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Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

Sentenza 20 settembre 2013, n. 21627



IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7257/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2650/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/04/2010 R.G.N. 7/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18/3 – 28/4/2010 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da (OMISSIS) avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale capitolino che gli aveva respinto la domanda di annullamento del licenziamento intimatogli dalla societa’ (OMISSIS) S.p.A. il 28/3/2002 per l’alterazione del certificato medico del 21/6/2001 presentato per la giustificazione della sua assenza dall’abitazione nel periodo di malattia.

Nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha spiegato che attraverso la sentenza penale passata in giudicato era stata accertata la falsita’ del documento del quale il (OMISSIS) si era avvalso nell’intento di giustificare la sua assenza dalla propria abitazione in occasione della visita medica di controllo domiciliare disposta in concomitanza del periodo di sospensione della sua prestazione lavorativa per malattia; inoltre, la norma di cui all’articolo 51, n. 4, lettera l), del ccnl 20/2/1996 per i dipendenti delle imprese esercenti servizio di recapito contemplava tra le ipotesi di licenziamento per giusta causa quella dell’alterazione o falsificazione di documenti amministrativi. La Corte ha, altresi’, rilevato che la gravita’ del fatto oggetto di addebito minava, in ogni caso, il vincolo fiduciario e che la contestazione non poteva essere considerata tardiva, atteso che il tempo di poco piu’ di un mese trascorso tra la conoscenza del procedimento penale e la contestazione disciplinare si era reso necessario alla datrice di lavoro per l’esatta valutazione e ponderazione delle notizie in suo possesso.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il lavoratore il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Rimane solo intimata la societa’ (OMISSIS) S.p.A..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 1, degli articoli 2119 e 2697 c.c., e dell’articolo 51 del c.c.n.l. per i dipendenti da imprese esercenti servizi di recapito telegrammi, espressi, dispacci in genere, recapito in loco, nonche’ per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, adducendo che la fattispecie contestatagli non si era verificata in quanto la norma collettiva richiamata per il licenziamento prevedeva l’ipotesi della falsificazione o alterazione del documento, mentre nella sede del giudizio penale si era appurato che egli non era stato l’autore materiale del falso. Pertanto, il ricorrente, nel censurare l’affermazione della Corte di merito circa il fatto che il beneficiario degli effetti dell’atto falsificato non poteva che essere il medesimo lavoratore che ne aveva fatto uso, si duole dell’interpretazione estensiva della norma collettiva sul licenziamento operata dai giudici d’appello, contestando che questa potesse ricomprendere anche la figura dell’autore morale del falso ed obiettando che una tale ipotesi non era concretamente ravvisabile nella fattispecie, mancando al riguardo una logica motivazione.

2. Col secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, della Legge n. 604 del 1966, articolo 1, degli articoli 2106, 2119 e 2697 c.c., e dell’articolo 51 del c.c.n.l. per i dipendenti da imprese esercenti servizi di recapito telegrammi, espressi, dispacci in genere, recapito in loco, nonche’ per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, adducendo che il motivo del licenziamento era costituito esclusivamente dall’alterazione del documento ad opera del lavoratore, mentre l’utilizzazione del documento falso non era stata posta a base del recesso. In ogni caso, anche a voler considerare autonomamente l’ipotesi dell’uso dell’atto falso, la sanzione del licenziamento appariva secondo il lavoratore sproporzionata. Infine, il ricorrente evidenzia che il lasso temporale trascorso tra la data del 7/2/2002, in cui gli veniva comunicata da parte della ASL l’invio di un esposto alla Procura della Repubblica, e quella del 20/3/2002, in cui gli veniva contestato l’accertamento della falsita’ del documento, non appariva giustificato da alcuna ragione.

Osserva la Corte che i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione.

Orbene, entrambi i motivi sono infondati.

Anzitutto, occorre precisare che la contestazione disciplinare, cosi’ come riportata anche dal ricorrente a pagina 8 del presente ricorso, conteneva la previsione dell’utilizzazione dell’atto falso, per cui non e’ vero che il licenziamento fu intimato solo per l’alterazione del certificato medico.

In effetti, la “ratio decidendi” della sentenza impugnata e’ duplice in quanto finisce per giustificare il licenziamento anche sulla base della gravita’ del fatto addebitato, a prescindere dalla previsione collettiva delle varie ipotesi di risoluzione.

Tale decisione e’ sufficiente da sola a reggere la sentenza che si basaci riguardo, sul giudicato formatosi in sede penale in ordine all’accertamento della falsita’ del documento utilizzato dal (OMISSIS) e sul dato pacifico che egli ne fece uso per giustificare l’assenza dall’abitazione in occasione del controllo medico domiciliare durante il periodo di malattia. A tal proposito i giudici d’appello, dopo aver spiegato che la riconducibilita’ del caso in esame alla previsione collettiva di recesso dipendeva dal fatto che il lavoratore non poteva non essere stato l’ispiratore di un documento attestante falsamente una circostanza riguardante la sua persona e da lui utilizzato nell’intento di coprire una sua assenza ingiustificata, hanno aggiunto che la giusta causa del licenziamento discendeva anche dalla gravita’ di tale comportamento, in quanto atto a scuotere la fiducia del datore di lavoro e a far ritenere che la continuazione del rapporto si risolveva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, oltre che a denotare una scarsa inclinazione alla diligente attuazione degli obblighi assunti.

Infatti, i medesimi giudici hanno chiarito che il (OMISSIS), assente dal servizio per malattia, si allontano’ ingiustificatamente il 21/6/2001 in orario in cui avrebbe dovuto rimanere in attesa della visita medica fiscale e nell’intento di giustificarsi produsse un certificato falso attestante la sua presenza in quell’orario in una struttura ospedaliera, evidenziando, in tal modo, un’accentuata inaffidabilita’, tanto piu’ rilevante in quanto ascrivibile ad un dipendente addetto, quale il ricorrente, al maneggio di atti, oltre che una propensione a commettere illeciti comprovanti un pregiudizio per il futuro corretto adempimento degli obblighi contrattuali. Tali valutazioni di merito della Corte territoriale sulla gravita’ della condotta posta in essere dal (OMISSIS) ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa del licenziamento appaiono sorrette da logica ed adeguata motivazione per cui sfuggono ai rilievi di legittimita’.

Analogamente puo’ dirsi per la ravvisata insussistenza dell’eccepita intempestivita’ della contestazione, avendo il collegio giudicante adeguatamente valutato la fattispecie alla luce del principio di relativita’ del concetto della tempestivita’ degli addebiti disciplinari.

Al riguardo si e’ statuito (Cass. Sez. lav. n. 15649 del 1 luglio 2010) che “in tema di licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore; peraltro, il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, piu’ o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustifichi o meno il ritardo“. (in senso conforme Cass. Sez. Lav. n. 3532 del 13/2/2013).

Nella fattispecie la Corte d’appello ha correttamente osservato che il tempo di poco superiore al mese decorso dalla conoscenza del procedimento penale a quello della contestazione disciplinare era stato necessario alla valutazione e ponderazione delle notizie in possesso dell’azienda.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione sulle spese del presente giudizio in considerazione del fatto che la societa’ (OMISSIS) S.p.A. e’ rimasta solo intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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