SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Sentenza 24 gennaio 2013, n. 1698
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 12 aprile 1996 davanti al Pretore del Lavoro di Potenza, V.P. , operaio di IV livello, ha impugnato il licenziamento intimatogli in data 11 marzo 1996 dalla società CEIAS, appaltatrice del servizio di pulizia della sede di (…) delle Ferrovie Calabro Lucane. La società aveva contestato al lavoratore il venir meno del rapporto fiduciario in seguito all’arresto dello stesso in data 10 gennaio 1996 con l’accusa di detenzione e cessione di sostanza stupefacente a cui era seguita la sentenza di patteggiamento davanti al Gup di Potenza. Con sentenza del 16 ottobre 1998 il Pretore di Potenza ha respinto la domanda del lavoratore ritenendo sussistere la giusta causa in quanto i fatti documentavano l’esistenza di un’attività di spaccio con il coinvolgimento delle strutture aziendali nell’azione criminosa essendo stati rinvenuti in un armadietto in dotazione al V. g.7,5 di hashish, una bilancina di precisione elettronica e due coltelli.
Avverso detta sentenza il lavoratore ha presentato appello al Tribunale il quale, con sentenza del 14 marzo 2001, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento e condannato la società a riassumere il lavoratore nel termine di tre giorni o in mancanza a risarcire il danno versandogli un’indennità netta lire 8.536.000.
Il giudice d’appello ha rilevato che i fatti accertati erano nel senso di un’attività di spaccio avvenuta fuori dai locali aziendali e come tali non erano idonei a incidere sul rapporto di fiducia in ragione dei compiti svolti dal lavoratore che erano di pulizia dei vagoni ferroviari e dunque privi di connotazione di particolare attenzione o capacità intellettuale o caratterizzati dal contatto con il pubblico. Il Tribunale inoltre, ha ritenuto non sufficientemente provato il requisito dimensionale ai fini della richiesta reintegra.
Avverso detta sentenza le parti hanno presentato ricorso in Cassazione.
Quest’ultima con sentenza numero 92 99 del 2004, ha accolto il ricorso incidentale della società Ceias, e ritenuto assorbito il ricorso principale del lavoratore, ha cassato la sentenza impugnata e rimesso alla Corte d’Appello di Potenza per il riesame nel merito sul punto dell’incidenza dei fatti accertati sul vincolo fiduciario in relazione a tutte le mansioni svolte dal V. Con sentenza del 20/8/2008 la Corte d’Appello di Potenza, in sede di rinvio, ha accolto l’appello del V. ed ha dichiarato illegittimo il licenziamento con ordine di reintegra e condanna della Ceias al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate dal licenziamento fino al 31/5/98. La Corte, dopo aver ritenuto di poter esercitare poteri istruttori provvedendo all’audizione di due testi al fine di accertare le mansioni del V., ha escluso che il fatto addebitato allo stesso potesse aver avuto rilevanza nell’ambito lavorativo tale da incidere non solo sull’affidamento in un comportamento corretto quale riposto su quel lavoratore al momento dell’assunzione (ed fiducia in senso soggettivo) ma anche sull’aspettativa di una regolare futura esecuzione del rapporto di lavoro (ed fiducia in senso oggettivo, correlata non con l’intuitus personae ma con la natura continuativa della prestazione).
Circa le conseguenze derivanti dall’illegittimità del licenziamento, la Corte territoriale ha rilevato che,a fronte della chiara deduzione del lavoratore dell’esistenza del requisito dimensionale, la Ceias, sulla quale gravava l’onere probatorio, non aveva fornito alcun elemento di segno contrario ed anzi il legale rappresentante della società non era comparso per rispondere all’interrogatorio formale, né era stato depositato il libro matricola. La Corte ha quindi concluso riconoscendo al lavoratore il diritto alla reintegra.
Circa la misura del risarcimento, valutato il comportamento del V.,che non aveva usato la dovuta diligenza nella ricerca della nuova occupazione, nonché gli altri elementi emersi nel corso del giudizio ha limitato il risarcimento alle retribuzioni dal licenziamento all’1/6/98, data di definitiva radiazione del lavoratore dalle liste di collocamento.
