cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 2 ottobre 2014, n. 20822

Ritenuti in fatto e diritto

1. Con ricorso, depositato il 12.07.2006, S.A.T.E., SOCIETA’ ANONIMA TIPOGRAFICA EDITORIALE S.r.l conveniva in giudizio (‘INPS per sentirlo condannare alla restituzione della somma di € 28.533,21, pagata come sanzione una tantum in relazione alla ritardata presentazione del modello DM10 relativo al mese di novembre 1998.
La ricorrente deduceva l’illegittima applicazione della sanzione, configurandosi nella fattispecie tutt’al più l’ipotesi dell’omissione contributiva e non quella dell’evasione, essendo stato presentato il mod. DM10 con un solo giorno di ritardo.
2. II Tribunale di Bergamo con sentenza n. 616 del 20 rigettava il ricorso anche con riguardo al profilo del conguaglio di quanto versato a titolo di sanzione una tantum ex art. 1, comma 217, legge n. 662 del 1996 con quello dovuto ex art. 116, comma 18, della legge n. 388 del 2000. 3. Tale decisione, impugnata dalla SATE è stata confermata dalla Corte di Appello di Brescia n. 199 del 2008, la quale ha ritenuto sussistenti nella fattispecie, in conformità a quanto sostenuto dal primo giudice, i presupposti della “evasione”di cui all’art.1, comma 217, della legge 217 (lett. b) e non della “omissione” contributiva (lett. a), aggiungendo che con la legge n. 388 del 2000 all’art. 116, comma 8, era stato confermata la distinzione tra le due ipotesi.
La Corte ha osservato che, pur avendo la società diritto- in conformità ad un indirizzo giurisprudenziale- a rientrare nell’ipotesi sub b) in relazione alla presentazione della denuncia con un solo giorno di riardo qualificabile come “ravvedimento operoso”, non aveva effettuato il pagamento di quanto dovuto entro trenta giorni dalla denuncia, elemento quest’ultimo indispensabile ai fini del perfezionamento della stessa ipotesi.
La Corte ha ritenuto poi non applicabile al caso di specie l’invocato art. 116, comma 12, della legge n. 388 del 2000 riguardante l’abrogazione delle sanzioni amministrative, atteso che per consolidato orientamento giurisprudenziale l’abrogazione non riguarda gli inadempimenti pregressi, stante la non retroattività della citata disposizione normativa, come fatto palese tra l’altro dall’art. 116 anzidetto, comma 18, il quale non esime dall’applicazione delle sanzioni previcï’.enti per i crediti dell’INPS in essere ed accertati al 30 settembre 2000. E nel caso di specie, conclude il giudice di appello, i crediti risultavano accertati a tale data.
4. La SATE ricorre per cassazione affidandosi a due motivi. L’INPS resiste con controricorso.
5. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 217, lett. a) e lett. b) della legge 662 del 1996 in relazione alle nozioni di omissione ed evasione contributiva, nonché dell’art. 12 disp. prel. al Codice Civile e dell’art. 3 della Costituzione.
Sostiene al riguardo che la tardiva presentazione del modello DM/10 non configura una ipotesi di “evasione” contributiva, per la quale si richiede non la mera inosservanza delle modalità e dei termini di adempimento delle dichiarazioni e comunicazioni imposti ai datori di lavoro, ma un quid pluris, ossia l’omessa e/o la difformità di tali dichiarazioni alla realtà delle cose; il che non si riscontrava nel caso di specie
Il motivo è infondato.
Questa Corte (cfr Cass. n. 7991 del 2013; Cass. n. 24284 del 2008; Cass. SU 4808 del 2005; Cass. n. 5836 del 2003) ha precisato che la mancata presentazione del modello DM/10 (recante la dettagliata indicazione dei contributi previdenziali da versare) configura la fattispecie della “evasione” e non già della semplice “omissione” contributiva ricadente nella previsione della legge n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, Jett. B), che commina una sanzione una tantum, il cui pagamento (alla stregua della modifica apportata al richiamato comma 217, dall’art. 59, comma 22, della legge n. 449 del 1997) può essere evitato effettuando la denuncia della situazione debitoria spontaneamente (ossia prima di contestazioni o richiese dell’ente previdenziale) e comunque entro sei mesi dal temine stabilito per il pagamento dei contributi, purché il versamento degli stessi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia (c.d. ravvedimento operoso).
Orbene la Corte territoriale ha fatto buongoverno di tali principi osservando con valutazione in fatto, adeguatamente e coerentemente motivata, che nel caso di specie non si ravvisava l’ipotesi del ravvedimento operoso e quindi non sussisteva la possibilità per la società di fruire dei benefici ad esso connessi, non essendo intervenuto il pagamento di quanto dovuto entro 30 giorni della denuncia.
Nella situazione così delineata non coglie nel segno il rilievo della ricorrente con riferimento alla violazione dei criteri di interpretazione della normativa in esame con riferimento all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, avendo il giudice di appello interpretato la normativa in questione alla luce anche dei citati arresti giurisprudenziali.
Né poi sono fondati i rilievi di carattere costituzionale, con riguardo all’asserita violazione del principio di uguaglianza, in quanto la fattispecie in esame ha una sua precisa caratterizzazione e si distingue da quella di chi nulla paga, autonomamente disciplinata.
6. Con il secondo del ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 116, comma 18, della legge n. 388 del 2000 sul mancato riconoscimento del meccanismo di conguaglio a favore del datore di lavoro che abbia pagato le sanzioni civili prima del 30 settembre 2000. II motivo è infondato.
Invero l’invocata norma avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie, se la società avesse dimostrato l’avvenuto adempimento delle obbligazioni contributive e delle sanzioni con riferimento ai casi pregressi accertati al 30 settembre 2000 e non ancora esauriti (cfr Cass. n. 17099 del 2010; Cass. n. 22414 del 2009; Cass. n. 13794 del 2007; Cass. n. 23615 del 2004 ), ma essa si è limitata ad affermare di avere provveduto al pagamento rateale dei contributi nel termine dilatorio concesso, senza peraltro indicare il contenuto degli atti e dei documenti dimostrativi di tale pagamento e della sua data , con violazione quindi del principio di autosufficienza . 7. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15 %..

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