Per i fini del riconoscimento della responsabilita’ aquiliana della Consob

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11. – Il ricorso principale contro la sentenza del 5 maggio 2014 e’ fondato nei limiti che seguono.

11.1. – Va accolto il primo motivo.

La Consob ha proposto appello nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), decedute nel corso del giudizio di primo grado senza che l’evento interruttivo fosse stato dichiarato ovvero notificato ai sensi dell’articolo 300 c.p.c..

In proposito la Corte d’appello, come si e’ visto, ha ritenuto, uniformandosi all’indirizzo giurisprudenziale all’epoca condiviso, che l’appellante, nella situazione verificatasi, fosse onerato della proposizione dell’impugnazione nei confronti della “giusta parte”, ossia degli eredi delle (OMISSIS).

Ma, le Sezioni Unite di questa Corte, riprendendo una soluzione gia’ precedentemente accolta, hanno da ultimo riaffermato il c.d. principio dell’ultrattivita’ del mandato, in forza del quale, in caso di evento interruttivo che, durante lo svolgimento del primo grado del giudizio, abbia colpito la parte costituita e non sia stato dichiarato o notificato, l’impugnazione notificata alla parte deceduta presso il procuratore costituito, ai sensi dell’articolo 330 c.p.c., e’ ammissibile (Cass., Sez. Un., 4 luglio 2014, n. 15295).

Sicche’ la pronuncia impugnata va cassata con rinvio nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’appello proposto nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).

11.2. – E’ fondato il secondo motivo.

Quantunque l’appello fosse stato proposto nei confronti anche di (OMISSIS), la Corte d’appello non ha nei suoi riguardi pronunciato, non essendo ella menzionata ne’ nell’intestazione, ne’ nel dispositivo della sentenza, ne’ altrove.

Sicche’ la pronuncia impugnata va cassata con rinvio nella parte in cui ha omesso di pronunciare sull’appello spiegato nei confronti di (OMISSIS).

11.3. – Il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, tutti spiegati sotto il profilo della violazione di legge, possono essere simultaneamente esaminati, giacche’ diretti a censurare la pronuncia della Corte d’appello sull’an della riconosciuta responsabilita’ risarcitoria ex lege aquilia della Consob sotto un duplice profilo:

-) e perche’, trattandosi di responsabilita’ omissiva, sarebbe stato insussistente l’obbligo giuridico, in capo alla Consob, di impedire l’evento, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2;

-) e perche’ non sarebbe stata predicabile, per distinte ragioni, la sussistenza del nesso causale tra la denunciata omissione ed il danno lamentato.

11.3.1. – Tali motivi – svolti in modo pesantemente pletorico, con plurime sovrapposizioni e moltiplicazioni dei medesimi argomenti, diluiti nei diversi motivi – sono palesemente infondati.

Nella sostanza, cio’ che la Consob vagheggia e’ una ormai inesistente immunita’ dalla responsabilita’ aquiliana, sull’assunto che la propria missione avrebbe avuto di mira all’epoca la tutela dell’integrita’ dei mercati e non anche le posizioni soggettive dei singoli risparmiatori, sicche’ essa Consob per un verso non sarebbe stata tenuta, e per altro verso non avrebbe avuto gli strumenti utili ad impedire il verificarsi del danno lamentato dagli originari attori: tesi, questa, che avrebbe probabilmente potuto raccogliere consensi all’epoca dell’istituzione della Consob, ma la cui riproposizione, oggi, e’ svolta in manifesta violazione delle regulae iuris operanti nella materia, elaborate e ribadite da questa Corte e che costituiscono ormai ius receptum.