Avverso detta sentenza propone ricorso la Ceias formulando 12 motivi di impugnazione. Si costituisce il V. con controricorso contenente ricorso incidentale con due motivi di impugnazione. La Ceias ha depositato memoria ex art. 378 cpc con data 26/4/2010 ed altra memoria con data 18/10/2012. Con quest’ultima ha depositato la sentenza di intervenuto fallimento della Ceias con richiesta di interruzione del giudizio.
Motivi della decisione
Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
Deve, poi, essere respinta l’eccezione sollevata dalla Ceias di decadenza del V. dalla possibilità di proporre il ricorso incidentale essendo trascorsi oltre 60 giorni dalla notifica della sentenza della Corte d’Appello oggetto del presente giudizio. Ai sensi dell’art. 334 cpc, infatti, la parte nei cui confronti è proposta impugnazione può a sua volta proporre impugnazione incidentale tardiva anche quando per essa è decorso il termine.
Risulta, altresì, infondata l’eccezione di irregolarità del controricorso che secondo la ricorrente sarebbe stato notificato alla parte e non al sua procuratore. La semplice lettura della notifica esclude la fondatezza di quanto sopra atteso che la notifica è stata eseguita alla “Ceias in persona del legale rappresentante p.t., presso e per esso al suo procuratore costituito….”.
Deve, altresì, essere respinta la richiesta di interruzione del giudizio proposta dalla Ceias a seguito del Fallimento della società dichiarato dal Tribunale di Bari con decreto del 8/11/2010.
Costituisce principio consolidato in giurisprudenza (cfr Cass. n. 21153/2010, n. 8685/2012) che “in tema di giudizio di cassazione, l’intervenuta modifica dell’art. 43 legge fall., per effetto dell’art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge”.
Ciò premesso deve essere esaminato il ricorso principale.
Con il primo motivo la Ceias denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 394, 384, e 116 cpc, art. 2119 e 2909 cc. La Corte d’Appello, secondo il ricorrente, ha violato il principio di diritto enunciato dalla Cassazione ed ha proceduto ad un nuovo accertamento dei fatti. Ha disposto l’escussione dei testi ed esercitato poteri preclusi al giudice di rinvio provvedendo ad un nuovo accertamento dei fatti già accertati dal Pretore del lavoro e dal giudice penale disattendendo la decisione della Cassazione che aveva disposto che i fatti accertati fossero tutti rivalutati ai fini della loro incidenza sul vincolo fiduciario.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto enunciato dalla Cassazione effettuando l’accertamento da quest’ultima richiesto. La Corte ha, infatti, correttamente rilevato che non avrebbe potuto essere operata una ricostruzione del fatto addebitato al V. diversa rispetto a quella ritenuta dal Tribunale nella sentenza cassata e che cioè ” nel verbale della squadra mobile di Potenza in data 10/1/96…si evince che la cessione di hashish che determinò l’arresto del V. non avvenne nel luogo di lavoro..bensì in una via del centro urbano di (…) dal verbale di sequestro…si apprende che subito dopo tale episodio venne effettuata una perquisizione nel container in uso al V. presso il deposito.. in un armadietto in uso al predetto vennero rinvenuti 7,5 grammi di hashish, due coltelli, una bilancia di precisione elettronica…”. La Corte territoriale ha sottolineato, infatti, che il vizio di motivazione non era stato rilevato con riferimento alla ricostruzione del fatto ma sul punto dell’incidenza dei fatti accertati sul vincolo fiduciario in relazione a tutte le mansioni svolte dal V. .
Con l’espletamento della prova sulle concrete mansioni svolte del lavoratore la Corte d’Appello ha legittimamente esercitato ex art. 437 cod. proc. civ., i poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello non sussistendo, tra l’altro, alcuna colpevole inerzia della parte interessata cui il giudice abbia inteso sopperire, ma l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti colmando le lacune delle risultanze di causa (cfr Cass. n 5878/2011, 17572/2004) ed evidenziate dalla Corte di Cassazione nella sentenza cassata. Quest’ultima ha, infatti, rilevato che “Nella specie, la valutazione compiuta dal giudice circa la incidenza dell’episodio in esame sul vincolo fiduciario appare piuttosto approssimativa con riferimento alle mansioni considerate ed inerenti alla posizione lavorativa di un caposquadra di lavoratori addetti alla pulizia di vagoni ferroviaria non essendo sufficiente ad escludere la lesione del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore la deduzione che le mansioni svolte da quest’ultimo non siano caratterizzate da un elevato grado di fiducia, ed è altresì lacunosa con riferimento ai compiti pure attribuiti al V. di responsabile del cantiere di Potenza, che, sebbene rilevati dalla stessa sentenza, non sono stati però considerati ai fini del giudizio sulla entità del grado di fiducia riposto sul lavoratore e della sua compromissione”.
