CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro
sentenza 7 luglio 2014, n. 15437

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente
Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6178/2008 proposto da:
FEDERAZIONE LAVORATORI METALMECCANICI UNITI DI FIRENZE E PROVINCIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 266/2007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 08/03/2007 R.G.N. 1918/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/03/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata l’8 marzo 2007) respinge l’appello della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (d’ora in poi: FLMU) di Firenze e provincia avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 1156/2005, di rigetto dell’opposizione della FLMU al decreto emesso dallo stesso Tribunale, ai sensi della Legge n. 300 del 1970, articolo 28, che aveva respinto il ricorso proposto dalla FLMU per sentir dichiarare l’antisindacalita’ del comportamento della (OMISSIS) s.p.a., consistente nella reiterata negazione – ad un membro della RSU, eletto nelle liste del sindacato ricorrente – del diritto di indire assemblee Legge n. 300 del 1970, ex articolo 20.
La Corte d’appello di Firenze, per quel che qui interessa, precisa che:
a) deve essere, in primo luogo, respinta l’eccezione di inammissibilita’ della (OMISSIS) per prospettata mancanza di attualita’ della condotta denunciata perche’, anche se l’ultima richiesta del rappresentante FLMU nella RSU di indizione della assemblea risale al 2 marzo 2004, e’ evidente che il reiterato rifiuto di accogliere tale richiesta da parte della azienda da luogo ad una condotta – in ipotesi antisindacale – ad effetti permanenti;
b) pertanto, sotto questo profilo, la tutela di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 28, sicuramente azionabile, tanto piu’ che, nella specie, e’ stata la durata del processo a determinare una dilatazione del lasso temporale tra condotta datoriale e reazione dell’organismo sindacale, visto che il ricorso ex articolo 28 e’ stato proposto poco piu’ di un mese dopo la suindicata richiesta e il conseguente rifiuto;
c) quanto al merito della controversia, va precisato, in primo luogo, che, sulla base di precedenti decisioni di questa Corte d’appello, e’ pacifico che l’avverbio “singolarmente” contenuto della Legge n. 300 del 1970, articolo 20, si limita ad assicurare a tutte le eventuali RSA costituite in azienda il diritto di indire assemblee mentre non garantisce tale diritto ai dirigenti delle RSA;
d) ne consegue che non possono considerarsi titolari del diritto stesso i vari componenti delle RSU istituite dall’Accordo interconfederale del 1993, visto che l’articolo 4 di tale accordo stabilisce che i vari componenti delle RSU “subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarita’ dei diritti, permessi e i liberta’ sindacali e tutele gia’ loro apprestate”;
e) d’altra parte, il medesimo articolo 4, al comma 3 (recte: 5), prevede la sussistenza del diritto a indire, singolarmente o congiuntamente l’assemblea dei lavoratori “in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato nell’unita’ produttiva”, il che significa che conserva la prerogativa originariamente stabilita dall’articolo 20 St.lav. alle sole strutture periferiche aziendali dei sindacati firmatari del suddetto contratto, mentre, nella specie, e’ pacifico che la FLMU non ha sottoscritto il contratto dei telefonici;
f) ne’ a diverse conclusioni si perviene, sulla base dell’articolo 5 dell’Accordo interconfederale, visto che il subentro delle RSU alle RSA ivi previsto e’ finalizzato esclusivamente a garantire la continuita’ della presenza sindacale sotto la nuova veste unitaria;
g) ne deriva che non appare accoglibile la, pur approfondita, elaborazione che ha condotto la Corte di cassazione, con la sentenza 1 febbraio 2005, n. 1892, ad affermare – modificando il precedente orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimita’ – che al singolo membro delle RSU siano da riconoscere non soltanto le prerogative gia’ riconosciute ai dirigenti delle RSA, ma quelle proprie dell’intera RAS;
h) infatti, tale tesi si fonda sull’assunto secondo cui le RSU non sarebbero state configurate come organismi a funzionamento collegiale, ma tale assunto appare smentito dal testo dell’Accordo interconfederale e, d’altra parte, non puo’ essere condivisa l’idea che nelle attribuzioni delle RSU debba essere incluso tutto cio’ che non e’ espressamente escluso;
i) infine, con riguardo al caso di specie, va considerato che il CCNL di settore, successivo a quello applicabile nel presente giudizio, all’articolo 10 ha previsto che debbano essere le OO.SS. stipulanti e le RSU a chiedere l’indizione delle assemblee del personale per le distinte unita’ produttive, cosi’ ribadendo che i singoli componenti della RSU sono sforniti del diritto di indizione in oggetto.
