Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro
sentenza 28 febbraio 2014, n. 4854

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18471-2010 proposto da:
MINISTERO AFFARI ESTERI C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ope legis, in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS);
– intimato –
Nonche’ da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
MINISTERO AFFARI ESTERI C.F. (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1116/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/03/2010 R.G.N. 11010/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 9.11.06 il Tribunale di Roma, dichiarata l’illegittimita’ del licenziamento disposto dal Ministero degli affari esteri nei confronti di (OMISSIS) – che era stato assunto con rapporto a tempo determinato per lo svolgimento di una missione in (OMISSIS), per conto della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, finalizzata all’attuazione del Programma di manutenzione degli impianti frigoriferi nei porti di pesca – condannava la predetta amministrazione a pagare le retribuzioni maturate fino a quella che sarebbe stata la pattuita scadenza del rapporto e rigettava le domande risarcitorie avanzate dal dipendente.
Con sentenza depositata il 29.3.10 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, condannava il Ministero degli affari esteri anche al pagamento di euro 50.000,00 a titolo di risarcimento del danno all’immagine patito dal (OMISSIS) e di euro 517,52 a titolo di rimborso delle spese da lui anticipate nel corso del rapporto lavorativo.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero degli affari esteri affidandosi a tre motivi.
(OMISSIS) resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale basato su un unico motivo e accompagnato da richiesta di condanna dell’amministrazione ricorrente anche per responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c.; illustra ulteriormente le proprie argomentazioni con memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Preliminarmente ex articolo 335 c.p.c. si riuniscono i due ricorsi in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza.
2- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 2059 e 2697 c.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha accolto la domanda di risarcimento del danno all’immagine, conseguente al recesso ante tempus dal rapporto, pur in assenza di prova del danno lamentato, danno che sarebbe stato conseguenza della comunicazione delle ragioni del licenziamento alla FAO e alle autorita’ tunisine e della loro diffusione sul Bollettino della Cooperazione; lamenta a riguardo l’amministrazione ricorrente che il (OMISSIS) non ha dato prova del nesso eziologico fra il licenziamento e il danno all’immagine che si sarebbe ripercosso su una perdita di clientela in realta’ non dimostrata.
Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1226 c.c. per avere la Corte territoriale proceduto ad una liquidazione equitativa malgrado la carenza di prova del danno risarcibile.
Con il terzo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 437 c.p.c. e dell’articolo 2697 c.c. per avere i giudici d’appello accolto anche la domanda di rimborso di euro 517,52 per spese anticipate dal (OMISSIS) nel corso del rapporto lavorativo in base alla mera mancata contestazione da parte dell’amministrazione, nonostante l’assenza di prova a riguardo e l’inesistenza nell’ordinamento, prima della novella dell’articolo 115 c.p.c. ad opera della Legge n. 69 del 2009, articolo 45, d’un generale principio di non contestazione; cio’ si e’ risolto – prosegue il ricorso – in una sostanziale inversione dell’onere della prova; per altro, in appello il ministero ricorrente aveva contestato anche la voce relativa al suddetto rimborso spese, contestazioni che la Corte territoriale ha giudicato tardive e generiche sebbene il divieto di nova in appello attenga soltanto alle eccezioni in senso stretto e non anche a quelle in senso lato o alle deduzioni volte a contestare i fatti allegati dalla controparte.
3 – I primi due motivi del ricorso principale – da esaminarsi congiuntamente perche’ connessi – sono infondati.
La gravata pronuncia ha ravvisato il danno all’immagine non gia’ quale effetto del mero licenziamento e/o della sua comunicazione alla FAO e alle autorita’ tunisine, bensi’ quale diretta conseguenza dell’invio ad essi della lettera di recesso (in cui al (OMISSIS) si addebitavano gravi comportamenti) e della sua diffusione anche attraverso il Bollettino della Cooperazione, senza che di cio’ l’amministrazione abbia dato spiegazione alcuna.
Si noti che la Corte territoriale e’ ben chiara nell’indicare che il fatto determinativo di danno risiede in tali indebite diffusioni “anche a prescindere dalla illegittimita’ del recesso” (come si legge a pag. 3 della sentenza).
E se e’ vero che pure il danno all’immagine costituisce danno conseguenza e non danno in re ipsa, nondimeno esso – come tutti gli altri danni non patrimoniali – puo’ ritenersi provato anche mediante presunzioni e/o massime di comune esperienza o fatti notori (cfr. Cass. S.U. 11.11.08 n. 26972).
E’ cio’ che ha fatto l’impugnata sentenza.
Non e’, invece, conferente la censura relativa alla mancata prova del danno per perdita della clientela, atteso che e’ la stessa sentenza impugnata a chiarire che il risarcimento, in mancanza di deduzione e prova d’un diretto pregiudizio economico in termini di perdita di clientela dello studio professionale del (OMISSIS), e’ stato accordato per il solo danno – non patrimoniale – all’immagine.
In ordine, poi, al quantum di tale risarcimento, il ricorrente principale non muove specifiche censure alla liquidazione effettuata dai giudici del gravame, eseguita in via equitativa conformemente all’articolo 1226 c.c. e a costante insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. (v., da ultimo, Cass. 18.5.12 n. 7963).
4- Anche il terzo motivo di censura fatto valere dal Ministero ricorrente e’ infondato.
La giurisprudenza invocata a pag. 11 del ricorso principale si riferisce a controversie cui e’ applicabile il rito ordinario, rispetto al quale – effettivamente – prima della novella dell’articolo 115 operata dalla Legge n. 69 del 2009, articolo 45 non era configurabile un generale principio di non contestazione.