La Corte territoriale, pertanto, si è limitata a colmare l’approssimazione della sentenza cassata denunciata dalla Corte di Cassazione.
Il secondo, il terzo, il sesto, il nono e l’undicesimo motivo vanno esaminati congiuntamente in quanto relativi alla valutazione della sussistenza della giusta causa di licenziamento e della proporzionalità del licenziamento rispetto al fatto denunciato. In particolare con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2104, 2105,2106, 1375, 1455 cc in combinato disposto degli artt. 394 e 116 cpc con omessa valutazione complessiva degli elementi probatori acquisiti al giudizio e definitivamente accertati, nonché insufficiente motivazione in ordine alla valutazione dell’incidenza dell’episodio sul vincolo fiduciario. Rileva che la Corte d’Appello aveva commesso i medesimi errori già commessi dal Tribunale disattendendo le direttive della Cassazione che aveva già positivamente ribadito la rilevanza dei fatti sulla compromissione dell’elemento fiduciario.
Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 6 e 40 del C.C.N.L. per gli addetti ai servizi di appalto delle ferrovie dello Stato.
Lamenta che erroneamente la Corte d’Appello di Potenza ha fatto riferimento ai fini della individuazione delle mansioni svolte dal lavoratore al contratto collettivo delle imprese di pulizia e servizi integrati sebbene il contratto depositato dalla società ed effettivamente applicato fosse quello per gli addetti ai servizi in appalto delle ferrovie dello Stato.
Con il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2106 c.c. in relazione all’articolo 2119 CC, illogicità insufficienza o contraddittorietà della motivazione in ordine un fatto ritenuto dalla Corte d’Appello decisivo per il giudizio e cioè nella parte in cui la Corte ha affermato che il lavoratore per oltre cinque anni non era incorso in alcuna violazione disciplinare. Rileva che il licenziamento doveva ritenersi più che proporzionato poiché i fatti addebitati integravano in relazione alle circostanze nelle quali erano stati commessi e all’intensità dell’elemento intenzionale un’indubbia gravità soggettiva e oggettiva.
Con il nono motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. in relazione all’articolo 2119 c.c. contraddittoria ed insufficiente motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui afferma che era indubbio che si discutesse di un fatto estraneo all’esecuzione della prestazione lavorativa e che il rinvenimento dell’armadietto della bilancia, della sostanza stupefacente e dei coltelli non era elemento sufficiente a far ritenere che il lavoratore durante l’orario di lavoro o comunque in concomitanza con la prestazione lavorativa utilizzasse i locali aziendali quale base operativa per l’attività di consumo o di cessione.
Con l’undicesimo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 codice civile in relazione agli articoli 1455 e 2106 c.c. per aver il giudice di rinvio affermato a pagina 20/21 della sentenza che il Gip di Potenza a distanza di pochi giorni dall’arresto aveva ritenuto sufficiente a garantire le esigenze cautelari gli arresti domiciliari con ciò implicitamente escludendo non solo una gravità del fatto tale da imporre l’arresto, ma riconoscendo la possibilità di una proficua revisione critica dell’accaduto ai fini del recupero del lavoratore….; che la richiesta del V. di applicazione di pena patteggiata manifestava l’intento del lavoratore di chiudere il proprio conto con la giustizia; che tutti tali elementi, unitamente al riconoscimento da parte del giudice delle attenuanti generiche, consentivano di escludere un giudizio prognostico negativo sotto il profilo della compromissione dell’affidamento sulla lealtà del lavoratore il quale per oltre cinque anni non era incorso in alcuna violazione disciplinare. Le censure sono infondate.