La L. 7 giugno 1974, n. 216, istitutiva della Commissione nazionale per le societa’ e la borsa, risale a quasi mezzo secolo fa. Sarebbe stato all’epoca coerente coi limiti entro cui si riteneva configurabile la responsabilita’ aquiliana della pubblica amministrazione negare che la funzione di vigilanza della Consob fosse posta a tutela di interessi diversi da quello, di rilievo esclusivamente pubblicistico, al buon funzionamento dei mercati finanziari, interesse ben distinto da quelli dei singoli investitori eventualmente danneggiati da investimenti rovinosi ed ingannevoli che la Consob, nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, avesse potuto per avventura scongiurare. A fronte di tali poteri, suscettibili di esercizio con ampio margine di discrezionalita’, si riteneva infatti che le situazioni soggettive degli investitori non ascendessero al rango del diritto soggettivo, e fossero pertanto escluse dalla tutela risarcitoria (occorrendo a tal fine una lesione non solo non iure, ma anche contra ius), sia che si affermasse il difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario (Cass. 29 marzo 1981, n. 1531), sia che si pronunciasse il rigetto della domanda nel merito (Cass. 14 gennaio 1992, n. 367).

Gia’ nella seconda meta’ degli anni 90 del secolo scorso, tuttavia, alcune decisioni hanno ammesso la condanna di autorita’ indipendenti al risarcimento dei danni ex articolo 2043 c.c., individuando la posizione soggettiva lesa nel diritto soggettivo del risparmiatore all’integrita’ del patrimonio nonche’ all’autodeterminazione nello svolgimento dell’attivita’ negoziale (Cass., Sez. Un., 27 ottobre 1994, n. 8836, in materia di diffusione di informazioni inesatte e di omissioni o negligenze commesse dall’amministrazione nell’esercizio dei poteri di vigilanza; Cass., Sez. Un., 18 maggio 1995, n. 5477, in materia di ritardo nella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di un decreto con cui era stata revocata l’autorizzazione ad una societa’ a svolgere la sua attivita’).

I termini della questione, come e’ noto, si sono in seguito radicalmente modificati per effetto della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte che ha riconosciuto la risarcibilita’ ai sensi dell’articolo 2043 c.c. del danno causato dall’esercizio illegittimo della funzione pubblica (Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500). E’ sulla scia di questa decisione che si colloca l’ormai remoto riconoscimento della responsabilita’ della Consob, tenuta all’osservanza del principio del neminem laedere, per omissione di controllo, nella specie sui dati contenuti in un prospetto informativo falso (Cass. 3 marzo 2001, n. 3132), secondo una linea che successivamente risulta aver ricevuto soltanto conferme (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4587, concernente la medesima vicenda; Cass. 23 marzo 2011, n. 6681, anch’essa pronunciata nei confronti della Consob; ma v. pure p. es. la piu’ recente Cass. 20 febbraio 2015, n. 3458, concernente omessa verifica da parte dell’Ufficio Italiano Cambi della sussistenza dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco degli intermediari finanziari comunitari; ed ancora v. Cass. 9 maggio 2008, n. 11556, che, ricostruiti i termini della questione nella linea di cui si e’ detto, ha confermato la decisione di merito che aveva in concreto escluso profili di colpa in capo alla Consob).

E’ appena il caso di osservare che, nel quadro dell’orientamento giurisprudenziale cosi’ stabilizzatosi, l’inerzia o il ritardo della Consob, non possono mai ed in nessun caso trovare giustificazione nella discrezionalita’ tecnica che connota la sua attivita’, fermo essendo l’insegnamento di questa Corte secondo cui la discrezionalita’ relativa al quomodo della vigilanza non puo’ mai estendersi anche alla scelta radicale tra l’attivarsi o non, soprattutto qualora – come nel caso di specie, secondo quanto ritenuto, come si vedra’, dal giudice del merito con apprezzamento che si sottrae al sindacato di questa Corte -sussistano gravi indizi di irregolarita’ (Cass. 3 marzo 2001, n. 3132). Resta da dire, in generale, che, per i fini del riconoscimento della responsabilita’ aquiliana della Consob, non occorre, in effetti, enucleare un diritto soggettivo del risparmiatore all’integrita’ del patrimonio, e dunque cimentarsi con la discussa figura del danno “meramente patrimoniale”, giacche’ l’ingiustizia del danno ricorre alla condizione necessaria e sufficiente della sussistenza di una lesione inferta ad una posizione soggettiva tutelata dall’ordinamento sulla base di specifici indici normativi, quali nella specie quelli che imponevano alla Consob l’attivita’ di sorveglianza di cui si dira’ (e v. successivamente, con grado di inequivocita’ ancor maggiore, il testo del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 91 testo unico della finanza, secondo cui la Consob, “esercita i poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonche’ all’efficienza e alla trasparenza…”), letti attraverso la lente unificante del dettato costituzionale ritratto dall’articolo 47 Cost., e dunque del rilievo della tutela del risparmio.

