Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 6 marzo 2014, n. 5297
Fatto e diritto
1. Con sentenza del 6.7.2011, la Corte d’appello di Roma confermava la decisione del tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda delle sorelle C. volta all’accertamento del loro rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del condominio di via (omissis) dal 1990 al 2002, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive maturate, nonché alla declaratoria di illegittimità del licenziamento loro intimato, con condanna al risarcimento dei danni anche non patrimoniali subiti, ed al rimborso delle somme spese per i lavori effettuati nell’immobile del condominio in cui avevano vissuto.
2. La Corte territoriale ha escluso la configurabilità di un duplice rapporto di lavoro per lo svolgimento di mansioni semplici espletabili da un unico lavoratore, ha rilevato la mancata indicazione da parte delle ricorrenti della persona che le avrebbe assunte, non ritenendo rilevanti allo scopo neppure i verbali delle assemblee condominiali, meri atti preparatori, tanto più in assenza di prova circa la percezione di compensi o la sottoposizione a direttive di lavoro.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso le lavorataci con sette motivi. Il condominio resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, per un motivo. Le lavoratrici hanno presentato a loro volta controricorso, nonché memoria illustrativa.
4. I ricorsi, principale ed incidentale, devono essere riuniti in quanto proposti verso la medesima sentenza.
5. Con il primo motivo di ricorso, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 1335, 1372 ss. cod. civ., e 12 prel., nonché 116 cod. proc. civ., rilevando che i verbali assembleari del 2.7.98 e 23.11.98 recano delibere condominiali di assunzione delle lavoratrici con mansioni di portierato, assunzione accettata dalle stesse per fatti concludenti, attraverso la continuativa esplicazione dell’attività lavorativa e l’occupazione dello stabile condominiale assegnato.
6. Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione ai medesimi fatti indicati nel morivo che precede.
7. Con il terzo motivo di ricorso, le ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 115 cod. civ., nonché 116, 99 e 100 cod. proc. civ., in relazione alla mancata considerazione da parte della sentenza dell’assegnazione dell’alloggio condominiale ai fini del riconoscimento del dedotto rapporto lavorativo.
8. Con il quarto motivo, i medesimi fatti sono posti a base della censura di insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
9. Con il quinto motivo, si lamenta vizio ex art. 360 n. 5 cod.proc. civ. in ragione della erronea valorizzazione del precedente rapporto lavorativo intrattenuto dal condominio con il fratello delle lavoratrici che con le stesse conviveva nell’alloggio condominiale con piena consapevolezza del condominio.
10. Con il sesto motivo, si rileva violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e 2697 cod. civ., nonché 116 e 414 cod. proc. civ., in ragione dell’erroneo disconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, e richiamandosi a tal fine da un lato affermazioni del condominio contenute nella memoria difensiva di primo grado e, dall’altro lato, il mandato attribuito a difensore per transigere la controversa con le ricorrenti relativamente al periodo 1990-2002.
11. Con il settimo motivo di ricorso, si lamenta vizio ex art. 360 n. 5 cod.proc. civ. in ragione dell’erroneo disconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, nonostante la continuità della prestazione, l’inserimento stabile nella struttura datoriale, l’assenza di rischio d’impresa, la particolarità delle mansioni di portierato.
12.1 motivi di ricorso primo, terzo e sesto sono inammissibili in quanto non recanti argomentazioni coerenti con il disposto delle norme la cui violazione si contesta. Va rilevato in ordine al vizio di violazione di legge (Sez. L, Sentenza n. 15263 del 06/07/2007) che nel ricorso per cassazione il requisito della esposizione dei motivi di impugnazione – nella quale la specificazione dei motivi e l’indicazione espressa delle norme di diritto non costituiscono requisiti autonomi, avendo la seconda la funzione di chiarire il contenuto dei motivi – mira ad assicurare che il ricorso consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, cosicché devono ritenersi inammissibili quei motivi che non precisino in alcuna maniera in che cosa consista la violazione di legge che avrebbe portato alla pronuncia di merito che si sostiene errata, o che si limitino ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione.
13. Gli altri motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati. La sentenza impugnata non è correttamente motivata. Da un lato essa esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro delle due ricorrenti solo perché ritiene che la circostanza che si tratti di mansioni semplici, espletatali anche da un unico lavoratore, non consenta la costituzione di un duplice rapporto. Tale affermazione, non supportata peraltro da alcuna evidenza relativa alla quantità del lavoro espletato, non è sufficiente ad escludere la costituzione di un duplice rapporto di lavoro, se del caso con le particolari modalità del rapporto di portierato e con orari di lavoro compatibili. Si è del resto affermato (Sez. L, Sentenza n. 3282 del 08/06/1979) che la riduzione dell’orario di lavoro rispetto alle previsioni della normativa collettiva, concordata dalle parti per loro particolari fini e per determinati effetti, non è da sola sufficiente per escludere l’esistenza di un rapporto di portierato e, quindi, l’applicabilità dei relativi contratti collettivi di categoria nei confronti del lavoratore che svolge attività di sorveglianza ai cancelli di un comprensorio immobiliare, costituito da più palazzine ognuna delle quali fornita di un portiere.
