La colpevolezza e l’imputabilità agiscono su piani diversi, poiché la seconda costituisce il presupposto non solo logico e giuridico, ma anzitutto naturalistico della prima.

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza del 16 marzo 2018, n.12244.

La colpevolezza e l’imputabilità agiscono su piani diversi, poiché la seconda costituisce il presupposto non solo logico e giuridico, ma anzitutto naturalistico della prima. Pertanto, i due concetti sono fra loro indipendenti e l’indagine sulla colpevolezza, presupponendo il superamento logico di quella sulla imputabilità, non può ulteriormente essere influenzata da quest’ultima, nemmeno nella ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere.

Corte di Cassazione
sezione quarta penale
sentenza del 16 marzo 2018, n.12244

Ritenuto in fatto

1. Il Giudice di Pace di Padova, con sentenza del 21 novembre 2016 (motivazione depositata il 29 novembre 2016), comunicata alla Procura Generale il 13 gennaio 2017, ha assolto S.G. dal reato di cui all’art. 590 cod. pen. al medesimo ascritto, ‘perché è insufficiente la prova che il fatto costituisca reato’. Al S. è stato contestato di avere cagionato le lesioni gravi – meglio descritte in rubrica – alle persone offese A. e M., intervenuti per motivi di servizio, quali militari dell’Arma, presso la famiglia S., ove era in atto un tentativo di furto, per avere, per imprudenza, negligenza, imperizia e inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, omesso di effettuare, nella qualità di titolare di un’azienda agricola chiusa per cessata attività, le necessarie operazioni di manutenzione e controllo di sicurezza, funzionalità ed efficienza dei componenti di un pesante cancello scorrevole adiacente all’azienda e alla propria abitazione, manufatto che, siccome privo dei fermi di battuta in apertura e in chiusura, fuoriusciva dalla guida superiore posta sul lato destro e rovinava addosso ai due militari, i quali rimanevano schiacciati sotto di esso.

2. Avverso la sentenza assolutoria ha proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia, ai sensi dell’art. 36 co. 2 d.lgs. 274/2000, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto la manifesta illogicità e la contraddittorietà della motivazione, conclusivamente rilevando la censurabilità del provvedimento in fatto e in diritto, avendo il Giudice di Pace riconosciuto la materialità del fatto e il nesso causale tra le condizioni di manutenzione del cancello e le lesioni accertate, nonché implicitamente la stessa posizione di garanzia assunta dall’imputato, salvo poi a escluderne l’elemento psicologico della colpa, sulla scorta di due considerazioni che parte ricorrente assume errate, sia in diritto che in fatto.

Da un lato, infatti, il giudicante ha ritenuto che le condizioni di turbamento psichico del S. abbiano avuto una influenza sull’elemento soggettivo del reato, così sovrapponendo il piano della imputabilità a quello dell’elemento psicologico del reato. Si contesta, inoltre, la prova di tale stato psichico, avendo il figlio dell’imputato (il cui verbale testimoniale è allegato al ricorso) unicamente riferito che, nell’occorso, il padre era rimasto immobile senza assumere iniziative, rilevandosi che la condotta contestata è quella di una protratta inerzia risalente e non di una condotta contingente e occasionale tenuta al momento del sinistro.

Dall’altro, si contesta la prova di una sorta di interferenza dei farmaci assunti dall’imputato (peraltro afferenti a patologie cardiache e non mentali) sull’elemento psicologico richiesto per il reato contestato al S..

Considerato in diritto

1. Il ricorso va accolto.

2. Il Giudice di Pace ha ritenuto di poter ricostruire la dinamica dei fatti sulla scorta della svolta istruttoria, rilevando che entrambe le persone offese erano state chiamate per un intervento d’urgenza presso l’abitazione del S. a causa di un tentativo di effrazione in atto. Nell’occorso, i due avevano seguito le indicazioni della centrale per accedere all’abitazione, attraverso un ingresso laterale presidiato da un pesante cancello, manufatto che, al momento del tentativo posto in essere per lo scorrimento, era rovinato loro addosso schiacciandoli e cagionando le lesioni descritte in imputazione e documentate da certificazione medica.

Le condizioni di degrado e di assenza di manutenzione della cancellata erano state confermate anche da altri due testimoni, vale a dire i due carabinieri successivamente intervenuti sui luoghi.

I testi della difesa avevano invece riferito in ordine alla situazione psichica dell’imputato, definita in sentenza ‘assai problematica’, soffrendo l’uomo di patologie gravi (non indicate in sentenza) ed essendo sottoposto a terapie con farmaci psicotropi (neppure indicati specificamente), tale da condizionarne pesantemente le capacità intellettive e la stessa lucidità mentale. Inoltre, da tali fonti dichiarative si era appreso che il cancello in questione non era utilizzato come accesso a far data dalla chiusura dell’azienda, risalente a circa un anno prima e che era stato il figlio dell’imputato a riferirne la esistenza ai carabinieri intervenuti.