11.3.2. – Cio’ premesso, quanto alla prima delle due direttrici lungo la quale le censure in esame si sviluppano (quella dell’insussistenza dell’obbligo giuridico, in capo alla Consob, di impedire l’evento, ai sensi dell’articolo 40 c.p., comma 2), non coglie nel segno l’assunto della Consob secondo cui essa non sarebbe stata titolare, all’epoca dei fatti, di poteri di vigilanza tali da giustificare l’addebito di un illecito aquiliano perpetrato mediante condotta omissiva, assunto sviluppato, per l’appunto, sul presupposto dell’assenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento di danno denunciato dagli attori, obbligo rilevante per i fini dell’integrazione del nesso di causalita’ materiale scrutinato in applicazione dell’articolo 40 c.p., comma 2.

Difatti la Consob aveva il potere:

-) di controllare il funzionamento delle singole borse e accertare la regolarita’ e i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione su titoli quotati in borsa effettuate dai soggetti che operavano in borsa o esercitavano attivita’ d’intermediazione, avvalendosi a tal fine anche delle facolta’ di richiedere la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti, eseguire ispezioni, assumere notizie e chiarimenti, al fine di accertare l’esattezza e completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati (L. 7 giugno 1974, n. 216, articolo 3, lettera g);

-) di adottare “i provvedimenti necessari per assicurare il regolare andamento degli affari nelle singole borse”, emanando a tal fine provvedimenti urgenti (Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 138, articolo 7);

-) di effettuare accertamenti in ordine alla regolarita’ delle operazioni di borsa, mediante l’esercizio di appositi poteri ispettivi (Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 138, articolo 10);

-) di accertare irregolarita’ o incompatibilita’ professionali dell’attivita’ degli agenti di cambio o dei loro procuratori, dandone immediata comunicazione al ministero del Tesoro e dal consiglio dell’ordine per i provvedimenti di rispettiva competenza (Decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1975, n. 138, articolo 13), ossia i provvedimenti disciplinari previsti dalla L. 29 maggio 1967, n. 402, articoli 19 e ss.;

-) di convocare i soggetti operanti in borsa o dediti all’esercizio di attivita’ di intermediazione al fine dell’assunzione di notizie e chiarimenti (Decreto del Presidente della Repubblica 11 giugno 1979, n. 252, articolo 24);

-) di eseguire in qualsiasi momento ispezioni e controlli sulle singole borse al fine di accertare la regolarita’ ed i modi di finanziamento delle operazioni di intermediazione e negoziazione effettuate dai soggetti che operano in borsa o esercitano attivita’ di intermediazione (Decreto del Presidente della Repubblica 11 giugno 1979, n. 252, articolo 25).

Resta da dire che la disciplina cosi’ riassunta non e’ stata intaccata dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, che ha attribuito alla Consob specifici compiti di vigilanza nei riguardi delle societa’ di intermediazione mobiliare incrementando altresi’ i poteri di vigilanza nei confronti degli agenti di cambio, dovendo questi ultimi osservare le disposizioni dettate per le societa’ di intermediazione mobiliare in materia di svolgimento dell’offerta fuori sede (articolo 5), di modalita’ di negoziazione dei valori mobiliari (articolo 11) e di modalita’ di esecuzione degli ordini (articolo 12).

