Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 settembre 2016, n. 17711

Riconosciuta la natura di rapporto di lavoro a tempo subordinato al dipendente che abbia prestato attività lavorativa di recupero crediti in forza di più contratti di lavoro e senza soluzione di continuità

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 7 settembre 2016, n. 17711

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9234/205 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.E. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
5contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 237/2014 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI DISTACCATA DI SASSARI, depositata il 29/09/2014 r.g.n. 35/2014;
Iella causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO NALDSTRIHRI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 19.2.13, (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Sassari la (OMISSIS) s.p.a., assumendo di aver prestato attivita’ lavorativa per conto di parte convenuta, in forza di piu’ contratti di lavoro a progetto e di collaborazione coordinata e continuativa, senza soluzione di continuita’ dal 20.11.06 al 28.08.12, presso la sede sita in (OMISSIS), svolgendo mansioni di recupero crediti e osservando un orario di lavoro dalle 9 alle 15 dal lunedi’ al sabato con un’ora di pausa pranzo.
Deduceva la nullita’ dei contratti, per genericita’ del progetto e in considerazione della reale natura subordinata del rapporto e chiedeva, pertanto, previo accertamento della invalidita’ dei contratti a progetto, l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, con la condanna di parte convenuta al ripristino del rapporto di lavoro nel posto precedentemente occupato con le medesime mansioni e qualifica, oltre alla condanna al pagamento delle differenze retributive dalla data di stipula del primo contratto alla emananda sentenza, da determinarsi tramite c.t.u., oltre al versamento dei contributi previdenziali, come specificato nel conteggio allegato al ricorso e notificato alla controparte.
La (OMISSIS) s.p.a. eccepiva, in via preliminare, la nullita’ del ricorso per genericita’ della domanda e l’inammissibilita’ della stessa per intervenuta transazione tra le parti, non piu’ soggetta ad impugnazione per decadenza dal temine semestrale; nel merito contestava la fondatezza del ricorso chiedendone l’integrale rigetto.
La causa veniva decisa con sentenza non definitiva n. 618/13, con cui il Tribunale dichiarava l’illegittimita’ del primo contratto a progetto del 20.11.06 e dichiarava la sussistenza tra le parti, dalla data indicata, di un contratto a tempo indeterminato, disponendo per il prosieguo per la quantificazione del credito della lavoratrice.
Osservava il primo giudice che il contratto stipulato tra le parti non poteva ritenersi conforme a legge in ragione del fatto che il programma concordato stabiliva a carico della lavoratrice prestazioni (rintraccio dei debitori, sollecito pagamento, concessioni di dilazioni) del tutto coincidenti con l’ordinaria attivita’ di recupero crediti della societa’, senza che fosse individuato un effettivo e concreto progetto.
Avverso tale sentenza apponeva appello la (OMISSIS) s.p.a.; resisteva l’appellata che proponeva appello incidentale in ordine alla omessa declaratoria di illegittimita’ del licenziamento e condanna della societa’ al risarcimento del danno, L. n. 300 del 1970, ex articolo 18, quantificato nella misura minima di cinque mensilita’.
Con sentenza depositata il 24 settembre 2014, la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, respingeva il gravame principale, ritenendo insussistente lo specifico progetto che contraddistingue la prestazione autonoma invocata dalla societa’; che la certificazione dei contratti non impediva di accertarne una diversa natura; che la transazione del 23.12.11 non conteneva alcun riconoscimento della natura autonoma del rapporto e che comunque era stata impugnata nel termine semestrale di cui all’articolo 2113 c.c., (posto che, essendo il rapporto da considerarsi di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine, 20.11.06, doveva considerarsi che il termine semestrale decorreva non gia’ dal 23.12.11, bensi’ dalla cessazione dell’ultimo contratto, stipulato il 27.1.12 e cessato il 28.8.12, come si evinceva anche dalla lettera 22.2.12 da cui emergeva che il successivo contratto a progetto venne stipulato con decorrenza 2.1.12 e dunque in piena continuita’ con quello scaduto il 31.12.2011. Accoglieva l’appello incidentale, dichiarando illegittimo il licenziamento intimato alla (OMISSIS), condannando la datrice di lavoro al risarcimento del danno, liquidato in cinque mensilita’ dell’ultima retribuzione contrattuale di cui al IV livello del c.c.n.l. del settore terziario, oltre accessori di legge.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la societa’ (OMISSIS), affidato a tre motivi.
