Corte di Cassazione, sezione prima penale, sentenza 24 novembre 2017, n. 53426. La detenzione domiciliare “speciale” di cui possono beneficiare le condannate madri di prole di età inferiore a dieci anni

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1. Il ricorso e’ infondato e va respinto.
1.1. L’ordinamento penitenziario ha avuto cura di assicurare particolare attenzione alla maternita’ delle detenute ed all’infanzia coinvolta nelle vicende carcerarie dei genitori. Lo dimostrano i servizi speciali offerti alle gestanti (articolo 11 O.P.), la possibilita’ offerta alle madri di tenere presso di se’ i figli fino a tre anni, l’organizzazione possibile di asili nido negli istituti di detenzione, la semiliberta’ offerta alle madri di prole di eta’ inferiore a tre anni (articolo 50 O.P.). I principi solidaristici che alimentano il quadro indicato hanno ispirato anche l’introduzione della detenzione domiciliare (articolo 47 ter O.P.).
In realta’ la tutela dell’infanzia, nella logica del presidio costituzionale di cui all’articolo 31 Cost., ha anche stimolato la L. n. 40 del 2001, protesa ad assicurare una assistenza materna continua in un ambiente familiare attraverso uno strumento specifico (L. 26 luglio 1975, n. 354, articolo 47 quinquies, detenzione domiciliare speciale).
Il fine di salvaguardia del rapporto genitore-figli e, soprattutto, di tutela dello sviluppo psicofisico del minore e’ indubbiamente al centro delle finalita’ della norma.
La disciplina vigente, peraltro, impone al giudice delicate valutazioni e un contemperamento dei diversi interessi che si possono rivelare, prediligendo, sin dove possibile, le esigenze di tutela e di crescita del minore stesso. In questa logica si coglie la complessiva ricostruzione dei presupposti per la concessione del beneficio in esame.
1.2. La condannata deve essere madre di prole di eta’ non superiore ad anni dieci e non deve sussistere un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. Deve, altresi’, ricorrere la possibilita’ di ripristinare la convivenza con i figli e la detenuta deve aver espiato almeno un terzo della pena ovvero quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.
Si tratta di presupposti che segnano l’ambito di operativita’ dell’istituto e ne tracciano lo statuto attraverso referenti indefettibili di valutazione per il riconoscimento del beneficio. Si tratta di requisiti che in positivo e in negativo devono ricorrere congiuntamente, rispetto ai quali, l’eventuale difetto di taluno di essi, renderebbe non accoglibile la domanda di misura alternativa.
2. Nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza di Palermo con motivazione immune dai vizi denunciati ha ritenuto ricorrente il pericolo di reiterazione dei reati. Ha, in particolare, richiamato il ruolo di primo piano assunto dalla ricorrente nel sodalizio criminale e ha spiegato che si trattava di un ruolo direttivo. Questo dato aveva indotto a ritenere che non si potessero escludere legami con altri appartenenti alla criminalita’ organizzata e che si rendeva sussistente un profilo di pericolosita’ sociale, gia’ di per se’ ostativo alla concessione del beneficio invocato. Si e’, poi, valorizzata, in senso negativo, la condizione psicologica della (OMISSIS), condizione che non le permetteva viepiu’ di riprendere la convivenza con la figlia minore, accudendola e curandola nel migliore dei modi.
La conclusione si e’ fondata sulla relazione comportamentale dell’istituto penitenziario che aveva dato conto trattarsi di soggetto affetto da disturbo delirante e trasferito, presso l’ospedale di (OMISSIS), servizio psichiatrico, in TSO a causa di delirio di persecuzione, grave agitazione psicomotoria e rifiuto di qualsiasi approccio terapeutico.
Ebbene si tratta di aspetti correttamente valutati come ostativi al riconoscimento del beneficio invocato e che non avrebbero permesso la ripresa della convivenza della ricorrente con le di lei figlie.
Del resto, l’interesse del minore, indubbiamente centrale nella struttura della disposizione non si sottrae, comunque, ad un bilanciamento razionale con le ulteriori esigenze che nella vicenda de qua egualmente affiorano e con quella legata alle esigenze di difesa sociale in una logica che, d’altro canto, richiede una verifica comparativa complessa che tenga anche conto in concreto della effettiva possibilita’, da parte dei minori di eta’, concessa la misura alternativa, di fruire delle cure materne. Affinche’ cio’ accada, tuttavia, occorre che il genitore sia effettivamente nelle condizioni di poter riprendere il rapporto con i figli e di poter prestare realisticamente le cure parentali.
Questo aspetto nel caso de quo risulta escluso con un giudizio di merito immune da censure.
Le deduzioni contenute in ricorso finiscono – a fronte degli stessi richiami contenuti nel provvedimento impugnato alla relazione comportamentale – per rimettere alla Corte di legittimita’ una valutazione di fatto, diversa da quella raggiunta, invocando una lettura alternativa della vicenda correttamente scrutinata dal Tribunale di sorveglianza.
Questa Corte ha del resto avuto modo di spiegare che ai fini dell’applicazione della detenzione domiciliare speciale di cui alla L. n. 354 del 1975, articolo 47 quinquies, il giudice, dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti formali ed escluso il concreto pericolo di commissione di ulteriori reati, deve verificare la possibilita’ per la condannata sia di reinserimento sociale sia di effettivo esercizio delle cure parentali nei confronti di prole di eta’ non superiore ai dieci anni, costituendo il primo un requisito necessario per l’ammissione al regime alternativo e la seconda la circostanza che giustifica il maggior ambito applicativo della misura alternativa (Sez. 1, 38731 del 07/03/2013, Radouane, Rv. 257111).
3. Nel caso di specie il giudice a quo si e’ attenuto ai principi affermati da questa Corte e il ricorso va, dunque, respinto, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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