2 – Il ricorso della Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti (d’ora in poi: FLMU) di Firenze e provincia domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato motivo; resiste, con controricorso, (OMISSIS) s.p.a..
Entrambe le parti depositano anche memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Profili preliminari.
1.- Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilita’ del ricorso proposte dalla controricorrente, riguardanti: a) il prospettato mancato rispetto del principio di specificita’ dei motivi di ricorso per cassazione (c.d. di autosufficienza) con riferimento al solo articolo 5 dell’Accordo interconfederale del 1993 per non esserne stato riprodotto il testo nel corpo del ricorso (ove si riporta soltanto il testo del precedente articolo 4); b) il contenuto dell’intero ricorso come richiesta di riesame del merito della controversia.
1.1.- Entrambe le eccezioni sono da respingere.
1.2.- Quanto alla prima va rilevato che, come risulta dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (ivi compresa Cass. 1 febbraio 2013, n. 2416 richiamata dalla societa’ controricorrente) si desume che l’articolo 366 c.p.c., n. 6, nel testo risultante dalla sostituzione ad opera del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 5, come si evince dalla sua stessa ratio, non ha dato veste normativa al principio autosufficienza dell’esposizione dei motivi di ricorso per cassazione (ovvero di specificita’ dei motivi stessi), inteso nel senso di comportare, a pena di inammissibilita’, l’obbligo, in qualunque caso, della trascrizione integrale degli atti o documenti posti a fondamento del ricorso stesso. Una tale interpretazione della norma, infatti, non solo non ha alcun riscontro testuale e logico – sistematico, ma – se intesa in modo cosi’ rigoroso – potrebbe addirittura portare a dei risultati opposti rispetto a quelli che si prefigge, come di recente e’ stato sottolineato dalle Sezioni unite di questa Corte, che hanno affermato, i seguenti principi, che il Collegio condivide:
1) in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali e’, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si e’ articolata; per altro verso, e’ inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698);
2) in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, cosi’ come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 7, di produrre, a pena di improcedibilita’ del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” e’ soddisfatto, sulla base del principio di strumentalita’ delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilita’ ex articolo 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
Ebbene, applicando i suddetti principi alla presente controversia, si desume che il ricorso della FLMU non merita alcuna censura dal punto di vista considerato.
Infatti, come implicitamente si evince anche dalla eccezione prospettata dalla controricorrente, non vi sono dubbi sul fatto che la Federazione abbia correttamente rispettato l’onere di produzione del testo integrale dell’Accordo interconfederale. posto a suo carico a pena di improcedibilita’, come, del resto, risulta confermato dalla presenza nell’elenco degli atti depositati posto in calce al ricorso sia della richiesta di trasmissione di fascicolo d’ufficio presentata alla cancelleria della Corte d’appello di Firenze sia del fascicolo di parte dei precedenti gradi di giudizio, ove si rinviene, appunto, il testo integrale del suddetto Accordo.
In questa situazione, la riproduzione nel corpo del ricorso del testo del solo articolo 4 dell’Accordo interconfederale del 1993 e non anche di quello dell’articolo 5 appare ininfluente, in quanto, sulla base del principio di strumentalita’ delle forme processuali, al fine di una chiara, piana e sintetica esposizione delle censure si deve considerare bastevole la riproduzione della norma contrattuale sulla quale si basano principalmente le doglianze, visto che sono stati dati a questa Corte tutti gli elementi per verificare l’esattezza della relativa interpretazione offertane dalla Corte d’appello, nell’ambito dell’intero testo dell’Accordo interconfederale medesimo, ivi compreso, quindi, il citato articolo 5.