La (OMISSIS) e’ rimasta intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 61 e ss., vigente al momento del rapporto, circa la natura autonoma del rapporto e l’efficacia della certificazione del progetto (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Lamenta che il progetto puo’ consistere in qualsiasi attivita’, anche ordinaria, connessa all’attivita’ principale o accessoria dell’impresa, che risulti ben identificabile sulla base di un risultato, che a sua volta puo’ configurarsi come finale o parziale, come nel caso di specie, in cui l’attivita’ della lavoratrice non coincideva interamente con l'(ordinaria) attivita’ aziendale, ma solo nel disbrigo di pratiche ben individuate e secondo un modus operandi rimesso alla volonta’ e capacita’ del collaboratore. L’oggetto della collaborazione era dunque un opus (ed un risultato) consensualmente definito e predeterminato (anche nel tempo) che non consentiva modifiche successive unilaterali da parte del datore di lavoro committente, rendendo cosi’, ad esempio, impossibile il potere di conformazione, mentre era compatibile con esso il coordinamento con le esigenze organizzative aziendali (attraverso, ad es., i “team leader”). Lamenta inoltre che l’attivita’ demandata alla collaboratrice era solo una parte delle attivita’ svolte dall’azienda, che “persegue altri fini oltre quello del recupero del credito”. Lamenta infine e nella sostanza che la corte di merito non valuto’ adeguatamente tali circostanze di fatto, non dando ingresso, peraltro, alle istanze istruttorie formulate dalla societa’.
La societa’ si duole inoltre della insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata in ordine alla avvenuta certificazione (di cui al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 75 e segg.) dei contratti in questione, che attesto’ la conformita’ degli stessi alla tipologia prevista dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 61 e segg.. Lamenta che tale certificazione non venne mai impugnata dalla lavoratrice (ai sensi del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 80), con la conseguenza che la qualificazione del contratto non era piu’ soggetta a contestazione, in assenza di allegazioni e prova inerenti l’erroneita’ della certificazione stessa, emergenti dal ricorso giurisdizionale proposto.
1.1. Il motivo presenta profili di inammissibilita’ ed e’ per il resto infondato.
Deve in primo luogo rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta e’ segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394. Nella specie e’ evidente che la ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque un vizio motivo da valutare alla stregua del novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che lo circoscrive all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. sez. un. 22 aprile 2014, n. 19881), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimita’ sulla motivazione: Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053.
La sentenza impugnata ha ampiamente esaminato i fatti controversi ed accertato che lo stesso progetto allegato ai contratti di lavoro tra le parti (“contribuire in modo tangibile alla definizione della posizione debitoria dei singoli soggetti proposti dalle imprese mandanti, attraverso la proposizione di strategie di sollecito e di recupero compatibili con le indicazioni delle imprese mandanti – e dunque dei clienti della societa’ – e con le vigenti normative in materia, effettuando un’analisi dei crediti scaduti, il relativo rintraccio dei debitori, il sollecito telefonico e l’aggiornamento delle informazioni in possesso”), coincideva con lo svolgimento dell’ordinaria attivita’ aziendale (avente per oggetto sociale l’attivita’ di recupero crediti per conto di terzi committenti, e dunque nella ricerca del contatto con il debitore, nel concordare con lo stesso le modalita’ di pagamento anche dilazionato, nell’invio di solleciti di pagamento), svolta via telefono ed informatica presso la sede dell’azienda ed utilizzando le relative postazioni telefoniche e telematiche. La sentenza impugnata ha anche motivatamente escluso che il progetto in questione potesse considerarsi una porzione od autonoma fase dell’attivita’ aziendale, non valendo ad integrare la necessaria specificita’ del progetto una mera ripartizione interna della committenza (id est, occuparsi del recupero crediti di alcuni soltanto dei committenti). Pur non applicandosi, ratione temporis, alla fattispecie in esame la L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 24, (a mente del quale il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, articolo 69, comma 1, si interpreta nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento essenziale di validita’ del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato), risulta comunque corretta la statuizione della corte di merito, basata sulla considerazione che il progetto di cui al contratto disciplinato dal Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 61 e segg., non puo’ consistere nella mera riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nello svolgimento dell’attivita’ ordinariamente espletata dall’azienda, con le conseguenze di cui al Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 69. In tal senso, da ultimo e tra le tante, Cass. 25.6.13 n. 15922, secondo cui a tale conclusione e’ possibile giungere anche sulla base del solo testo contrattuale (e senza dunque svolgere altra attivita’ istruttoria, come nella specie), considerato che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall’articolo 61 del d. Igs. n. 276/03, prevede una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o piu’ progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finaleideterminati dal committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione.
1.2- Quanto alla certificazione, deve considerarsi che il Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 80, stabilisce che “nei confronti dell’atto di certificazione, le parti… possono proporre ricorso presso l’autorita’ giudiziaria di cui all’articolo 413 c.p.c., per erronea qualificazione del contratto oppure difformita’ tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione..”; l’accertamento giurisdizionale della erroneita’ della qualificazione ha effetto sin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale..”.
