Il datore di lavoro deve procedere alla formale contestazione dei fatti addebitabili al lavoratore dipendente non appena ne venga a conoscenza e gli stessi appaiano ragionevolmente sussistenti.

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[…]

In relazione a tale accertamento di fatto, ha correttamente ritenuto tempestiva la contestazione del 24 gennaio 2014 (preceduta anche da un provvedimento di allontanamento dal servizio del 16.10.2013) giacche’ lo spazio temporale cosi’ delimitato appare congruo a contemperare, da un lato, la esigenza di una adeguata ponderazione dei fatti, nell’interesse dello stesso lavoratore, dall’altro quella di consentire al lavoratore una adeguata difesa.

L’accertamento da parte del giudice del merito del momento storico in cui il datore di lavoro ha acquisito la conoscenza del fatto disciplinare e’, invece, un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimita’ soltanto sotto il profilo del vizio della motivazione.

8. La relativa censura e’, tuttavia, inammissibile.

Ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado il ricorso per Cassazione puo’ essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-2-3 e 4.

Questa Corte ha gia’ affermato (sentenza n. 23021 del 2014), con indirizzo cui si intende dare in questa sede continuita’, la applicabilita’ della disposizione di cui all’articolo 348 ter c.p.c. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo L. n. 92 del 2012, ex articolo 1 (c.d. Legge Fornero).

A tale riguardo ha evidenziato come la normativa di riferimento non disciplini il contenuto dell’atto di reclamo, introduttivo del giudizio di secondo grado e che vi e’ dunque integrazione della disciplina – pur speciale – dettata dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1, commi 58 e 61, con quella dell’appello nel rito del lavoro; dalla integrazione deriva la applicazione anche dell’articolo 348 ter c.p.c., ed in particolare -per quanto in questa sede rileva – della modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia c.d. “doppia conforme”.

A tenore dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 5 il vizio di motivazione non e’ deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme”, come nella fattispecie di causa.

La disposizione e’ applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2); nel presente giudizio il reclamo e’ stato depositato in data 10.8.2015.

9. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost.

Assume che la sentenza impugnata nel distinguere i fatti controversi da quelli non controversi non motiva minimamente in ordine ai primi, sicche’ la statuizione, in parte qua, violerebbe il precetto costituzionale per la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”.

10. Con il quarto motivo, il ricorrente censura – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c. nonche’ degli articoli 1175, 1375, 2106 e 2119 c.c..

Critica la sentenza per non aver attribuito il necessario rilievo ai comportamenti concorrenti del direttore della filiale e degli altri colleghi in ordine alla ideazione e realizzazione dell’operazione delle carte prepagate, con ogni conseguenza in termini di diversa valutazione della gravita’ della condotta.

I giudici di merito avrebbero, infatti, dovuto valorizzare la circostanza che piu’ persone avevano concorso nell’inadempimento e tener conto, ai fini del giudizio di proporzionalita’, della diversa reazione di parte datoriale nei confronti degli altri dipendenti.

Nessuna gravita’, in ragione di un pregiudizio pressoche’ nullo, doveva inoltre essere attribuita alla richiesta di retrodatazione degli importi delle retribuzioni, semplicemente richieste dal ricorrente ed attuate dai colleghi senza alcun tipo di artificio.

11. I motivi da trattarsi congiuntamente, in quanto connessi, sono infondati.

Deve escludersi, in primo luogo, il denunciato vizio motivazionale, avendo la sentenza fatto applicazione del principio dell’assorbimento: la decisione su una questione c.d. assorbente ha reso superflua la necessita’ di provvedere su altre questioni controverse in causa (ex multis, Cass. 28663 del 2013).

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ritenuto che le condotte, pacifiche tra le parti, fossero da sole sufficienti ad integrare la giusta causa di licenziamento; correttamente hanno ritenuto superfluo esaminare le condotte controverse che non avrebbero comunque condotto ad un diverso esito della lite.

Per il resto, al di la’ della titolazione delle rubriche, parte ricorrente, lungi dal dedurre quali siano le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimita’, imputa in realta’ alla sentenza vizi motivazionali, per aver sottovalutato, ai fini del giudizio di gravita’ e di proporzionalita’ della sanzione, da un lato, in relazione alla condotta di intestazione fittizia di carte prepagate, la concorrente partecipazione ai fatti di altri lavoratori nonche’ l’assenza di adozione di eguali provvedimenti sanzionatori nei confronti di questi ultimi, e, dall’altro, quanto alla condotta di retrodatazione delle valute di accredito di tre emolumenti stipendiali, l’esiguita’ del danno (pochi euro) e l’assenza di artifici.

Nella sostanza, parte ricorrente assume un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze della causa, rilevante solo come vizio di motivazione che, pertanto, per le medesime ragioni di cui al secondo motivo, e’ inammissibile nell’attuale giudizio.

Il ricorso va, dunque, complessivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, alle spese forfettarie del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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