Non va, del resto, dimenticato che, come piu’ volte affermato da questa Corte, il rispetto dei principi del giusto processo di cui all’articolo 111 Cost., comma 2, letti in coerenza con l’articolo 6 della CEDU porta ad intendere la tutela del diritto di difesa (di cui all’articolo 24 Cost.) in correlazione con la maggiore rilevanza da attribuire allo scopo stesso del processo, rappresentato dalla tendenziale finalizzazione ad una decisione di merito in tempi ragionevoli, con conseguente obbligo per il giudice – anche di legittimita’ – di evitare interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte nel senso suddetto o che comunque risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tali da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo (Cass. SU 11 luglio 2011, n. 17144; Cass. 17 maggio 2012, n. 7755; Cass. 11 febbraio 2009, n. 3362; Cass. 11 giugno 2008, n. 15499; Cass. 9 aprile 2004, n. 10963). E cio’, nel rito del lavoro, assume peculiare rilevanza.
1.3.- Anche la seconda eccezione di inammissibilita’ di cui si e’ detto va respinta in quanto, diversamente da quel che sostiene la controricorrente, il ricorso non appare finalizzato ad ottenere un inammissibile riesame del merito dell’intera controversia, ma a censurare l’interpretazione che la Corte fiorentina ha dato delle norme richiamate dalla ricorrente.
2 – Sintesi dei motivi di ricorso.
2.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 20, e degli articoli 4 e 5 dell’Accordo interconfederale 20 dicembre 1993.
Ad avviso della FLMU ricorrente la corretta interpretazione dell’articolo 20 St.lav., alla luce delle norme dell’Accordo interconfederale, dovrebbe portare a ritenere che la titolarita’ del diritto di indire le assemblee di cui si tratta spetta anche alla singola componente della RSU e non solo alla RSU quale organo collegiale, diversamente da quanto si afferma nella sentenza impugnata.
Tale tesi sarebbe supportata sia dall’interpretazione letterale sia dall’interpretazione logico-sistematica delle disposizioni richiamate. Infatti:
a) in base all’interpretazione letterale, va tenuto presente che prima della istituzione delle RSU, ai sensi della Legge n. 300 del 1970, articolo 20, comma 2, era pacifico che le RSA potessero esercitare sia singolarmente sia congiuntamente il diritto di indire assemblee (vedi: Cass. 3 luglio 1984, n. 3894), poiche’ l’articolo 4 dell’Accordo interconfederale cit. ha stabilito il subentro dei “componenti” delle RSU ai “dirigenti” delle RSA, si deve ritenere che i componenti delle RSU possano indire assemblee, singolarmente o congiuntamente;
b) dal punto di vista logico-sistematico si deve considerare che la attribuzione del diritto di indizione delle assemblee al solo organo collegiale rischia di impedire l’esercizio del diritto stesso non soltanto ad un sindacato i minoranza, ma anche ad un sindacato di maggioranza relativa, che pur avendo una significativa componente nella RSU, non riesca, tuttavia a raggiungere la maggioranza assoluta al fine della indizione dell’assemblea.
E’, pertanto, evidente che la tesi seguita dalla Corte d’appello comporta l’introduzione di un requisito estremamente selettivo, che non trova alcun riscontro nei testi normativi e che, di fatto, viene a vanificare e svuotare il diritto stesso.
Viceversa la tesi sostenuta dal sindacato ricorrente non pone alcun problema di carattere sistematico, visto che il diritto di indizione di assemblea trova il suo completamento e automatico bilanciamento nella facolta’ del singolo lavoratore di esercitare o meno il proprio diritto di partecipazione, di cui al primo comma dello stesso articolo 20 St.lav..
D’altra parte, non puo’ essere ignorato che nel successivo articolo 21 St.lav., a proposito dell’indizione dei referendum, si precisa che debba essere effettuata da “tutte le rappresentanze sindacali aziendali”, mentre nell’articolo 20 si usa l’espressione “singolarmente o congiuntamente”.
In questa situazione, la interpretazione della Corte fiorentina appare erronea e motivata in modo poco chiaro, specialmente ove, richiamandosi l’articolo 5 dell’Accordo interconfederale, si afferma che esso garantirebbe un continuum tra RSA e RSU e poi non si considera che per le RSA era previsto che il diritto di indizione delle assemblee potesse esercitato “congiuntamente o singolarmente”.