La Corte territoriale, dato atto che la Cassazione ha affermato che “non era sufficiente ad escludere la lesione del rapporto fiduciario…la deduzione che le mansioni svolte da quest’ultimo non siano caratterizzate da un elevato grado di fiducia e che nello specifico, ai fini del giudizio sulla entità del grado di fiducia riposto sul lavoratore e della sua compromissione, vanno specificamente considerati i compiti pure attribuiti al V. di responsabile del cantiere di (…)”, ha ricostruito le mansioni svolte dal V. al fine di valutare “se i fatti addebitati rivestano il carattere di grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro ed in particolare dell’elemento della fiducia… la valutazione relativa alla sussistenza del conseguente impedimento della prosecuzione del rapporto andrà operata con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del rapporto di lavoro, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché (nei termini della ricostruzione offerta dal Tribunale nella sentenza cassata) alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed all’intensità dell’elemento intenzionale ed ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto che su di esso possa incidere negativamente”. Tenuto conto delle dichiarazioni dei testi la Corte territoriale ha concluso, con motivazione in fatto non censurabile in Cassazione in quanto esauriente, priva di contraddizioni oltre che di errori di diritto, che “era estraneo ai compiti del V. non solo ogni rapporto diretto con l’utenza ma anche ogni responsabilità di organizzazione e gestione di attività specifiche”; che nella specie “il rapporto di fiducia va rapportato ad un’attività caratterizzata da un grado di autonomia riferito a compiti meramente esecutivi attuati anche,mediante il coordinamento di altri operai e dunque priva di connotazioni di responsabilità”; che “l’attività svolta dal V. è risultata espletata su autobus o vagoni fermi presso il deposito di proprietà della FAL… ciò rende del tutto impropria l’attribuzione allo stesso della qualità di responsabile di cantiere mancando elementi per configurare l’idoneità di tale deposito,…ad esplicare in tutto o in parte l’attività di produzione di beni dell’impresa concessionaria del servizio di pulizia ovvero a rappresentare una articolazione della più ampia organizzazione imprenditoriale caratterizzata dal fatto di realizzare un risultato o una finalità autonomi”; che “non è emerso in sostanza che si sia trattato di mansioni caratterizzate da particolare delicatezza delle funzioni ovvero dall’esigenza di una continua attenzione e dunque deve escludersi che le stesse siano state connotate da un elevato grado di fiducia”. Infine, devono richiamarsi gli ulteriori elementi valutati dalla Corte territoriale e che cioè trattasi di fatto estraneo all’esecuzione della prestazione,che la rapida concessione degli arresti domiciliari e la richiesta di patteggiamento, l’assenza di precedenti disciplinari costituivano circostanze di fatto come ricostruite dal Tribunale che non potevano fondare un giudizio prognostico negativo sulla regolare futura esecuzione del rapporto di lavoro. Tutti tali elementi sono stati valutati complessivamente dalla Corte, apparendo pertanto prive di rilievo le censure della ricorrente secondo cui la Corte territoriale avrebbe dato valore decisivo ad elementi secondari pervenendo ad escludere, sulla sola base di essi,l’incidenza oggettiva sul rapporto di fiducia che deve sussistere tra le parti.
La Ceias lamenta, altresì, che la Corte d’Appello aveva contravvenuto il dictum della Cassazione che aveva già valutato positivamente l’incidenza del fatto sul vincolo fiduciario. La censura è palesemente infondata in quanto nessun giudicato può ritenersi formato circa l’incidenza dei fatti addebitati sul rapporto fiduciario essendo questo proprio l’accertamento demandato dalla Cassazione al giudice di rinvio.
Quanto all’erronea individuazione del CCNL applicabile (quello degli addetti ai servizi in appalto delle Ferrovie dello Stato e non quello imprese di pulizia e servizi integrati), pur dovendosi dare atto della fondatezza dell’osservazione, la circostanza non è in alcun modo decisiva sia in quanto la Corte ha valutato le mansioni in concreto svolte dal V., sia in quanto la stessa ricorrente non ha individuato significative differenze tra le definizioni dei due contratti idonee a pervenire a conclusioni difformi da quelle accolte dalla Corte d’Appello.
Non appare, altresì, in alcun modo censurabile, neppure sotto il profilo dell’erroneo ricorso alle presunzioni, l’affermazione della Corte d’Appello nella parte in cui ha escluso la sussistenza di sufficienti elementi idonei a far ritenere che il V., durante l’orario di lavoro utilizzasse i locali aziendali quale “base operativa per l’attività di consumo personale ovvero di cessione della sostanza stupefacente. Trattasi di decisione in fatto, incensurabile in Cassazione, non contraddittoria tenuto conto delle modalità del fatto addebitato al lavoratore accertato in luogo diverso dal posto di lavoro.