14. Per altro verso, la sentenza ha ritenuto decisiva la mancata indicazione da parte delle ricorrenti della persona che le avrebbe assunte, al fine di escludere la costituzione del rapporto di lavoro, in ragione della mancanza di personalità giuridica del condominio.
15. La sentenza, da un lato, non ha tenuto conto delle due delibere assembleali del 1998 con le quali il condominio ha deciso di instaurare con ciascuna delle ricorrenti un rapporto di lavoro “per ore 27 mensili a tariffa sindacale per lavori di manutenzione e pulizia”, come si legge nelle delibere, trascurando l’insegnamento di questa Corte secondo il quale l’assemblea dei condomini oltre ad avere il potere di delegare l’amministratore a concludere un determinato contratto, fissando i limiti precisi dell’attività negoziale da svolgere, ha anche il potere di prestare direttamente il proprio consenso alla conclusione di un contratto, non essendo previsto alcun divieto al riguardo nella disciplina del condominio e non sussistendo alcun impedimento tecnico-giuridico per una efficace manifestazione di volontà negoziale da parte dell’assemblea (Sez. 2, Sentenza n. 1994 del 25/03/1980; il principio è implicitam
ente affermato anche da Sez. 3, Sentenza n. 1277 del 29/01/2003, che ha affermato che, salvo che la legge o lo statuto richiedano la forma espressa o addirittura quella scritta, la volontà di partecipare alla costituzione del consorzio o di aderire al consorzio già costituito può essere manifestata anche tacitamente e desumersi da presunzioni o fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio oppure l’utilizzazione in concreto dei servizi posti a disposizione dei consorziati).
16. La sentenza ha pure omesso di considerare che il perfezionamento del rapporto di lavoro può ben avvenire per fatti concludenti anche nei confronti di un soggetto giuridico non personificato, qual è il condominio, e ciò non solo a seguito delle due delibere assembleali del 1998, ma se del caso anche per il periodo precedente (in relazione alla continuativa esplicazione dell’attività lavorativa, all’occupazione dello stabile condominiale assegnato ed all’accettazione della prestazione da parte del condominio) in relazione alle risultanze istruttorie (non valutate nell’ottica indicata dalla corte territoriale) e, se del caso, anche in relazione a presunzioni desumibili dalle ricamate delibere o da altri documenti indicati dalle ricorrenti. La corte ha omesso di valutare altresì le prove fornite al fine di verificare l’occupazione dell’alloggio condominiale, le particolari modalità della prestazione senza predeterminazione di orario ma in relazione al contenuto delle mansioni medesime, la dedotta continuità della prestazione delle ricorrenti, il loro inserimento stabile nella struttura datoriale, l’assenza di rischio d’impresa, e la rilevanza di tali aspetti in relazione ad un rapporto di lavoro di portierato (cfr., per alcune delle questioni indicate, Sez. L, Sentenza n. 11638 del 04/12/1990, secondo la quale nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini, la somministrazione dell’alloggio ubicato nell’edificio condominiale, ove non risulti giustificata da un diverso titolo, deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l’attività di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali è finalizzata la suddetta somministrazione).
17. Con l’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, il condominio ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 184, 115 e 420 c.p.c. nonché carenza di motivazione su punto decisivo della controversia, per avere la sentenza impugnata escluso l’inidoneità della domanda a contenere una allegazione sufficiente della subordinazione, attesa la mancata evocazione nelle ricorso introduttivo di un vincolo gerarchico disciplinare nei loro confronti delle ricorrenti (presupposto, questo, indefettibile della subordinazione).
18. Il motivo è inammissibile in quanto, nell’assemblare in unico motivo pretesi vizi di motivazione su fatti decisivi e, dall’altro lato, violazioni di legge (che invece presuppongono fatti accertati), non attiene a capi autonomi della sentenza rispetto ai quali sia individuabile una soccombenza della parte in questione.
19. Per quanto detto, la sentenza impugnata deve essere cassata.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso incidentale nonché i motivi primo, terzo e sesto del ricorso principale; accoglie gli altri motivi del ricorso principale e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
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