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla Consob, non v’e’ ragione di dubitare che, come gia’ affermato da questa Corte, e come poi espressamente ribadito in via di conferma dal Tuf, secondo quanto gia’ ricordato, il sistema dei controlli e relative sanzioni spettanti alla Consob fosse diretto alla tutela “dell’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell’intero mercato” (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725), essendo la Consob non soltanto “organo di vigilanza del mercato dei valori, ma… anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato” (Cass. 23 marzo 2011, n. 6681).

Ne deriva che la Consob, nella veste ad essa riconosciuta dal legislatore di “organo di garanzia del risparmio”, era assoggettata gia’ all’epoca ad un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere, nei limiti del possibile, il danno poi verificatosi a carico degli originari attori mediante l’esercizio dei propri poteri di vigilanza, danno scaturente da una condotta dell’agente di cambio di cui la Consob, alla stregua del parametro di diligenza di cui all’articolo 1176 c.c., comma 2 a seguito della “notizia di irregolarita’ risalente al 1994” di cui da’ conto la sentenza impugnata (pag. 14), avrebbe dovuto avvedersi, adottando, nel piu’ breve tempo giustificabile in termini di osservanza del menzionato parametro di diligenza, le possibili contromisure.

Non ha pregio, al riguardo, la tesi sviluppata a pagina 30 del primo ricorso, la quale fa leva sul rilievo secondo cui l’adozione della singola misura dell’esclusione degli agenti di cambio dall’accesso ai locali della borsa valori e dalle contrattazioni non avrebbe, secondo una valutazione compiuta ex ante, potuto impedire all’agente di cambio di proseguire l’attivita’ laddove essa non richiedesse l’accesso ai locali e ai servizi di borsa, giacche’ e’ semmai evidente il contrario, ossia che l’interdizione dell’attivita’ di borsa avrebbe messo gli investitori sull’avviso, rendendoli edotti dell’illiceita’ della condotta dell’agente di cambio, il che e’ poi quanto in effetti concretamente avvenuto, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata.

Orbene, la Corte territoriale, facendo applicazione dei principi della condicio sine qua non e della causalita’ adeguata te pervenuta alla conclusione che un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob – poteri che la Corte d’appello, rifacendosi anche alla decisione del primo giudice, ha riconnesso al quadro normativo ricordato e non soltanto, come sostenuto dalla ricorrente, all’articolo 47 Cost. – avrebbe consentito “di scoprire la gestione illecita dello Studio (OMISSIS)”, dissuadendo evidentemente gli investitori dalle operazioni compiute.

Per un verso, in definitiva, non sussiste alcuna delle violazioni di legge addebitate dall’ente ricorrente alla Corte d’appello nell’aver ritenuto che la Consob fosse tenuta ad intervenire per impedire il verificarsi del danno, mentre, per altro verso, il giudizio di fatto secondo cui un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob avrebbe consentito agli investitori, nel caso concreto, di cautelarsi, e’ evidentemente insindacabile in questa sede, attenendo non all’osservanza della legge ma alla ricostruzione del fatto, neppure essendo stato del resto censurato il ragionamento del giudice di merito sul piano motivazionale.

11.3.3. – Quanto, poi, al secondo aspetto su cui le ridondanti censure in esame si incentrano, la Consob ha in breve ribadito ed ulteriormente sostenuto che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere la sussistenza del nesso di causalita’ tra la sua condotta ed il danno lamentato dagli attori giacche’, trattandosi di causalita’ omissiva, sarebbe mancata l’identificazione di un preciso obbligo giuridico di impedire il verificarsi della condotta dell’agente di cambio, avuto riguardo al rilievo, svolto in relazione al precetto posto dall’articolo 2055 c.c., che detta condotta avrebbe dato luogo alla commissione di reati – reati che non alla Consob spetterebbe di prevenire e perseguire – da parte dell’agente di cambio medesimo, tali da integrare un’autonoma serie causale rispetto alla quale non avrebbe potuto essere predicata una sua corresponsabilita’ discendente da un’omissione colposa, tanto piu’ che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto l’idoneita’ dell’espletamento della vigilanza da parte sua, peraltro tempestivamente posta in essere, ad impedire il verificarsi del danno secondo il principio della regolarita’ causale.