Del resto, la tesi dell’attuale ricorrente e’ stata seguita da molte pronunce dei giudici di merito e anche da questa Corte nella articolata sentenza 1 febbraio 2005, n. 1892, nella quale ne e’ stata sottolineata la rispondenza all’interpretazione letterale e logico-sistematica della normativa di riferimento.
3 – Esame delle censure.
3.- Il ricorso e’ fondato, per le ragioni di seguito esposte.
4.- La questione centrale per la soluzione della presente controversia e’ rappresentata dallo stabilire se il diritto di indire assemblee (di cui all’articolo 20 St.lav.) rientra, o meno, tra le prerogative attribuite a ciascun componente delle RSU dall’articolo 4, comma 1, dell’Accordo interconfederale 20 dicembre 1993, in base al quale “i componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarita’ di diritti, permessi, liberta’ sindacali e tutele gia’ loro spettanti, per effetto delle disposizioni di cui al titolo terzo della Legge n. 300 del 1970”.
La Corte fiorentina, pur essendo consapevole della soluzione affermativa data a tale questione da questa Corte nella sentenza 1 febbraio 2005, n. 1892, se ne e’ discostata, facendo riferimento ad una “precedente tendenza del giudice di legittimita’”.
Il suddetto piu’ recente orientamento e’ noto anche alle parti del presente giudizio e la controricorrente, in particolare, ne auspica il superamento ovvero suggerisce la rimessione del configurato “contrasto” alle Sezioni unite di questa Corte.
Il Collegio ritiene di dare continuita’ a suindicato indirizzo e non ravvisa le condizioni per la rimessione della questione alle Sezioni unite, in quanto l’orientamento stesso puo’ dirsi ormai consolidato (vedi: Cass. 24 gennaio 2006, n. 1307 nonche’, implicitamente, Cass. 27 gennaio 2011, n. 1955; Cass. 24 aprile 2013, n. 10001) e, d’altra parte, esso trova ulteriore conferma nella lettura “costituzionalmente orientata” delle norme di riferimento derivante dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013.
Va, infatti, ricordato che l’orientamento piu’ risalente (Cass. 26 febbraio 2002 n. 2855 e Cass. 20 aprile 2002 n. 5765) che, in riferimento alla stessa fattispecie oggetto del presente giudizio, escludeva la legittimazione a convocare autonomamente l’assemblea dei lavoratori ad una componente di designazione esclusivamente elettiva della RSU sull’assunto che “tra le prerogative attribuite dal citato articolo 4 del menzionato accordo interconfederale a detti componenti delle RSU non puo’ pero’ includersi il diritto di indire assemblee dei lavoratori conferito dall’articolo 20 St. lav. invece alle RSA (e non ai suoi dirigenti), cui subentrano le RSU quali organismi sindacali”.
Tale costruzione poggiava sulla configurazione di un impedimento normativo a tale allargamento delle prerogative sindacali, derivante dall’articolo 20 St. lav. nonche’ specialmente dai principi inderogabili in materia di rappresentativita’ sindacale. In particolare, a tale ultimo riguardo, nelle anzidette sentenze, si faceva riferimento alla nozione di rappresentativita’ sindacale – all’epoca storicamente applicabile – come prerogativa da attribuire alle associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro – di qualsiasi tipo (nazionali, provinciali o aziendali) – applicati nell’unita’ produttiva, affermandosi che, pertanto, l’acquisto dei diritti sindacali nell’azienda venisse, all’epoca, ad essere condizionato, ai sensi dell’articolo 19 St.lav. “unicamente dal dato empirico di effettivita’ dell’azione sindacale costituito dalla suddetta rappresentativita’ negoziale (criterio che ha superato lo scrutinio di legittimita’ costituzionale per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 244 del 1996)”.