Quanto, infine, agli elementi desunti dalla Corte d’Appello dalla rapida scarcerazione del lavoratore o dalla scelta di richiedere il patteggiamento, trattasi di elementi di valutazione in fatto non decisivi in ordine ai quali la ricorrente ha denunciato la violazione di legge senza indicare sotto quale profilo è integrato tale vizio.
Deve, infine, osservarsi che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione”. (Cass. n. 2357 del 07/02/2004; n. 7846 del 4/4/2006; n. 20455 del 21/9/2006; n. 27197 del 16/12/2011).
Le contestazioni della ricorrente, si limitano, a ben vedere, ad una censura generica e meramente contrappositiva, in assenza di specifiche denuncie di incoerenza, contraddittorietà o insufficienza della sentenza impugnata.
Il quarto, il quinto,il settimo e l’ottavo motivo devono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti al requisito dimensionale dell’azienda e all’accertamento del diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro.
In particolare con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 394 c.p.c. in combinato disposto con l’articolo 384 c.p.c. nonché dell’articolo 2909 CC per avere il giudice di rinvio,pur essendosi formato il giudicato interno, ritenuto che incombesse sulla società l’onere probatorio in ordine ai presupposti per l’applicazione della tutela reale. Osserva che il lavoratore non aveva impugnato con il ricorso in cassazione la sentenza del Tribunale di Potenza che lo aveva ritenuto onerato di tale prova con conseguente formazione del giudicato interno e preclusione al giudice di rinvio di riesaminare tale punto. Con il quinto motivo denuncia violazione falsa applicazione dell’articolo 394 c.p.c. in relazione all’articolo 2909 CC, 1362 e seguenti CC nell’interpretazione della sentenza della Cassazione per avere il giudice di rinvio esaminato l’unico motivo del ricorso per cassazione proposto dal lavoratore il cui esame era precluso in quanto dichiarato assorbito dalla Corte di Cassazione. Con il settimo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli articoli 210 e 232 c.p.c., insufficiente e contraddittoria ed erronea motivazione in relazione all’articolo 360 n 5 c.p.c.. Il Tribunale di Potenza aveva affermato,con decisione ineccepibile, che dalla mancata risposta all’interrogatorio formale e dall’inottemperanza alla produzione del libro matricola non poteva essere desunta la sussistenza del requisito dimensionale..La Corte d’Appello di Potenza in violazione delle norme citate e di principi espressi sul tema dalla Suprema Corte ha riconosciuto valore probatorio pieno alla mancata risposta all’interrogatorio formale e all’inottemperanza all’ordine di esibizione in assenza di altri elementi concorrenti probatori. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 394 in relazione all’articolo 437 e 384 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 e 2697 CC per avere il giudice di rinvio affermato infondatamente che la società a fronte di un ‘espressa e chiara deduzione nel ricorso introduttivo del lavoratore dell’esistenza del requisito dimensionale non aveva fornito alcun elemento di segno contrario. Rileva che era consolidato il principio giurisprudenziale secondo cui la mancata contestazione in quanto tale non può avere automaticamente l’effetto di prova. In ogni caso rileva che la società nel costituirsi aveva contestato integralmente il ricorso avversario ivi comprese le questioni relative alla dimensione dell’azienda. Le censure sono infondate.
La Corte d’Appello ha affermato, uniformandosi al principio espresso più volte da questa Corte, che l’onere probatorio del requisito dimensionale grava in capo al datore di lavoro (cfr Cass, sezioni unite, n. 6344/2009) e che nella specie tale prova non era stata fornita dalla Ceias. Quest’ultima, anzi, a fronte dell’affermazione del V. nel ricorso davanti al Pretore della sussistenza della tutela reale, non aveva opposto elementi in contrario e il legale rappresentante della Ceias non era comparso a rendere l’interrogatorio formale ammesso dal Tribunale, né aveva depositato il libro matricola ottemperando all’ordine di esibizione.
