per lo stesso fatto a carico di una stessa persona

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2. E’ noto che l’applicazione del principio che vieta il “bis in idem” richiede, secondo l’espressione testuale contenuta nell’articolo 649 c.p.p. e nell’articolo 669 c.p.p., comma 1, l’identita’ del fatto, locuzione costantemente intesa nella giurisprudenza di legittimita’ come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, portata alla cognizione del giudice nei distinti processi, e, dunque, come “corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona” (Cass. S.U., n. 34655 del 28/06/2005, P.G. in proc. Donati ed altro, Rv. 231799).
La giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, piu’ volte chiarito che “il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per le finalita’ esecutive” (Sez. 1, n. 36 del 09/01/1996, dep. 21/02/1996, Morelli, Rv. 203816, in tema di interpretazione del giudicato ai fini della revoca dell’indulto; Sez. 4, n. 2706 del 08/11/1996, dep. 07/01/1997, Mazzali, Rv. 206616, con riguardo al caso di esclusione di aggravanti non espressamente menzionata in dispositivo; Sez. 6, n. 8030 del 11/12/2002, dep. 18/02/2003, Bini, Rv. 224703, in tema di revoca della sentenza di condanna a seguito di abolitio criminis; Sez. 1″, n. 11512 del 21/01/2005, dep. 22/03/2005, Spinelli, Rv. 231267, in tema di verifica della data del commesso reato). Con specifico riguardo al tempus commissi delicti, che sia stato indicato in modo impreciso e senza riferimenti fattuali concreti nel capo di imputazione, il giudice dell’esecuzione puo’ e deve prendere conoscenza del contenuto della sentenza e, occorrendo, degli atti del procedimento, per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile desumere l’effettiva data del reato, la cui determinazione sia rilevante ai fini della decisione che gli e’ demandata (in termini: Sez. 1 n. 25735 del 12/06/2008, dep. 25/06/2008, Labate, Rv. 240475); cio’ che non e’ consentito al giudice dell’esecuzione e’, di contro, modificare il giudicato nei suoi elementi essenziali fra i quali e’ inclusa la data di commissione del reato allorche’ essa abbia costituito oggetto di specifico esame in sede di cognizione ovvero procedere ad una modifica sostanziale del dictum della sentenza, interpretando il giudicato attraverso una autonoma rivisitazione delle emergenze processuali.
2.1 Nel caso di specie, tale analisi delle sentenze irrevocabili e degli atti da esse espressamente richiamati o supposti, al fine di determinare la medesimezza o meno dei fatti oggetto dei due distinti accertamenti giurisdizionali, e’ stata sostanzialmente omessa. Sebbene, infatti, sia stata affermata in premessa l’ineludibile necessita’ di una puntuale comparazione delle distinte sentenze, nessun effettivo raffronto risulta condotto, se non quello formale ed insufficiente tra le imputazioni formulate nei due separati procedimenti.