Si comprende, pertanto, come la suddetta opzione ermeneutica – proprio “in ragione della diretta connessione” tra l’articolo 20 St.lav. con il precedente articolo 19, affermata nella richiamate sentenze n. 2855 e n. 5675 del 2002 – non possa non considerarsi del tutto superata, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale, per violazione degli articoli 2, 3 e 39 Cost., della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 19, comma 1, lettera b), “nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unita’ produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
5.- Gia’ da quest’ultimo richiamo risulta che, per un migliore esame del merito della questione di cui si tratta nel presente giudizio, si deve muovere dalla considerazione che dalla lettura combinata dell’articolo 39 Cost., comma 1, – che riconosce l’organizzazione sindacale come libera – e dell’articolo 14 St. lav. – che prevede che il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attivita’ sindacale, e’ garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro – emerge un generale riconoscimento dell’autonomia sindacale che reca con se’ anche quello dell’autonomia contrattuale collettiva con il limite delle norme imperative.
D’altra parte, l’articolo 17 St. lav., quale appunto norma imperativa limitativa dell’autonomia contrattuale collettiva, fa divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.
L’autonomia collettiva quindi puo’ spaziare nell’ambito delle prerogative sindacali prevedendone di nuove e diverse rispetto a quelle contemplate dalla normativa di sostegno posta dal titolo terzo dello Statuto dei lavoratori, ma senza giungere a riconoscere ad un sindacato, o a determinati sindacati, una situazione differenziata di vantaggio che lo collochi ingiustificatamente quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro si’ da qualificarlo quale sindacato di comodo (ex articolo 17 cit.).
Contigua a questa fattispecie del sindacato di comodo e’ poi quella dell’individuazione di un’associazione sindacale del tutto sganciata dalla sua effettiva rappresentativita’ (Corte cost. n. 975 del 1988 e n. 492 del 1995).
Ed allora anche il criterio di rappresentativita’ sindacale ex articolo 19 St. lav., la cui selettivita’ e’ compatibile con la pur generalizzata tutela della liberta’ sindacale (Corte cost. n. 54 del 1974), vale ai fini della normativa di sostegno prevista dallo Statuto dei lavoratori; ma nulla esclude, con il limite suddetto, che altri criteri di rappresentativita’ (ed altre prerogative sindacali) possano essere introdotti dalla contrattazione collettiva.
Resta fermo che, allo specifico fine di porre una contrattazione collettiva di portata generale, l’unico criterio idoneo di rappresentativita’ sindacale e’ quello di cui al quarto comma del cit. articolo 39 Cost., ma anche che, per i soggetti maggiormente rappresentativi a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativi si’ da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, al criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda, cioe’ al semplice dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa, non puo’ essere attribuito rilievo condizionante al fine di escluderne la fruizione delle prerogative di cui alla Legge n. 300 del 1970, in quanto “il modello disegnato dall’articolo 19 St.lav., che prevede la stipulazione del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l’impresa, o quanto meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale”, e si pone, quindi, in evidente contrasto, oltre che con gli articoli 2 e 3 Cost., anche con l’articolo 39 Cost., commi 1 e 4, per la violazione che, sul piano negoziale, ne deriva dei valori del pluralismo e della liberta’ di azione della organizzazione sindacale (Corte cost. n. 231 del 2013 cit.).
6.- Ne consegue che e’ a questa nuova nozione di rappresentativita’ sindacale che ormai si deve fare riferimento per l’attribuzione delle anzidette prerogative (ivi compreso il diritto di indire assemblee).
Non va, del resto, dimenticato che l’articolo 19 cit. non e’ stato concepito come “un involucro normativo rigido, tale cioe’ da non consentire adeguata espressione alle differenziazioni che nella realta’ possono verificarsi” tra gli interessi in gioco, in quanto, proprio l’esclusione di ferrei formalismi di tipo tecnico-giuridico consente di accompagnare il carattere dinamico delle relazioni sindacali e cosi’ tutelare nel modo migliore la liberta’ sindacale, in sintonia con il disegno complessivo dei nostri Costituenti, quale risulta dalla combinazione dell’articolo 39, con gli articoli 2 e 3 Cost., (sentenza n. 334 del 1988).