Alla luce di tali risultanze, quel giudice ha così ritenuto che il fatto, oggettivamente attribuibile all’imputato, non fosse però a costui rimproverabile, non avendo egli potuto prevedere la situazione potenzialmente pericolosa derivante dalla propria negligenza, a causa di condizioni psicofisiche particolarmente precarie, caratterizzate da patologie psichiatriche e da cure farmacologiche che ne offuscavano la coscienza e lucidità mentale, essendo emerso che nessuna iniziativa era stata assunta dal S. il giorno dell’incidente e che era stato il figlio di costui ad indicare alle forze dell’ordine l’accesso in questione.

Inoltre, essendo l’azienda chiusa da tempo, quell’accesso era inutilizzato, cosicché non era prevedibile dall’imputato che qualcuno effettivamente lo utilizzasse, a causa delle sue obnubilate condizioni psichiche, né poteva egli ritenersi consapevole delle cattive condizioni di manutenzione di quel manufatto.

3. Il motivo è fondato.

In linea generale, deve confermarsi che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso (cfr. sez. 4 n. 24462 del 06/05/2015, Rv. 264128; n. 5404 dell’08/01/2015, Rv. 262033).

Fatta tale premessa, deve rilevarsi, quanto al caso in esame, che il ragionamento che il giudice di pace ha svolto a sostegno della sua decisione è tuttavia viziato dai dedotti vizi.

4. In tema di colpa, infatti, questa Corte ha ormai definitivamente chiarito che la necessaria prevedibilità dell’evento – anche sotto il profilo causale – non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma deve mantenere un certo grado di categorialità, nel senso che deve riferirsi alla classe di eventi in cui si colloca quello oggetto del processo (cfr. Sez. U. n. 38343 del 2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106 (la Corte avendo precisato che, ai fini della imputazione soggettiva dell’evento, il giudizio di prevedibilità deve essere formulato facendo riferimento alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali). Pertanto, la valutazione in ordine alla prevedibilità dell’evento va compiuta avendo riguardo anche alla concreta capacità dell’agente di uniformarsi alla regola cautelare in ragione delle sue specifiche qualità personali, in relazione alle quali va individuata la specifica classe di agente modello di riferimento (cfr. sez. 4 n. 49707 del 04/11/2014, Rv. 263283).

5. Ciò posto, deve tuttavia osservarsi, riprendendo una giurisprudenza risalente, che colpevolezza e imputabilità agiscono su piani diversi, poiché la seconda costituisce il presupposto non solo logico e giuridico, ma anzitutto naturalistico della prima. Pertanto, i due concetti sono fra loro indipendenti, sicché l’indagine sulla colpevolezza, presupponendo il superamento logico di quella sulla imputabilità, non può ulteriormente essere influenzata da quest’ultima, nemmeno nella ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere (cfr. sez. 1 n. 10440 del 29/10/1984, Rv. 166803; sez. 2 n. 6616 del 19/04/1972, Rv. 122078 e Rv. 122077; sez. 1 n. 711 dell’08/04/1970, Rv. 115580).

6. Venendo al caso in esame, il giudice di merito, pur dando per scontata la posizione di garanzia assunta dal S., quale titolare dell’azienda agricola della quale il cancello era pertinenza in atto, a prescindere dalla cessata attività della prima, ha tuttavia escluso dall’area della rimproverabilità l’omessa manutenzione del manufatto, ritenendo il difetto di una prova idonea della sussistenza del necessario profilo soggettivo della colpa. Più specificamente, seguendo l’iter argomentativo rinvenibile nella sentenza, quel giudice ha ritenuto non prevedibile, da parte del S., un utilizzo della cancellata da parte di terzi, stante la chiusura dell’azienda, nonché insussistente in capo al predetto la stessa consapevolezza delle condizioni di cattiva manutenzione di quel manufatto, giudizi entrambi agganciati a non meglio specificate precarie condizioni della salute mentale dell’imputato.

Nel far ciò, il giudice ha evidentemente confuso i due piani della imputabilità e della colpevolezza, senza peraltro fornire idonea giustificazione circa l’esistenza di tali minorate capacità e su come esse avrebbero inficiato la capacità d’intendere e volere del soggetto. Tale operazione si pone a monte dello scrutinio circa la colpevolezza, precisandosi che, in caso di accertata incapacità d’intendere e volere, l’indagine del giudice deve arrestarsi al difetto d’imputabilità, laddove, nell’ipotesi di cui all’art. 89 cod. pen., il successivo scrutinio dovrà svolgersi secondo i principi generali della colpevolezza in tema di reati colposi, avuto riguardo alla funzione del bene pericolante e alla titolarità della posizione di garanzia assunta rispetto ai pericoli che le precarie condizioni di manutenzione del bene rappresentino per i terzi.

7. La sentenza deve essere, pertanto, annullata con rinvio al giudice di pace di Padova per un rinnovato esame che si conformi ai principi di diritto sopra formulati.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice di pace di Padova per nuovo esame.

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