Orbene, la Corte d’appello ha ritenuto la colpa della Consob nell’aver tardato ed in parte omesso i dovuti controlli e provvedimenti ispettivi, nonostante l’emersione di notizie concernenti l’irregolarita’ dell’attivita’ posta in essere dall’agente di cambio, notizie riguardanti “la creazione di catene di negoziazione, finalizzate, come afferma la stessa Consob, a consentire, per la predeterminata differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, quest’ultimo superiore al prezzo di mercato, ingiustificato profitto di determinate controparti”. La colpa omissiva non e’ stata rinvenuta, cioe’, nella generica inerzia nell’adozione di idonee misure di cautela e di prudenza – ed anzi la Corte d’appello ha sul punto riformato la decisione del Tribunale che aveva fatto discendere la responsabilita’ della Consob dal fatto in se’ considerato di non aver disposto interventi ispettivi, prima ed indipendentemente dall’apprensione delle notizie di cui si e’ appena detto -, bensi’ nella diretta violazione di specifici obblighi di agire in base alle disposizioni richiamate, tenuto conto dell’emersione delle notizie menzionate.

Sicche’ la sentenza impugnata, avendo proceduto alla preventiva individuazione dell’obbligo specifico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto responsabile, e’ perfettamente conforme all’insegnamento di questa Corte concernente la disamina in ordine alla sussistenza del nesso di causalita’ materiale in caso di condotta omissiva (v. Cass. 21 maggio 2013, n. 12401; Cass. 20 settembre 2006, n. 20328).

Cio’ detto, attiene ancora una volta all’apprezzamento di fatto, non sindacabile in questa sede, l’accertamento, a fronte delle menzionate notizie, del rispetto da parte della Consob dell’insieme di regole che imponevano alla medesima di attivarsi, rispetto che avrebbe evitato il verificarsi dell’evento dannoso, ponendo gli investitori in condizione di essere dissuasi dagli investimenti ovvero di interromperli.

Quanto alla circostanza che i danni sarebbero derivati da fatti reato, e’ sufficiente richiamare il principio affermato da questa Corte secondo cui l’unicita’ del fatto dannoso richiesta dall’articolo 2055 c.c., ai fini della configurabilita’ della responsabilita’ solidale degli autori dell’illecito, va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicche’ ricorre tale responsabilita’, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilita’ degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da piu’ azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni od omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse. Deve infatti escludersi, a norma dell’articolo 41 c.p., comma 2, l’imputabilita’ del fatto dannoso a taluno degli autori delle condotte illecite esclusivamente nel caso in cui a uno solo degli antecedenti causali debba essere riconosciuta efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere il legame eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, relegati al rango di mere occasioni, mentre non contrasta con tale principio la disposizione dell’articolo 187 cpv. c.p., la quale, statuendo per i condannati per uno stesso reato l’obbligo in solido al risarcimento del danno, non esclude ipotesi diverse di responsabilita’ solidale di soggetti che non siano colpiti da alcuna condanna o siano colpiti da condanna per reati diversi o siano taluni colpiti da condanna e altri no (Cass. 12 marzo 2010, n. 6041; Cass. 8 agosto 2007, n. 17397; Cass. 7 giugno 2006, n. 13272).

Dopodiche’ costituisce nuovamente apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimita’, la verifica della sussistenza o meno, nella specie, di una condotta dotata di efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere ogni responsabilita’ concorrente. E parimenti costituisce apprezzamento incensurabile quello concernente tanto l’idoneita’ dell’espletamento dei necessari controlli ad impedire il verificarsi del danno secondo il principio della regolarita’ causale, quanto la violazione dell’obbligo di diligenza per aver tardato – salvo quanto si dira’ tra breve in ordine all’individuazione del momento in cui il colpevole ritardo si e’ realizzato – ad attivarsi a seguito delle notizie apprese.