La ricorrente ha censurato la decisione poiché: a) si sarebbe formato il giudicato sull’onere probatorio in capo al lavoratore non essendo stata impugnata in Cassazione l’affermazione del Tribunale circa l’onere in capo al V.; b) il requisito dimensionale era oggetto del ricorso principale del lavoratore, ritenuto assorbito dalla Cassazione e, pertanto, non oggetto del giudizio di rinvio; c) la Corte d’Appello ha dato valore probatorio esclusivo alla mancata risposta all’interrogatorio formale ed al mancato deposito del libro matricola; d) nel motivo n. 8 la ricorrente rileva che il requisito dimensionale era stato accertato fin dal giudizio davanti al Pretore in quanto il V. aveva dichiarato che la squadra non superava 15 dipendenti né i 60 dipendenti in Italia, infatti il Pretore non aveva ammesso la prova richiesta ed il V. non aveva più reiterato la richiesta di prova.
Con riferimento all’eccezione di giudicato va rilevato che l’affermazione contenuta nella sentenza del Tribunale relativa all’onere probatorio non è suscettibile di passare in giudicato in quanto trattasi,non già di un capo della domanda formulata dal ricorrente sul quale il giudice ha emesso una decisione, ma soltanto di un’affermazione relativa ad una questione interpretativa o premessa logica della decisione del giudice.
Con riferimento al punto b) di cui sopra la dichiarazione di assorbimento pronunciata dalla Corte in ordine al ricorso del lavoratore avente ad oggetto la domanda di reintegra respinta dalla sentenza cassata, non preclude l’esame di detta questione nel giudizio di rinvio. Nella sentenza della Cassazione si legge infatti che era “logicamente prioritario l’esame del ricorso incidentale della società rispetto all’esame dell’impugnazione principale del lavoratore, infatti, l’eventuale legittimità del licenziamento dedotta dall’azienda per la sussistenza di una giusta causa di recesso comporterebbe l’inutilità dell’accertamento del requisito dimensionale della cui omissione si duole il lavoratore”.
Circa la censura di cui al punto c) la Corte d’Appello non ha affatto fondato la sua decisione sulla mancata risposta all’interrogatorio formale o alla mancata produzione del libro matricola, ma ha, tenuto conto che l’onere probatorio era gravante in capo alla società; che questa aveva formulato una specifica contestazione in ordine al requisito dimensionale solo in sede di appello e che dall’interrogatorio del V. non emergevano circostanze univoche circa la presenza di altri lavoratori anche in Italia o nel comune.
Le censure mosse dalla soc Ceias non sono idonee, pertanto, ad invalidare la decisione impugnata con conseguente rigetto dei vizi denunciati.
Il decimo ed il dodicesimo motivo vanno esaminati congiuntamente in quanto attinenti alla misura del risarcimento del danno.
Con il 10 motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 stat. Lav,. come modificato dall’art. 1 della legge n. 108 del 1990, in relazione all’articolo 1227 c.c., nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 433, 434, 436 e 437 c.p.c. per aver il giudice di rinvio liquidato in favore del lavoratore a titolo di risarcimento del danno un’indennità di 27 mensilità invece che l’importo di cinque mensilità pur essendo incontroversa la negligenza, inerzia e colpa grave del lavoratore nel non aver ricercato con l’ordinaria diligenza altra occupazione nell’arco di ben 12 anni con colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno. Con il dodicesimo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli articoli 394, 437, 213 e 177 c.p.c. nonché del principio di imparzialità del giudice in relazione all’ordinanza della Corte d’Appello con la quale il giudice ha ritenuto la necessità di interrogare liberamente le parti, di acquisire informative presso il centro provinciale dell’impiego di Potenza in ordine all’iscrizione del lavoratore nelle liste di collocamento e presso l’agenzia regionale delle entrate in ordine ad eventuali dichiarazioni dei redditi.
Rileva che la corte aveva esercitato poteri preclusi al giudice di rinvio.
Le censure sono infondate.
La Corte d’Appello ha affermato che la Ceias nella comparsa di costituzione nel giudizio di rinvio aveva dedotto il ragionevole convincimento, desumibile dal decorso del notevole lasso di tempo dal licenziamento alla richiesta di reintegra, dell’esistenza di una fonte di guadagno alternativa ovvero di un comportamento colposo del lavoratore, tenuto conto delle notevoli possibilità di lavoro in (OMISSIS) derivanti dall’insediamento della Fiat SATA di (…) e di moltissime altre aziende del settore industriale del salotto (gruppo Natuzzi, Gruppo Nicoletti). La Corte ha, poi, precisato che le eccezioni di aliunde perceptum o percipiendum non erano, tuttavia, eccezioni in senso stretto e, pertanto, se vi era stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi potessero ritenersi incontroversi e dimostrati, il giudice d’ufficio avrebbe potuto trame tutte le conseguenze cui siano idonei.