La corte distrettuale ha interpretato il ricorso (quaestio facti, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, Cass. sez.un. 25.2.11 n. 4617), ritenendo che esso contenesse una valida impugnativa di tale certificazione, sicche’, anche sotto tale profilo, la censura si rivela inammissibile alla luce del novellato articolo 360, c.p.c. comma, n. 5.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2113 c.c., circa l’effetto estintivo della transazione sui diritti acquisiti antecedentemente al 23.12.11 e sue conseguenze (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Lamenta che tale transazione (con cui, a suo avviso, la collaboratrice aveva rinunciato a qualsivoglia pretesa sia sulla natura del rapporto, sia sulle eventuali differenze retributive), non poteva considerarsi tempestivamente impugnata con il ricorso ex articolo 414 c.p.c., depositato 14 mesi dopo la stipula dell’atto, dovendosi comunque considerare il tempo intercorso dalla cessazione del rapporto (contratto a progetto) del 31.12.11 e l’inizio di quello successivo (24.1.12), lasso temporale che interrompeva il rapporto, determinando l’inizio del termine semestrale per l’impugnazione. Deduce in sostanza che ai fini dell’individuazione del “dies a quo” del termine di impugnazione posto dall’articolo 2113 c.c., nelle ipotesi in cui l’atto abdicativo, collocandosi fra la cessazione di un rapporto e l’inizio di altro diverso (rapporto) e concernendo diritti scaturenti dal primo, assume un rilievo autonomo rispetto al successivo rapporto, dovrebbe aversi riguardo, anche nel caso in cui questo si svolga fra le medesime parti del precedente, alla data della cessazione del primo o a quella, eventualmente posteriore, della rinuncia stessa, non rilevando in contrario neanche la circostanza che l’atto suddetto sia stato posto in essere a fini di novazione del rapporto originario (Cass. n. 696/1992).
Evidenzia che la transazione in questione, peraltro avente ad oggetto, almeno in parte, diritti futuri e dunque non concretante un atto dismissivo o transattivo bensi’ novativo, realizzava una risoluzione consensuale del rapporto, essendosi ivi prevista la data di cessazione dello stesso (31.12.2011), sicche’ la collaboratrice non aveva comunque alcun diritto al ripristino del rapporto di lavoro.
2.1- Il motivo presenta profili di inammissibilita’ e risulta per il resto infondato. Deve infatti considerarsi che la questione della risoluzione consensuale del rapporto risulta nuova, non emergendo affatto dalla sentenza impugnata, ne’ la societa’ ricorrente chiarisce in quale sede processuale, in che termini e quando la questione sarebbe stata proposta nel giudizio di merito. Parimenti, quanto al contenuto della transazione, la societa’ ricorrente finisce per censurare l’interpretazione dell’atto fornita dal giudice di merito, interpretazione che coinvolge un apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimita’ quando sia motivato in maniera congrua e logica (Cass. sez.un. 25.2.11 n. 4617; Cass. n. 22893/08) e dunque un vizio sindacabile in sede di legittimita’ unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 27.10.15 n. 21874), ora limitato, in base al nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al solo omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (Cass. sez. un. 22 settembre 2014 n. 19881).
Quanto alla tempestivita’ dell’impugnazione della transazione, puo’ comunque rilevarsi che la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto che, essendo l’intero rapporto di lavoro intercorso tra le parti da considerarsi di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine (20.11.06), e non potendosi stipulare un rapporto di lavoro a tempo determinato ove sia in corso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra le parti, il termine semestrale decorreva non gia’ dall’atto di transazione del 23.12.11, bensi’ dalla cessazione dell’ultimo contratto, stipulato il 27.1.12 e cessato il 28.8.12, non potendo dunque trovare applicazione il principio di cui alla citata sentenza n. 696/1992 di questa Corte, emessa in fattispecie di diversi e distinti (anche soggettivamente) rapporti di lavoro, ove l’atto transattivo, posto in essere tra l’un rapporto ed il successivo, acquista autonomo rilievo.
La corte territoriale si e’ anche basata sulla lettera 22.2.12 da cui emergeva che il successivo contratto a progetto venne stipulato con decorrenza 2.1.12 e dunque in piena continuita’ con quello scaduto il 31.12.2011.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con particolare riferimento all’inquadramento “del livello lavorativo”.
Lamenta che la lavoratrice non aveva svolto alcuna richiesta in ordine all’inquadramento eventualmente spettantele, mentre la sentenza impugnata attribui’ alla stessa il 4livello di cui al c.c.n.l. del comparto commercio, senza alcun supporto probatorio e senza considerare il ridotto grado di autonomia caratterizzante le mansioni espletate.
Il motivo e’ inammissibile, sia per non essere stato prodotto, in violazione dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il c.c.n.l. in questione, sia per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente chiarito le mansioni svolte dalla lavoratrice e le ragioni per cui, a suo avviso e diversamente da quanto accertato dalla sentenza impugnata sul punto, esse non potevano rientrare nel detto 4livello. Quanto all’assenza di domanda attorea sul punto, deve parimenti rimarcarsi che la societa’ ricorrente, a fronte del riconoscimento del 4 livello di cui al c.c.n.l. sia da parte del Tribunale che della Corte di merito, non chiarisce, producendo ad esempio il ricorso introduttivo del giudizio, perche’ tale domanda non sarebbe stata proposta.
4.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Nulla sulle spese non avendo l’intimata svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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