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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza n. 579 dell’11 gennaio 2013

Svolgimento del processo

Con sentenza dell’8 novembre 2008 la Corte d’Appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania del 31 ottobre 2006 con la quale era stata rigettata la domanda di D.F. G. intesa ad ottenere la dichiarazione dell’illegittimità del licenziamento intimatole dalla A. D. Piccola Società Cooperativa a r.l. in data 23 gennaio 2003 e la condanna della medesima società al pagamento in suo favore delle differenze retributive. La Corte territoriale ha motivato tale decisione ritenendo superfluo il richiesto accertamento del numero dei dipendenti della società datrice di lavoro stante le dichiarazioni testimoniali assunte e desumibile anche dalle accertate modeste dimensioni della stessa azienda capace di assistere non più di dieci anziani; inoltre la stessa corte ha ritenuto infondate le censure relative al rigetto della domanda relativa alle differenze retributive sulla base delle testimonianze assunte attestanti l’orario di lavoro osservato dalla lavoratrice, e delle buste paga sottoscritte dalla medesima ricorrente; la stessa corte ha pure ritenuta corretta la decisione del giudice di primo grado relativa al rigetto dell’istanza di acquisizione di nuova prova documentale attinente l’inizio del rapporto, stante il divieto di cui all’art. 437 cod. proc. civ..

La D.F. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato a tre motivi.
La A. D. resta intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, violazione della L. n. 604 del 1966 e della L. n. 108 del 1990, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare si deduce che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto legittimo il licenziamento per riduzione del personale pur in presenza del medesimo numero di anziani da assistere e, quindi, senza alcuna riduzione dell’attività; inoltre la stessa corte d’appello afferma che la ricorrente era stata sostituita dalla stessa legale rappresentante della società e dalla di lei figlia, a riprova che non vi era stata alcuna riduzione dell’attività; infine, trattandosi di società di capitali, il lavoro prestato dai soci, e quindi anche dalla legale rappresentante, configura lavoro di dipendenti a conferma che la ricorrente era stata comunque sostituita. Pertanto la corte territoriale, affermando che la domanda della ricorrente era infondata in quanto fondata sulla violazione delle norme sui licenziamenti collettivi inapplicabile stante il limitato numero dei dipendenti, avrebbe comunque omesso di accertare l’illegittimità del licenziamento con riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 3 applicabile alle imprese con meno di quindici dipendenti.
Con il secondo motivo si assume falsa applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare si censura l’affermazione relativa alla decorrenza del rapporto che non avrebbe tenuto conto delle deposizioni testimoniali attestanti l’attività svolta dalla ricorrente anche in epoca anteriore alla formale assunzione del 15 gennaio 2002.
Con il terzo motivo si lamenta insufficienza o contraddittorietà di motivazione su punti decisivi della controversia e, in particolare, sullo svolgimento del lavoro straordinario.
Il primo motivo è infondato. La ricorrente censura un accertamento di fatto compiuto dalla corte territoriale basato su considerazioni logiche oltre che su prove testimoniali attestanti il requisito dimensionale e la consistenza dell’attività, irrilevanti sono pure le considerazioni relative alla mancata riduzione dell’attività o sull’impiego di altra forza lavoro costituita da soci lavoratori, essendo evidentemente affidato alla libera iniziativa imprenditoriale l’eventuale cambiamenti dell’organizzazione lavorativa, che implichi anche una riduzione della forza lavoro, al fine di ottenere il migliore risultato economico. Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva deve essere valutato dal datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, poichè tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.. Al giudice spetta invece il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, attraverso un apprezzamento delle prove che è incensurabile in sede di legittimità se effettuato con motivazione coerente e completa come nel caso in esame.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente attinendo entrambi a questioni di fatto quali lo svolgimento del lavoro straordinario e l’attività svolta dalla ricorrente. L’esame di tali questioni è riservato al giudice del merito e non è possibile riproporre in sede di legittimità questioni di fatto ai fini di una loro rivisitazione, quando, come nel caso in esame, la motivazione è congrua e logica.
Nulla si dispone sulle spese soccombendo l’unica parte costituita.

P.Q.M.
La corte di Cassazione rigetta il ricorso; Nulla sulle spese.

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