Ha pertanto rilevato che risultava già acquisita la dichiarazione del lavoratore di collaborare con il padre nel negozio di fiori. La Corte d’Appello, avvalendosi dei poteri istruttori ex art. 437 cpc, limitatamente ai fatti già allegati dalle parti o comunque acquisiti al giudizio, ha disposto l’interrogatorio libero del V., l’acquisizione di informazioni circa l’iscrizione del V. alle liste di collocamento e presso l’Agenzia delle Entrate.
Sulla base degli elementi acquisiti la Corte d’Appello ha concluso che l’intervenuta radiazione dalle liste di collocamento contravveniva al minimo di diligenza richiesto al lavoratore anche valutate le possibilità occupazionali in (OMISSIS) . La Corte d’Appello ha, quindi limitato il risarcimento fino all’1/6/98, data di intervenuta radiazione dall’albo.
Le argomentazioni della Corte d’Appello non meritano le censure sollevate dalla ricorrente. La Corte territoriale si è uniformata all’indirizzo largamente prevalente di questa Corte (cfr Cass. 5676/2012, n. 6529/2011, n 2139/2011, n. 23734/2009) circa la natura dell’eccezione dell’aliunde perceptum e percipiendum. L’esercizio dei poteri ufficiosi della Corte territoriale è avvenuto, inoltre, su circostanze allegate dalla parte che il giudice anche d’ufficio può accertare attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d’appello può valutare d’ufficio tale concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare “in toto” la propria responsabilità.
La conclusione cui è, poi, pervenuta la Corte territoriale sulla base degli elementi probatori acquisiti nel giudizio è adeguatamente motivata, priva di contraddizioni e frutto di un’attenta e ponderata valutazione di tutti gli elementi desumibili dagli atti di parte, dalle dichiarazioni delle stesse e dall’istruttoria svolta.
Con il ricorso incidentale il V. ripropone la questione della violazione dell’art. 7 stat. Lav. per mancata preventiva contestazione degli addebiti (violazione e falsa applicazione degli art. 360, 383, 394 e 112 cpc in relazione all’art. 7 Stat. Lav., nonché omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo) e contesta la misura del risarcimento (violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc, art. 18 Stat. Lav., art. 213, 416, 420 e 437 cpc nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo).
Circa tale secondo motivo appare sufficiente richiamare quanto già affermato con riferimento ai motivi 10 e 12 del ricorso principale non avendo il controricorrente portato argomentazioni che inducano ad accogliere la domanda di liquidazione di un risarcimento superiore a quello riconosciuto dalla Corte d’Appello.
Il primo motivo di impugnazione formulato dal V. con il ricorso incidentale è inammissibile in quanto non validamente riproposto in Cassazione nel giudizio rescindente.
Deve rilevarsi, infatti, che con la sentenza rescindente la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del V. condizionato all’accoglimento del ricorso incidentale della Ceias. Il V., infatti, ricorrente principale, dopo la proposizione del controricorso della Ceias contenente il ricorso incidentale, ha depositato un controricorso con ricorso incidentale con il quale lamentava la violazione dell’art. 7 Stat. Lav. Quest’ultimo ricorso incidentale è stato dichiarato inammissibile dalla Corte la quale ha osservato che “avverso il ricorso incidentale della Ceias sarebbe stato possibile proporre da parte del ricorrente principale soltanto un controricorso; la consumazione del diritto di impugnazione conseguente alla proposizione del ricorso principale per cassazione escludeva la possibilità di introdurre nuovi e diversi motivi di censura o anche ripetere le stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso con un successivo ricorso incidentale”.
Per le considerazioni che precedono il ricorso principale e quello incidentale vanno respinti.
Le spese processuali sono poste a carico della soc Ceias solo per 2/3 tenuto conto anche del rigetto del ricorso incidentale.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Compensa per 1/3 le spese del presente giudizio che liquida per l’intero in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, ponendo a carico del ricorrente principale i restanti 2/3.
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