Tale principio – invece – e’ da lungo tempo applicato nel rito di cui agli articoli 409 e ss. c.p.c., per costante insegnamento di questa S.C. (cfr., ex aliis, Cass. 13.3.12 n. 3974; Cass. 3.7.08 n. 18202; Cass. 27.2.08 n. 5191; Cass. 16.12.05 n. 27833; Cass. 19.1.05 n. 996; Cass. 6.7.04 n. 12345; Cass. 5.3.04 n. 4556; Cass. 21.10.03 n. 15746; Cass. 15.1.03 n. 535; Cass. S.U. 23.1.02 n. 761), in virtu’ dell’articolo 416 c.p.c., che impone al convenuto l’onere di prendere subito immediata e precisa posizione, a pena di decadenza, in ordine ai fatti asseriti dall’attore, con la conseguenza che la mancata contestazione dei fatti costitutivi della domanda vincola il giudice a ritenerli sussistenti, sempre che si tratti di fatti primari (cioe’ costitutivi, modificativi, impeditivi od estintivi del diritto fatto valere in giudizio dall’attore o dal convenuto che agisca in riconvenzionale, mentre i fatti secondari – vale a dire quelli dedotti in mera funzione probatoria – possono contestarsi in ogni momento).
Il principio di non contestazione, inteso nei termini anzidetti, non importa inversione dell’onere della prova, ma concorre ad una corretta delimitazione dell’area dell’attivita’ istruttoria superando la necessita’ di provare fatti che l’altra parte non contesti specificamente in primo grado.
E’ dunque tardiva – come correttamente affermato dalla sentenza impugnata – la loro contestazione solo in appello, la quale, pur non integrando eccezione in senso proprio, risulta preclusa ostandovi il divieto di nova sancito dall’articolo 437 c.p.c., che riguarda non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma anche le contestazioni nuove, ossia non esplicate in primo grado (cfr. Cass. 28.5.07 n. 12363; Cass. 16.2.2000 n. 1745) e cio’ vuoi per il combinato disposto con l’articolo 416 c.p.c. (che, infatti, parla di onere di tempestiva contestazione a pena di decadenza, decadenza che verrebbe frustrata se le contestazioni potesse svolgersi anche soltanto in appello), vuoi perche’ nuove contestazioni in secondo grado, modificando i temi di indagine, trasformerebbero il giudizio d’appello da mera revisio prioris instantiae in iudicium novum, il che e’ estraneo al vigente ordinamento processuale (sia civile che penale).
Inoltre, altererebbero la parita’ delle parti esponendo l’altra parte – a fronte della tardiva contestazione effettuata solo in appello – all’impossibilita’ di chiedere l’assunzione di quelle prove cui, in ipotesi, aveva rinunciato ormai confidando nella mancata contestazione ad opera dell’avversario.
In altre parole, e’ la logica stessa che presiede al principio di non contestazione e al giudizio d’appello ad escludere che, spirato il termine di cui all’articolo 416 c.p.c., possano introdursi nuove contestazioni in punto di fatto.
Unica deroga al principio come sopra ricordato e’ costituita dalla possibilita’ che il giudice positivamente accerti d’ufficio l’esistenza o l’inesistenza di fatti non contestati alla luce delle risultanze probatorie gia’ ritualmente e tempestivamente acquisite (cfr. Cass. 4.4.12 n. 5363; Cass. 10.7.09 n. 16201), mentre nel caso di specie i documenti forniti dal Ministero sono stati prodotti tardivamente, sicche’ correttamente i giudici di merito non ne hanno tenuto conto.
5 – Con unico motivo il ricorso incidentale prospetta violazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115, 116, 416 e 437 c.p.c. nonche’ vizio di motivazione perche’ l’impugnata sentenza, accogliendo le contestazioni formulate soltanto in appello dal Ministero, ha negato il risarcimento del danno per il mancato passaggio alla dogana tunisina degli effetti personali del (OMISSIS) nonostante l’omessa contestazione a riguardo da parte del Ministero in primo grado e, comunque, malgrado le prove documentali fornite dal (OMISSIS) medesimo e immotivatamente trascurate dalla Corte territoriale.
Il motivo va disatteso.
Mentre in ordine al rimborso di euro 517,52 per spese anticipate dal (OMISSIS) nel corso della missione e’ la stessa impugnata sentenza a dare espressamente atto della omessa tempestiva contestazione da parte del Ministero, non altrettanto si legge in essa circa la domanda risarcitoria per il mancato passaggio alla dogana tunisina degli effetti personali.
Pertanto, in tal caso era onere del ricorrente incidentale formulare il motivo di censura nel rispetto dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (vale a dire indicando specificamente gli atti e i documenti su cui si fondava la propria impugnazione) e allegare o trascrivere, almeno in parte, il tenore della memoria difensiva in primo grado del Ministero per evidenziare l’asserita omessa contestazione di tale voce di danno ed indicare specificamente i documenti che avrebbero dimostrato la responsabilita’ dell’amministrazione.
Non avendo a cio’ provveduto, il ricorso incidentale si rivela non autosufficiente.
6 – Non si ravvisa temerarieta’ del ricorso principale, considerato – altresi’ – l’esito alterno che nei gradi di merito avevano avuto le domande risarcitorie da esso investite.
7- In conclusione, entrambi i ricorsi sono da rigettarsi.
La reciproca soccombenza nel presente giudizio di legittimita’ consiglia di compensare le spese relative.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimita’.

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