11.4. – I motivi dal settimo all’undicesimo, da esaminarsi congiuntamente in quanto concernenti tutti il quantum debeatur, sono fondati nei limiti che seguono.

La Corte territoriale, una volta affermata la responsabilita’ della Consob nell’an, ha sbrigativamente argomentato come segue: “Gli attori hanno prodotto in primo grado (e poi ridepositato in appello), divisa in fascicoletto di individuali, tutta la documentazione, comprese le ricevute rilasciate allo studio (OMISSIS), relativa alle operazioni di investimento e ai conferimenti in numerarlo operati dai singoli risparmiatori. Il giudice di primo grado non ha quindi accertato il danno solo sulla base dell’ammissione dei crediti al passivo fallimentare dell’agente di cambio. L’impugnazione avrebbe quindi dovuto argomentare, con riferimento a ciascuna posizione, sull’inidoneita’ dei numerosissimi documenti prodotti a fornire la prova di cui gli attori erano onerati”.

Orbene, tale motivazione e’ insostenibile, e si colloca senz’altro al di sotto del “minimo costituzionale”, cosi’ da essere sindacabile dalla Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

In buona sostanza, difatti, la Corte d’appello ha ritenuto di mantenere ferma la statuizione sul quantum adottata dal primo giudice, salvo che per la correzione dell’errore concernente la dimidiazione degli importi ed il calcolo delle somme gia’ versate agli attori, sull’assunto che essa non fosse stata debitamente censurata dalla Consob e, cioe’, che spettasse ad essa convenuta nel giudizio di primo grado dire quali somme competessero o meno a ciascuno degli originari attori, a fronte degli importi da ciascuno di essi pretesi sulla base della documentazione inserita in ciascun “fascicoletto”.

Si puo’ supporre che la Corte territoriale, nel ragionare in tal modo, abbia inteso rifarsi al pur non richiamato orientamento di questa Corte che vede in appello ribaltato l’onere probatorio, essendo l’appellante tenuto a comprovare la fondatezza delle censure volte a demolire la motivazione addotta dal primo giudice (Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28498; Cass., Sez. Un., 8 febbraio 2013, n. 3033). Ma, se questo fosse stato effettivamente l’inespresso pensiero della Corte d’appello, esso sarebbe stato palesemente errato, avendo essa stessa Corte d’appello travolto, nel giudicare sull’an, la statuizione sul quantum contenuta nella sentenza del Tribunale, cosi’ dal fare al riguardo tabula rasa.

Ed infatti, la decisione del Tribunale, che aveva riconosciuto a ciascun attore tutto quanto richiesto, sia pur decurtato di un importo pari alla meta’ (sulla base di un ragionamento giuridicamente del tutto errato che qui non interessa ripercorrere), costituiva logica conseguenza della premessa secondo cui la Consob era venuta meno ai propri doveri di vigilanza nell’intero arco temporale in contestazione, ossia nel periodo compreso tra il 1990 e l’aprile del 1996, cagionando cosi’ la perdita della totalita’ degli investimenti operati in quel periodo da ciascuno degli attori.

E pero’, una volta che il giudice d’appello ha escluso ogni addebito alla Consob fino al momento della propalazione delle notizie risalenti al luglio 1994, per cio’ stesso la Corte territoriale – importando tale decisione qui confermata il venir meno della base logica della liquidazione operata dal primo giudice – avrebbe dovuto provvedere a rideterminare quanto spettante a ciascuno degli attori, senza poter tenere in alcun conto la pregressa statuizione del Tribunale e dovendo invece procedere ex novo all’esame delle singole pretese risarcitorie, in ossequio all’ordinario riparto degli oneri probatori, che pone a carico del danneggiato, secondo la previsione dell’articolo 2697 c.c., comma 1 la prova del danno: tutto cio’, beninteso, non “a spanna”, ma attraverso una dettagliata disamina, effettuata singolarmente, della posizione di ognuno di essi, merce’ l’indicazione specifica delle perdite occorse nell’arco temporale entro il quale fosse predicabile il ritardo della Consob nel dispiegare l’esercizio dei suoi poteri di vigilanza, detratte tutte le somme percepite in qualunque sede dagli stessi attori a ristoro del pregiudizio subito, e con la chiara indicazione delle ragioni per le quali, in applicazione del congegno del giudizio controfattuale, il sollecito intervento della Consob avrebbe impedito il verificarsi del danno.

