Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 20 marzo 2018, n. 6911.
L’intermediario non può essere considerato responsabile per aver indirizzato l’investitore sull’acquisto di bond argentini in un periodo in cui questi non presentavano alcun grado di pericolo e rischio.
Ordinanza 20 marzo 2018, n. 6911
Data udienza 9 ottobre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
Dott. DI MARZIO Paolo – rel. est. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9591/2014 R.G., proposto da:
(OMISSIS) Soc. Coop. p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta mandato steso in calce al ricorso, dall’Avv.to (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in proprio e quale erede del coniuge (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di eredi del padre (OMISSIS), tutti rappresentati e difesi, come da procura in calce al controricorso, dall’Avv.to (OMISSIS), del Foro di Cassino, ed elettivamente domiciliati presso lo studio degli Avv.ti (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5303 della Corte d’Appello di Firenze, depositata l’8 ottobre 2013;
ascoltata la relazione svolta, nella camera di consiglio del 9 ottobre 2017, dal Consigliere Paolo Di Marzio;
letta la memoria depositata dalla ricorrente;
osserva:
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), scomparso in corso di causa e sostituito dai suoi eredi, ed il coniuge (OMISSIS), adivano il Tribunale di Cassino per domandare, previa dichiarazione di nullita’, annullamento o risoluzione del contratto di intermediazione mobiliare, la condanna della odierna ricorrente a consegnare loro, a titolo restitutorio o risarcitorio, la somma di Euro 57.352,71 (Lire 110.000.000 nel 1998), oltre accessori, in conseguenza dell’acquisto di Bond Argentini aventi scadenza nell’anno 2004. Lamentavano i clienti la negligenza della Banca, per non aver assicurato l’informazione sui titoli mobiliari, come richiesto dalla legge, e pure per la mancata valutazione dell’adeguatezza soggettiva dell’investimento.
Il Tribunale rigettava la domanda.
La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata in questa sede, riformava la decisione ed accoglieva la domanda di risoluzione del contratto quadro di investimento mobiliare, disponendo la restituzione da parte dell’intermediario della somma investita, oltre interessi con decorrenza dalla data dell’ordine d’acquisto.
La Corte di merito censurava l’affermazione del Tribunale secondo cui la valutazione di adeguatezza dell’investimento e’ necessaria solo in presenza di investimenti marcatamente speculativi. Evidenziava, piuttosto, che la valutazione di adeguatezza dell’investimento deve essere compiuta anche qualora, come nel caso di specie, il cliente si sia rifiutato di fornire le informazioni relative al proprio profilo di investitore. Stigmatizzava la Corte territoriale che, secondo il Tribunale, mancava la prova della negligenza dell’intermediario, argomento errato perche’ il giudice di prime cure avrebbe dovuto piuttosto accertare se l’intermediario avesse fornito lui la prova di aver agito con sufficiente diligenza. Rilevava ancora la Corte capitolina che, piuttosto, la Banca aveva ammesso di essersi astenuta dal fornire qualsiasi informazione sulle obbligazioni argentine.
Avverso la decisione della Corte d’Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) Soc. Coop. p.a., affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS), in proprio e quale erede del coniuge (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita’ di (figli ed) eredi di (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Mediante il primo motivo, indicato come proposto per contestare la violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ della L. n. 1 del 1991, articolo 6 e Delib. Consob n. 5387 del 1991, articoli 6, 8 ed 11, ed ancora, della L. n. 5 del 2003, articolo 10, comma 2bis, nonche’ il vizio di motivazione, la ricorrente propone in realta’ critiche eterogenee. Ripercorre, con questo lunghissimo motivo, l’intero processo, risultando disagevole anche sintetizzare contestazioni specifiche. Censura, comunque, la decisione della Corte d’Appello per aver trascurato di rilevare che, nell’introdurre il giudizio, gli investitori avevano contestato solo l’omesso avviso sulla pericolosita’ dell’investimento da parte dell’intermediario, e pertanto nulla avevano criticato circa l’omissione di informazioni e della valutazione di adeguatezza dell’investimento, mentre la Banca aveva tempestivamente affermato di avere fornito le informazioni ed effettuato le valutazioni doverose.
Sostiene la ricorrente, inoltre, che i Bond argentini sembravano sicuri, all’epoca dell’acquisto, e non c’era ragione per “sconsigliare” l’investimento. Osserva pure l’impugnante, in materia di entita’ dell’investimento rispetto al patrimonio dei clienti che, non essendo note le loro disponibilita’ patrimoniali, l’intermediario avrebbe dovuto regolarsi come se quelli investiti fossero tutti i soldi di cui i clienti disponevano. Ammette peraltro che, sul fondamento di quest’ultima considerazione, unico appunto che poteva essere mosso all’intermediario era quello di non aver provveduto a suggerire ai suoi clienti la diversificazione dell’investimento.
Sostiene ancora, la ricorrente, che le valutazioni relative alla “frequenza” ed alla “dimensione” dell’investimento avrebbero dovuto essere effettuate solo in relazione alla compravendita di titoli speculativi.