In questa ottica, dal punto di vista meramente ricostruttivo, si puo’ ricordare (vedi Corte cost. n. 231 del 2013 cit.) come, fin dall’entrata in vigore della normativa risultante dall’abrogazione referendaria parziale dell’articolo 19, fosse stato prefigurato il rischio che tale disciplina – pur derivando da un referendum la cui ratio era quella di ampliare la possibilita’ di svolgere attivita’ sindacale anche in favore di soggetti nuovi che fossero realmente presenti ed attivi nel panorama sindacale -tuttavia, nella sua accezione letterale, potesse prestare il fianco a applicazioni sbilanciate: a) da un lato, infatti, si sarebbe potuto determinare’ uno “sbilanciamento in eccesso” se l’espressione “associazioni firmatarie” fosse stata intesa nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del contratto a fondare la titolarita’ dei diritti sindacali in azienda (con virtuale apertura a sindacati di comodo); b) d’altra parte, si sarebbe potuto registrare uno “sbilanciamento per difetto”, ove l’espressione “associazioni firmatarie” fosse stata interpretata come ostativa al riconoscimento dei diritti in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto applicato in azienda.
Conseguentemente, nel corso degli anni, e’ stato precisato che in base al nuovo testo dell’articolo 19 – non derivando la rappresentativita’ del sindacato “da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia” – non e’ sufficiente “la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto” e “nemmeno e’ sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale gia’ applicato nella stessa unita’ produttiva” (Corte cost. n. 244 del 1996).
A cio’ e’ stato aggiunto, da ultimo, che, d’altra parte, se il sindacato e’ realmente rappresentativo, la sua decisione di non firmare un contratto collettivo alle cui trattative preparatorie abbia attivamente preso parte, nell’indicata veste, non puo’ sicuramente essere configurata come elemento idoneo a negare la tutela privilegiata prevista dalla Legge n. 300 del 1970, stessa (Corte cost. n. 231 del 2013).
Ne risulta confermato l’assunto, cui si ispira tutto il diritto sindacale in base alla Costituzione, secondo cui le prerogative riconosciute alle organizzazioni sindacali, sono il riflesso della sostanziale rappresentativita’ del sindacato, dato quest’ultimo che non puo’ essere eluso – ne’ in eccesso ne’ in difetto – da elementi meramente formali quali, da un lato, la sola formale sottoscrizione di un contratto oppure, dall’altro lato, la sola mancata sottoscrizione del contratto (da parte di un sindacato che abbia partecipato alle relative trattative, grazie alla sua rappresentativita’).
7.- In questo quadro si inseriscono le Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) – introdotte sulla base dell’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (preceduto dal Protocollo di intesa del 23 luglio 1993) – cui si e’ pervenuti a seguito del primo manifestarsi della crisi del processo di unita’ sindacale che aveva caratterizzato gli anni precedenti, consentendo l’affermarsi di prassi per le quali la rappresentanza elettiva dei Consigli di fabbrica era nei fatti compatibile con la designazione delle RSA.
L’istituzione di tali organismi fu pertanto il frutto di una mediazione idonea a consentire di assicurare un riconoscimento anche alle organizzazioni sindacali minoritarie presenti in azienda, pur nel rispetto del principio del suffragio universale. Coerentemente, con tale finalita’, nella giurisprudenza di questa Corte e’ stato affermato che le RSU:
a) rispondono ad un diverso criterio di rappresentativita’ sindacale in azienda, cioe’ a quello elettivo con soglia di sbarramento, ma privo di esclusivita’ in quanto aperto ad ogni associazione sindacale che abbia anche solo aderito all’Accordo interconfederale (vedi: Cass. 5 maggio 2003 n. 6821; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1955; Cass. 7 marzo 2012, n. 3545; Cass. 24 aprile 2013, n. 10001);
b) sono pienamente legittime anche se deviano dal criterio di rappresentativita’ negoziale posto dall’articolo 19 St. lav., fondato sulla sottoscrizione di un contratto collettivo applicabile nell’unita’ produttiva, che oggi peraltro non puo’ considerarsi esclusivo (Cass. 1 febbraio 2005, n. 1892; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1307);
c) sono organismi del tutto autonomi, protetti dagli strumenti di garanzia stabiliti dal titolo III dello Statuto dei lavoratori per la tutela della liberta’ ed attivita’ sindacale; pertanto, il datore di lavoro (pubblico) non puo’ esercitare alcun potere di ingerenza e controllo sul funzionamento delle RSU e sulla loro composizione (Cass. 20 marzo 2008, n. 7604).