E, naturalmente, nel far cio’, la Corte territoriale avrebbe dovuto anzitutto individuare il preciso momento in cui potesse collocarsi l’esordio della condotta colposa della Consob, non potendo esso essere automaticamente ancorato, com’e’ ovvio, all’apprensione della notizia in discorso, occorrendo viceversa valutare quale fosse il tempo necessario, secondo il parametro di diligenza applicabile, ad effettuare le opportune verifiche e ad adottare cosi’ conseguentemente, causa cognita, le necessarie misure. E cioe’: se sul piano dell’an va qui confermata la statuizione della Corte d’appello secondo cui la Consob doveva intervenire sollecitamente, dopo le notizie diffuse nel luglio 1994, ad esercitare i propri poteri di vigilanza, sul piano del quantum occorreva che la stessa Corte stabilisse quanto tempo la Consob avrebbe dovuto impiegare per intervenire.

Resta da dire dell’undicesimo motivo, con cui la Consob ha sostenuto che la Corte d’appello, come pure il Tribunale, avrebbe ritenuto la responsabilita’ solidale della Consob, senza identificare il condebitore in solido, che, secondo la ricorrente, potrebbe essere non soltanto l’agente di cambio, ma anche la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’economia e delle Finanze, nonche’ la Banca d’Italia: motivo destituito di qualunque fondamento, essendo del tutto evidente, salvo a non prospettare una lettura del tutto speciosa della sentenza impugnata, che la Corte d’appello, nel ritenere la responsabilita’ della Consob per non aver vigilato sulla condotta dell’agente di cambio, ha inteso affermare che il danno patito dagli attori era stato cagionato, nel quadro di applicazione del richiamato articolo 2055 c.c., dal sinergico comportamento di quest’ultimo e, sotto il profilo dell’omessa vigilanza, della Commissione.

12. – Il ricorso incidentale condizionato di (OMISSIS) ed altri va respinto.

12.1. – E’ infondato il primo motivo.

La Corte d’appello, come si e’ gia’ avuto modo di osservare, ha affermato che la responsabilita’ della Consob non potesse essere predicata per il generico addebito di non aver dispiegato la propria attivita’ di vigilanza sull’agente di cambio, ma solo per il fatto che detta attivita’ non era stata posta in essere dopo che la Consob era stata messa sull’avviso dalla notizia di cui si e’ in precedenza detto.