1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti contestano la nullita’ della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ fondata “su una motivazione sostanzialmente omessa o solo apparente (siccome insufficiente, illogica, incongrua e contraddittoria rispetto alle emergenze documentali in atti)”.
2.1. – Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente procede alla rilettura di tutti gli atti e le vicende processuali riproponendo, di fatto, ciascuna delle proprie difese. Il motivo di ricorso propone critiche per larga parte inammissibili, e per la parte residua infondate.
La ricorrente afferma che, nell’introdurre il giudizio, gli investitori avevano contestato solo l’omesso avviso sulla pericolosita’ dell’investimento in Bond argentini, pertanto nulla avevano criticato circa l’omissione di informazioni e la valutazione di adeguatezza dell’investimento (prospettazione parzialmente poi rettificata, a tal ultimo proposito, a p. 13 dello stesso ricorso), mentre la Banca aveva comunque tempestivamente affermato di avere fornito le informazioni doverose. La ricorrente, deve essere rilevato, non ha specificato da quali atti processuali si desuma la dimostrazione che essa abbia fornito le informazioni dovute, e si tratta di una prova, quella della diligenza dell’intermediario, che solo all’odierna ricorrente competeva fornire, come gia’ correttamente evidenziato dalla Corte territoriale. Sotto altro profilo, se davvero la questione che le informazioni non sono state fornite e’ stato, introdotto tardivamente nel giudizio, sarebbe stato onere della ricorrente, nella presente sede di legittimita’, indicare analiticamente quando, come e dove, abbia fatto rilevare il vizio. In un giudizio di natura impugnatoria quale e’ quello di legittimita’, e’ specifico onere della parte ricorrente indicare sempre dettagliatamente quando le proprie domande e contestazioni sono state proposte nel corso del processo, segnalando anche le formule con le quali sono state introdotte, e non mancando di evidenziare mediante quali atti processuali siano state diligentemente coltivate, in modo da consentire il controllo della regolarita’ e tempestivita’ di ogni istanza. A tanto la ricorrente non ha provveduto. Sostiene ancora, la ricorrente, che l’acquisto di Bond argentini sembrava, all’epoca in cui era stato effettuato, un investimento sicuro, e non c’era ragione per “sconsigliare” l’investimento. Tanto non esclude, invero, che la Banca fosse tenuta a fornire agli investitori le informazioni richieste dalla legge sulla natura ed i caratteri propri degli specifici titoli mobiliari. Occorre allora sottolineare, in riferimento a questo argomento, che la Corte territoriale ha ritenuto (cfr. sent. C.d.A., p. 8) che la Banca abbia ammesso di “essersi astenuta dal fornire ai propri clienti qualsiasi tipo di informazione”, ma neppure questa ragione della decisione adottata dalla Corte capitolina, evidentemente rilevante, e’ stata sottoposta a critica dalla ricorrente, mediante contestazione specifica con indicazione degli atti processuali da cui desumerne l’erroneita’.
Argomenta la ricorrente, in materia di entita’ dell’investimento rispetto al patrimonio degli investitori che, non essendo quest’ultimo noto, l’intermediario avrebbe dovuto regolarsi come se quelli investiti fossero tutti i soldi che avevano a disposizione i suoi clienti. Argomento assolutamente fondato, che dimostra pero’ il contrario di quanto si vuole affermare, perche’ lo stato di fatto imponeva alla Banca, in realta’, di usare la massima cautela e non solo, come ammesso invero dalla stessa ricorrente, perche’ investire un intero patrimonio in un numero limitato di titoli viola la regola prudenziale di diversificare l’investimento. Nel caso di specie, infatti, ci troviamo in presenza dell'(ipotizzato) investimento di un intero patrimonio addirittura in un solo titolo, peraltro di alto rendimento e – fosse solo per questo, in base ad una ovvia regola di esperienza – per sua stessa natura rischioso.
Sostiene ancora, la Banca ricorrente, che le valutazioni relative alla “frequenza” ed alla “dimensione” dell’investimento avrebbero dovuto effettuarsi solo qualora oggetto di compravendita immobiliare fossero stati “titoli speculativi”. In proposito, premesso che le valutazioni relative alla frequenza dell’investimento non rilevano nel caso di specie, l’argomento secondo cui le valutazioni in materia di dimensione dell’investimento avrebbero dovuto operarsi soltanto in presenza della compravendita di titoli aventi natura speculativa appare semplicemente inesatto, non trovando alcun fondamento nella normativa da applicarsi e, invero, neppure in quella precedente e successiva. Questo occorre osservare, anche a prescindere da ogni valutazione circa l’affermata natura “non speculativa” dell’investimento in bond argentini, sia pure nell’anno 1998.
