Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 dicembre 2017, n. 28974. Il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare

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5. Deve rimarcarsi, per un corretto inquadramento della questione delibata, che il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui “ratio” riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro.

Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza (del licenziamento e della contestazione) e’ dunque coincidente con quella che connette l’onere di tempestivita’ al principio di buona fede oggettiva e piu’ specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare (vedi Cass. 17/12/2008 n.29480).

Peraltro, questa Corte ha avuto modo di sottolineare con orientamento privo di contrasti, come il criterio di immediatezza vada inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonche’ del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto piu’ e’ complessa l’organizzazione aziendale, con l’ulteriore specificazione che la relativa valutazione del giudice di merito e’ insindacabile in sede di legittimita’ se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici” (ex aliis, vedi, di recente, Cass. 25/1/2016 n.1248, Cass. 12/1/2016 n. 281).

6. La definizione del concetto di immediatezza non puo’ prescindere, poi, dal rilievo che il giudizio su di essa postula l’accertamento del tempo in cui il datore di lavoro sia venuto a conoscenza della riprovevole condotta del dipendente, di guisa che, come affermato da questa Corte in numerosi approdi (cfr. Cass. 26/11/2007 n.24584, Cass. 15/10/2007 n. 21546, Cass. 10/1/2008 n.282), il lasso temporale tra i fatti e la loro contestazione deve decorrere dall’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dall’astratta percettibilita’ o conoscibilita’ dei fatti stessi, non potendosi ragionevolmente imputare al datore medesimo, legittimato all’esercizio del potere disciplinare a seguito dell’accertamento dei fatti addebitati al dipendente, la possibilita’ di conoscere questi fatti in precedenza e di contestarli immediatamente al lavoratore.

7. ne’ sul punto, appare pertinente – come asserito da questa Corte in recenti arresti concernenti fattispecie sovrapponibile a quella qui scrutinata (vedi in motivazione, Cass. 13/6/2017 n.14654) – la denuncia di asserita violazione dell’articolo 240 c.p.p. trattandosi di norma specificamente dettata per il solo procedimento penale (cfr. Cass. 14/3/2013 n.6501 secondo cui in materia disciplinare, poiche’ gli articoli 240 e 333 c.p.p. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell’illecito, ne’ un simile divieto puo’ desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede che costituisce un metro di valutazione dell’adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una autonoma fonte).

8. Dei suddetti principi la Corte distrettuale ha disposto corretta applicazione, avendo argomentato che i fatti addebitati alla dipendente (e consistiti nel compimento di una serie di indebite operazioni di abbuono disposte su fatture telefoniche alla clientela ed anche a se stessa, che avevano comportato un pregiudizio economico alla azienda) erano stati descritti in una lettera anonima pervenuta all’Amministratore delegato della societa’ circa un mese prima dell’invio della contestazione disciplinare. La Corte ha, quindi, esattamente considerato rilevante ai dedotti fini, il momento di acquisizione delle notizie concernenti la condotta illegittima assunta dalla dipendente, deducendo – con incedere argomentativo del tutto congruo sotto il profilo logico, e corretto, per quanto sinora detto, sul versante giuridico – che l’invio della lettera di contestazione disciplinare dopo in mese dalla ricezione della lettera anonima, pur a distanza di tempo dal compimento degli atti contestati, non poteva ritenersi disposto in violazione del summenzionato principio di immediatezza; con la precisazione che neanche era ipotizzabile in capo alla societa’, alcuna responsabilita’ per omesso controllo dei propri dipendenti, considerata la imponenza della struttura organizzativa aziendale e l’elevatissimo numero di dipendenti, quali la ricorrente, addetti al sevizio di recupero crediti.

Il disposto apprezzamento si palesa logicamente coerente e puntualmente riferito a tutti gli elementi del giudizio oltre che conforme a diritto, onde resiste alle censure all’esame.

9. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole della omessa ponderata valutazione da parte dei giudici del gravame, ai fini della proporzionalita’ della sanzione inflitta, della mancata irrogazione di qualsivoglia provvedimento disciplinare a proprio carico, elemento decisivo ai fini considerati, tenuto conto altresi’ della circostanza che i fatti addebitati erano stati commessi in concorso con altri dipendenti ai quali erano state comminate sanzioni conservative. Si richiama il principio per cui quando piu’ dipendenti sono responsabili di un fatto illecito, il datore di lavoro non puo’ irrogare provvedimenti disciplinari di diversa misura per ciascuno di essi, in assenza di adeguata motivazione. Si deduce che nello specifico, detto principio sarebbe rimasto inosservato.

10. La censura presenta profili di inammissibilita’ giacche’ nella sostanza contesta l’accertamento in fatto operato dai giudici del merito.

Invero la ricostruzione dei fatti e la loro valutazione, per le sentenze pubblicate – come nella specie – dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 de1111.8.2012), di conversione del Decreto Legge 22 giugno 2012 n. 83, e’ censurabile in sede di legittimita’ solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma detto vizio non puo’ essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata ai sensi del richiamato Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, (cfr. Cass. Cass. 18/12/2014 n. 26860) – come nel caso di specie – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (articolo 348 ter c.p.c., u.c.).

Ossia il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non e’ deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (vedi Cass. 22/12/2016 n. 26774, in motivazione, Cass. 16/11/2016 n. 23358, Cass. 18/8/2016 n.171669 e Cass.11/12/2014 n.26097, che ha altresi’ escluso dubbi di incostituzionalita’ della norma).

Pertanto la decisione della Corte territoriale, che ha fatto proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice della sentenza de qua, ritenute condivisibili, non puo’ essere oggetto del sindacato di questa Corte a mente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

11. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso e’ rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

Infine si da’ atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

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