Conseguentemente, anche la legittimita’ dell’attribuzione alle RSU delle prerogative sindacali pattiziamente previste deve essere valutata sempre con riferimento alla rappresentativita’ sindacale dedotta dall’articolo 19 St. lav. nel nuovo significato risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013 (Cass. 27 agosto 2002 n. 12584; vedi anche Cass. 5 dicembre 1988 n. 6613 con riferimento all’originaria formulazione dell’articolo 19 cit.).
8.- Dalle considerazioni svolte risulta quindi che il modello dell’articolo 20 St. lav., che prevede che ad indire l’assemblea siano, “singolarmente o congiuntamente”, le RSA nell’unita’ produttiva, non puo’ essere inteso come limite legale all’autonomia contrattuale collettiva che riconosca il diritto di indire l’assemblea alle RSU.
Diverso e’ il criterio di rappresentativita’ (rispettivamente previsto per le RSU e per le RSA) e nulla esclude che una particolare prerogativa sindacale espressamente prevista dalla contrattazione collettiva (il sopra menzionato Accordo interconfederale) possa essere configurata diversamente; talche’, quali che siano le modalita’ di convocazione della RSA ex articolo 20 St. lav. ed ove anche tale disposizione fosse interpretata nel senso di escludere che l’assemblea possa essere indetta dal singolo dirigente di una RSA se a composizione collegiale, non puo’ analogamente predicarsi che giammai il singolo RSU possa indire l’assemblea.
Ne’ viene in rilievo il limite dell’articolo 17 St. lav. sul sindacato di comodo atteso che la RSU e’ formata su base elettiva e quindi non c’e’ in radice alcuna prefigurazione di un sindacato in posizione differenziata che debba essere scrutinata per verificarne la riconducibilita’, o meno, alla fattispecie dell’articolo 17 cit.. Occorre quindi null’altro che interpretare la norma contrattuale, collettiva per ricostruire la prerogativa sindacale in esame.
In conclusione la tesi della Corte territoriale – condivisa dalla societa’ controricorrente – secondo cui dall’articolo 20 St. lav. e dai principi in materia di rappresentativita’ sindacale risulterebbe che l’assemblea non potrebbe giammai essere indetta dal singolo rappresentante sindacale unitario, e’ destituita di fondamento, operando il diverso principio di diritto secondo cui l’autonomia contrattuale collettiva puo’ prevedere organismi di rappresentativita’ sindacale in azienda (quali, nella specie, le RSU di cui all’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993) diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui alla Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 19, e alle prime puo’ assegnare prerogative sindacali – quale il diritto di indire l’assemblea sindacale – non necessariamente identiche a quelle delle RSA, con il limite, previsto dalla Legge n. 300 del 1970, articolo 17, cit., del divieto di riconoscere ad un sindacato un’ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro.
Questa e’ l’unica interpretazione del complesso normativo di cui si discute che sia non solo conforme alla volonta’ contrattuale espressa dalle OO.SS. al momento della costituzione delle RSU quale risultante anche dalla giurisprudenza di questa Corte dianzi citata, ma anche al concetto di “rappresentativita’ sindacale” che si ricava dall’articolo 19 St.lav., nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale (vedi, in particolare: sentenze n. 244 del 1996 e n. 231 del 2013).
9.- Da quanto si e’ detto deriva l’erroneita’ della premessa maggiore della ricostruzione effettuata dalla Corte fiorentina.
A cio’ va aggiunto che altrettanto erronea si rivela – soprattutto alla luce di Corte cost. n. 231 del 2013 – l’argomento che la Corte territoriale trae dell’articolo 4, comma 5, della Accordo interconfederale cit..
Tale norma fa “salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato nell’unita’ produttiva, i seguenti diritti: a) diritto a indire, singolarmente o congiuntamente l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore Legge n. 300 del 1970, ex articolo 20; b) diritto ai permessi non retribuiti, di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 24; c) diritto di affissione di cui alla Legge n. 300 del 1970, articolo 25”.