Ed invero, quanto ai fatti oggetto della sentenza di condanna della Corte di appello di Palermo, il giudice dell’esecuzione ha sostanzialmente mancato di individuare, precisandoli, gli specifici episodi che i giudici della cognizione avevano ricostruito ed accertato sulla base degli acquisiti elementi di prova (rappresentati, per quanto emerge dallo stesso provvedimento, dalle convergenti propalazioni venienti delle due uniche fonti di accusa, (OMISSIS) e (OMISSIS));
ha testualmente affermato che “secondo le credibili (…) ricostruzioni del (OMISSIS) (riportate a f. 196 della sentenza del Tribunale di Palermo) l’attivita’ di (OMISSIS), che lavorava con il gruppo (OMISSIS) era durata ininterrottamente almeno fino al luglio 2007 e cio’ (OMISSIS) ribadiva con certezza perche’ aveva continuato a rifornirsi di cocaina da loro che gli facevano ottime condizioni di pagamento”, laddove, sempre a p. 196, il Tribunale sintetizzava anche le dichiarazioni del (OMISSIS) in ordine alle cessioni realizzate con (OMISSIS) in favore dei siciliani (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sino e non oltre il natale 2004, per poi annotare l’assoluta convergenza degli apporti informativi dei due collaboratori fondante la responsabilita’ del (OMISSIS) in ordine alla contestata violazione in materia di stupefacenti;
non ha spiegato sulla base di quali elementi, desumibili dalla lettura dei titoli giudiziari, le operazioni di vendita delle partite di cocaina che (OMISSIS) ha dichiarato di aver direttamente acquistato da (OMISSIS) e (OMISSIS) prima di cedere il canale di rifornimento ai suoi ex soci (transazioni corrispondenti ai fatti di reato sub c) e d) di cui alla sentenza di condanna della Corte di appello di Milano) fossero rimaste estranee al perimetro delle condotte sanzionate dai giudici palermitani, dovendosi convenire con il ricorrente sulla labilita’ dell’elemento addotto a sostegno dell’operata ricognizione dell’imputazione trasfusa nel capo 56 della rubrica che non menziona ne’ descrive alcuno specifico episodio di cessione;
privo di pregio e’, infine, l’argomento secondo il quale, in assenza di una formale pronunzia di assoluzione parziale dalle contestate cessioni (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), debba ritenersi intervenuta una formale statuizione di condanna sui relativi addebiti; tale assertiva affermazione, ne’ logica ne’ coerente con il contenuto delle decisioni di condanna che, a detta della stessa Corte palermitana, non hanno affrontato il merito delle contestazioni, non puo’ sfuggire a censura, trovando la relativa critica difensiva solido fondamento nella sentenza di questa Corte del 20.02.2013 (pure richiamata dalla decisione impugnata) che, in ordine alle cessioni poste in essere in favore dei milanesi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capi D ed E) ha testualmente affermato “tali episodi, seppur formalmente enunciati nei capi di imputazione e sfiorati dalle deposizioni del solo (OMISSIS) (v. pagg. 31 e 34 sentenza di primo grado), in realta’ non sono stati proprio valutati dai giudici di merito nel fondare il giudizio di penale responsabilita’ del (OMISSIS) (cfr. pagg. 32 e 34 della sentenza di primo grado che, nel ricostruire le due vicende, richiama solo i passaggi relativi alla fornitura ai siciliani). E lo stesso dicasi per la sentenza di appello (cfr. pagg. 26 e 27)”.
2.2 Vi e’, poi, da considerare che il provvedimento impugnato ha nitidamente affermato, a p. 3, “che i traffici di cocaina curati dal (OMISSIS) (…) sicuramente hanno conosciuto aree di tangenza e segmenti di realizzazione risultati comuni, almeno in parte, ai distinti accertamenti giurisdizionali”, eppero’ ha ritenuto dato ostativo all’accoglimento dell’istanza la diffusione temporale delle condotte configurate nel processo palermitano quali segmenti di un piu’ ampio disegno criminoso, ossia come elementi di un reato continuato, cosi’ descritto nell’imputazione e ritenuto tale nella sentenza di condanna, senza confrontarsi in concreto con la sussistenza di una effettiva sovrapposizione parziale dei fatti separatamente giudicati, ne’ tenendo conto alcuno della disposizione di cui all’articolo 669 c.p.p., comma 6, che espressamente prevede la possibilita’ di una parziale corrispondenza tra fatti, oggetto di distinte pronunce, e di una revoca altrettanto parziale del giudicato, limitatamente alla porzione di pena che risulti o venga considerata dal giudice dell’esecuzione inflitta per gli stessi fatti di reato, accertati in altro titolo giudiziale quale unico illecito, oppure come uno degli illeciti concorrenti, ovvero quali episodi confluiti nel reato continuato (Sez. 1 n. 11757 del 16/02/2012, Borzi’, Rv. 252566, secondo la quale “Il divieto di pluralita’ di sentenze per il medesimo fatto contro la medesima persona (articolo 669 c.p.p.) non viene meno sol perche’, insieme a tale fatto, le piu’ sentenze giudichino anche altri fatti, in ipotesi concorrenti con quello ripetutamente giudicato).”
L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio alla Corte di appello di Palermo per nuovo esame da condursi in considerazione dei rilievi e dei principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Palermo.

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