Orbene, la decisione della Corte di merito e’ conforme al principio, al quale va data continuita’, secondo cui: “L’attivita’ di vigilanza e controllo richiede una prestazione vigile, e cioe’ che il controllo si attivi in presenza di indici di anomalia e di esposti e segnalazioni circa la sussistenza di situazioni anomale o patologiche, ma anche che, per evitare una paralisi, sia dell’attivita’ dell’organo, sia del mercato, questi proceda osservando regole di normale prudenza, onde evitare che segnalazioni fondate soltanto su giudizi soggettivi, eventualmente anche riconducibili a contrasti e mere delusioni di aspettative in ordine all’esito dell’investimento, possano pregiudicare la stessa efficacia ed efficienza dell’organo di controllo” (Cass. 9 maggio 2008, n. 11556). Principio del resto conforme alle regole operanti in materia di causalita’ omissiva, come gia’ in precedenza esaminate, le quali richiedono che la responsabilita’ dell’agente debba essere ricollegata alla violazione di uno specifico obbligo giuridico di attivarsi, obbligo che non puo’ essere fatto genericamente discendere dalla previsione di poteri di vigilanza in capo alla Consob, in mancanza del verificarsi di condizioni tali da innescare il doveroso esercizio di essi: se cosi’ non fosse, difatti, si finirebbe per ricollegare la responsabilita’ aquiliana per omissione non alla preesistenza di uno specifico dovere di azione, come e’ richiesto dall’articolo 40 c.p., e dalla costante giurisprudenza di questa Corte, pur con una tendenza alla dilatazione in fattispecie peculiari che non mette conto richiamare in questa sede, ma al generale dovere del neminem laedere di cui all’articolo 2043 c.c., che – pur constando isolate opinioni dottrinali di segno diverso – ha invece senso richiamare nel solo campo della responsabilita’ commissiva. Ed invero, come questa Corte ha da tempo affermato, “il rispetto del principio del neminem laedere richiede l’astensione da ogni attivita’ e cioe’, propriamente, da un facere che possa recar danno ad altri; ma da esso non deriva che, sempre e necessariamente, sussista colpa in relazione ad un non facere, per il solo fatto che l’eventuale attivita’ del soggetto avrebbe potuto impedire l’evento dannoso. Non la semplice inattivita’ puo’ dar luogo a responsabilita’ per colpa, ma soltanto quella inattivita’ che si risolve in una vera e propria omissione, cioe’ nel mancato compimento di un’attivita’ specificatamente dovuta” (Cass. 9 gennaio 1979, n. 116; sulla necessit).

Ne’ puo’ avere ingresso la doglianza laddove sostiene che la responsabilita’ della Consob avrebbe dovuto essere ricollegata all’epoca dell’emanazione della delibera n. 9559 del 1995, nonche’ alla emersione di irregolarita’ dai bilanci della Sim ed alla effettuazione di una ispezione informale nel 1993 da parte di un funzionario Consob, giacche’ il motivo richiede inammissibilmente alla Corte di cassazione una rivalutazione del fatto insindacabilmente devoluto al giudice di merito.

12.2. – Palese e’ poi l’inammisibilita’ del secondo motivo di ricorso incidentale, se non altro per carenza di interesse, giacche’ neppure risulta dagli atti – che in ogni caso non son indicati, con conseguente difetto di autosufficienza – che gli originari attori fossero stati clienti della (OMISSIS) S.p.a..

13. – In definitiva, e’ dichiarato inammissibile il ricorso di Consob contro la sentenza del 15 giugno 2016; e’ respinto il ricorso incidentale condizionato di (OMISSIS) ed altri contro la sentenza del 5 maggio 2014; sono respinti i motivi 3, 4, 5, 6 e 11 e dichiarati inammissibili i motivi 12 e 13 del ricorso principale Consob contro la stessa sentenza; sono accolti nei termini in precedenza indicati i motivi 1, 2, 7, 8, 9 e 10 di tale ultimo ricorso; la sentenza e’ cassata in relazione ai motivi accolti e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale, oltre a provvedere nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), individuato l’esatto momento a partire dal quale configurare come colposo l’omesso esercizio dei poteri spettanti alla Consob, provvedera’ a quantificare il danno, individuando, con riguardo alla posizione di ciascun singolo investitore, le perdite che un tempestivo esercizio di detti poteri avrebbe impedito, detratte le somme a qualunque titolo percepite a ristoro del pregiudizio subito, nonche’ liquidando le spese di questo giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso proposto da Consob contro la sentenza della Corte d’appello di Roma del 15 giugno 2016, rigetta il ricorso incidentale condizionato proposto da (OMISSIS) ed altri contro la sentenza della Corte d’appello di Roma del 5 maggio 2014, rigetta il terzo, quarto, quinto, sesto e undicesimo motivo e dichiara inammissibili il dodicesimo e tredicesimo del ricorso principale proposto dalla Consob contro la stessa sentenza, accoglie come in motivazione il primo, secondo, settimo, ottavo e decimo motivo del medesimo ricorso, cassa la sentenza del 5 maggio 2014 in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

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