La Corte territoriale, interpreta la clausola nel senso che essa prevederebbe la sussistenza del diritto a indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori soltanto in favore delle “strutture periferiche aziendali dei sindacati firmatari del suddetto contratto, mentre, nella specie, e’ pacifico che la FLMU non ha sottoscritto il contratto dei telefonici”.
Ora, a prescindere, dal fatto che dal punto di vista letterale il termine “stipulanti” non equivale a “firmatari”, comunque e’ evidente che, oggi, dopo la citata sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013, a maggior ragione la mancata sottoscrizione di un contratto collettivo non puo’ essere considerata come un elemento di per se’ scriminante se il sindacato e’, nei fatti, rappresentativo in azienda ed abbia quindi partecipato alle trattative del contratto (pur dopo, in ipotesi, non sottoscritto).
10.- Ne’ a diverse conclusioni si perviene con riguardo all’argomento tratto dalla Corte fiorentina dall’articolo 5 dell’Accordo interconfederale, che a suo avviso si limiterebbe a prevedere il “subentro” delle RSU alle RSA soltanto al fine di garantire la continuita’ della presenza sindacale sotto la nuova veste unitaria, salvo restando che poiche’ le RSU sono state configurate come organismi a funzionamento collegiale, non potrebbe essere incluso nelle relative attribuzioni tutto cio’ che non e’ espressamente escluso.
Ebbene – come gia’ affermato da questa Corte (Cass. 24 gennaio 2006, n. 1307 e Cass. 1 febbraio 2005, n. 1892 cit.) – l’Accordo interconfederale in oggetto non contiene alcun dato testuale che faccia ritenere che il riconoscimento pattizio delle prerogative sindacali di cui si tratta sia limitato solo a quelle attribuite ai dirigenti delle RSA (quali quelle di cui agli articoli 22, 23 e 24 St. lav.) e non si estenda anche a quelle riconosciute alle RSA come organismi rappresentativi (quale il diritto di indire l’assemblea ex articolo 20 St. lav.).
Ne consegue che, dal punto di vista esegetico, e’ necessario leggere l’articolo 4 e l’articolo 5 dell’Accordo in combinazione tra loro.
Tale combinazione evidenzia che: a) l’articolo 4 stabilisce che i componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarita’ dei diritti, permessi e liberta’ sindacali e tutele gia’ loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo terzo della Legge n. 300 del 1970; b) il successivo articolo 5 prevede che alle RSA ed ai loro dirigenti subentrino le RSU nella titolarita’ dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge.
Delle RSU non e’ predicata la natura di organismi a funzionamento collegiale, sicche’ non vi e’ ragione per non ritenere che alle RSU siano state pattiziamente riconosciute le prerogative sindacali delle RSA tutte, cioe’ sia quelle riferibili alla singola RSA, sia quelle attribuite ai suoi dirigenti; e tra queste prerogative sindacali e’ compreso anche il diritto di indire l’assemblea sindacale.
Del resto, se la prerogativa prevista dall’articolo 20 St. lav. in favore delle RSA non richiedeva che l’indizione dell’assemblea fosse necessariamente congiunta potendo le riunioni sindacali essere convocate “singolarmente o congiuntamente” (vedi: Cass. 3 luglio 1984, n. 3894), la speculare prerogativa pattizia prevista dall’articolo 4 cit., che reca il riconoscimento del diritto di indire “singolarmente o congiuntamente” l’assemblea dei lavoratori, non puo’ che essere intesa come ripetitiva di questa duplice modalita’ di convocazione escludendo che questa (la convocazione) possa essere solo ed unicamente congiunta, ossia riferita all’intera rappresentanza sindacale unitaria.
4 – Conclusioni.
11.- In sintesi, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento di ogni altro profilo di censura.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che si atterra’, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente:
“In tema di rappresentativita’ sindacale, dalla lettura coordinata della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 19 e articolo 20, si desume che il combinato disposto degli articoli 4 e 5 dell’Accordo interconfederale del 1993 (istitutivo delle RSU) deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee rientra tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa, purche’ questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nella azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentativita’ ai sensi dell’articolo 19 cit., quale risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.

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