Tanto premesso, e’ necessario sottolineare che la Corte d’Appello ha incentrato il proprio giudizio di negligenza dell’operato dell’intermediario, ponendo l’accento sulla inadeguatezza dell’acquisto di bond argentini in considerazione del profilo soggettivo degli investitori, ed era questa precisa ratio decidendi peraltro coerente con quella contestazione di omessa valutazione della pericolosita’ dell’investimento, che la ricorrente ammette essere stata subito invocata dai suoi clienti, gia’ nel giudizio di primo grado – che avrebbe dovuto essere specificamente ed adeguatamente contestata dalla ricorrente, il che non e’ avvenuto. La Corte territoriale incentra la propria valutazione di inadeguatezza dell’acquisto obbligazionario su una pluralita’ di elementi: 1) la dimensione dell’investimento, in assenza di prova di quale fosse l’entita’ del patrimonio degli investitori, e comunque anche in valore assoluto; 2) la durata dell’investimento, sette anni, che ne aumenta il rischio; 3) il dato di fatto che l’investimento sia stato effettuato da clienti anziani ((OMISSIS) anni). Neppure questi specifici argomenti sono stati analiticamente contrastati dalla ricorrente. Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
2.2. – Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione di legge, in riferimento all’articolo 1458 c.c., lamentando che la Corte d’Appello, pronunciata la risoluzione del contratto, ha poi fissato la decorrenza degli interessi dalla data dell’ordine di investimento, e non da quella della domanda giudiziale.
Nella consapevolezza dell’esistenza, in materia, di orientamenti giurisprudenziali diversi, questo Collegio ritiene di aderire all’opinione secondo cui “ai sensi dell’articolo 1458 c.c., lo scioglimento del contratto comporta, in ogni caso, sia un effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora debbono essere eseguite, sia un effetto restitutorio, per le obbligazioni che siano state gia’ eseguite ed in relazione alle quali sorge per l’accipiens l’obbligo di restituzione, anche se le prestazioni siano state ricevute dal contraente non inadempiente. Se l’obbligazione di restituzione ha per oggetto prestazioni pecuniarie il ricevente e’ tenuto a restituire le somme maggiorate degli interessi, calcolati dal giorno della domanda di risoluzione”, Cass. 21.10.2004, n. 18518 (cfr. anche, tra le altre, Cass. sent. 20.4.2009, n. 9338). Analoghi concetti ha espresso la Suprema Corte, anche se in fattispecie parzialmente diversa, affermando che “al di fuori delle ipotesi tassative – previste da disposizioni, come l’articolo 443 c.p.c., suscettibili di interpretazione estensiva – in cui la legge prevede il previo esperimento di una procedura amministrativa quale condizione di proponibilita’ dell’azione di ripetizione e nelle quali gli interessi legali decorrono dal momento della proposizione della domanda amministrativa, il diritto alla restituzione di somme indebitamente pagate, anche nel caso in cui il pagamento trovi titolo in un provvedimento amministrativo illegittimo, e’ un diritto soggettivo perfetto, il cui esercizio non e’ subordinato al preventivo accertamento di tale illegittimita’ da parte del giudice amministrativo, ne’ all’emanazione e al passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del provvedimento stesso. Ne consegue che, mancando una disposizione di legge che espressamente preveda uno dei detti fatti come condizione di proponibilita’ dell’azione giudiziaria civile, la domanda di ripetizione puo’ essere proposta prima, in concomitanza o immediatamente dopo la presentazione del ricorso al TAR e il giudice ordinario, in caso di presentazione di tale ricorso, puo’ sospendere il processo ex articolo 295 c.p.c., ovvero decidere la causa disapplicando il provvedimento di cui ritenga incidentalmente l’illegittimita’; in tale ipotesi gli interessi legali sono dovuti dall’accipiens in buona fede dal momento della domanda, da intendersi come domanda giudiziale avente specificamente ad oggetto la restituzione delle somme indebitamente pagate e la corresponsione degli interessi su di esse maturati, e non dal momento in cui e’ stato proposto il ricorso amministrativo”, Cass. 30.3.2010, n. 7263.
Il secondo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto, nei limiti di ragione e, decidendo nel merito, questa Corte deve disporre che gli interessi legali siano dovuti dall’Istituto di credito, sulla somma di Euro 57.352,71, con decorrenza dalla domanda giudiziale di risoluzione.
Le spese di lite, tenuto conto del complessivo esito del giudizio, possono essere confermate come regolate dalla Corte d’Appello in relazione ai gradi di merito. Le spese del giudizio di cassazione, in considerazione della complessita’ dei problemi affrontati, della parziale soccombenza di entrambi i contendenti, e della riscontrata presenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti in materia trattata nel giudizio, appare invece equo che siano dichiarate interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, ed in relazione allo stesso cassa la decisione impugnata e, decidendo nel merito, dichiara che gli interessi legali sono dovuti, sulla somma di Euro domanda giudiziale di risoluzione. Rigetta il primo motivo di ricorso. Conferma la disciplina delle spese di lite relazione ai gradi di merito, e ne dispone la al giudizio di legittimita’.
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