Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 aprile 2018, n. 9736.
La nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non puo’ essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale. Piu’ in generale il lavoratore puo’ chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimita’ di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli e’ tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex articoli 2086 e 2104 c.c., e puo’ legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex articolo 1460 c.c., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale. Tali principi trovano applicazione nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2, comma 2.
Sentenza 19 aprile 2018, n. 9736
Data udienza 10 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere
Dott. TRIA Lucia – Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28406/2016 proposto da:
COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS)) e (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1748/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/05/2016 R.G.N. 2595/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per inammissibilita’, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1748/2016 la Corte di appello di Roma ha dichiarato la nullita’ del licenziamento intimato dal Comune di (OMISSIS) alla dipendente (OMISSIS).
2. Secondo la ricostruzione dei fatti contenuta in tale sentenza, (OMISSIS) aveva adito il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Latina e, premesso di avere svolto funzioni di Comandante della Polizia Municipale del Comune di (OMISSIS) dal 1 giugno 2000, aveva dedotto che a partire dal maggio 2003 il Sindaco e il Segretario Comunale (quest’ultimo anche con le funzioni di Dirigente Generale, Responsabile della Polizia municipale e preposto all’Ufficio dei procedimenti disciplinari) avevano iniziato a tenere nei suoi confronti atteggiamenti vessatori costituenti “mobbing”, attraverso l’imposizione di ordini professionalmente dequalificanti e la privazione di funzioni istituzionali, fino al licenziamento irrogato per mancata ottemperanza agli ordini del superiore ed assenze ingiustificate dal servizio.
2.1. La ricorrente aveva esposto che, non essendosi uniformata alle direttive del Sindaco, in data 14 novembre 2003 aveva ricevuto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n.5 giorni e in data 31 marzo 2004 la medesima sanzione per n. 10 giorni, fino ad arrivare al licenziamento del 5 maggio 2004 preceduto da due contestazioni. Tutto cio’ premesso, aveva dedotto l’illegittimita’ delle sanzioni conservative e del licenziamento per mancata affissione del codice disciplinare e del solo licenziamento perche’ intervenuto tra la richiesta delle pubblicazioni di matrimonio ed un anno dopo la celebrazione dello stesso, in violazione della L. n. 7 del 1963, articoli 1 e segg., nonche’ per infondatezza degli addebiti, per insussistenza del giustificato motivo soggettivo, per inesistenza di un inadempimento sanzionabile e per violazione del principio di terzieta’ (il Segretario Comunale era anche responsabile del procedimento disciplinare).
2.2. Il Tribunale adito aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, con conseguente diritto della ricorrente alla reintegrazione nel posto di lavoro, mentre aveva dichiarato non esservi luogo a provvedere sulle rimanenti domande, da intendersi rinunciate ex articolo 75 c.p.p., comma 1 per avvenuta costituzione di parte civile della (OMISSIS) nel giudizio penale (per abuso di ufficio e falso) a carico del Sindaco, del Segretario Comunale e di altri soggetti a vario titolo coinvolti nei fatti descritti.
2.3. Il Giudice di primo grado aveva osservato che, alla stregua del Regolamento della Polizia Municipale di (OMISSIS), al Comandante del Corpo di Polizia Municipale erano demandate funzioni di responsabilita’ del servizio e che quindi la (OMISSIS) aveva tutti i poteri di gestione ed organizzazione del lavoro dei vigili urbani, mentre al Segretario Comunale, per lo stesso Regolamento, era demandata la sovrintendenza allo svolgimento dei compiti affidati al Corpo. Aveva dunque affermato che il Comandante organizza e gestisce il Corpo di Polizia Municipale, mentre il Segretario comunale impartisce al predetto Comandante le direttive di ordine generale. Sulla scorta di tale premesse, aveva ritenuto che le condotte contestate, relative alla mancata osservanza dei servizi programmati dal Segretario comunale, non integrassero condotte idonee a giustificare la sanzione espulsiva: l’attribuzione dei poteri che alla (OMISSIS) derivavano dal Regolamento escludeva di poter dare rilevanza, ai fini del giudizio di proporzionalita’, al “turbamento della regolarita’ del servizio e alla confusione per la sovrapposizione degli ordini”, ragioni poste alla base del recesso.
2.4. Tale sentenza era stata impugnata da entrambe le parti. La (OMISSIS) aveva censurato la dichiarazione di estinzione del giudizio con riferimento alle domande risarcitorie. Il Comune di (OMISSIS) aveva censurato la sentenza nella parte relativa alla declaratoria di illegittimita’ del licenziamento.
3. La Corte di appello di Roma, rigettato l’appello proposto dalla (OMISSIS), in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, ha dichiarato la nullita’ del licenziamento in luogo della declaratoria di illegittimita’ di cui la sentenza impugnata.
3.1. Ha reputato preliminare ed assorbente rispetto all’esame dei motivi di appello l’eccezione mossa dalla (OMISSIS) con il ricorso di primo grado riguardante la nullita’ del licenziamento intimato dopo la richiesta di pubblicazioni civili del matrimonio, sulla quale il Tribunale non si era pronunciato per implicito assorbimento della questione. Ha osservato, in sintesi, quanto segue:
– il 26 aprile 2004 era pervenuta al Comune di (OMISSIS) la richiesta delle pubblicazioni del matrimonio (poi effettivamente celebrato in data in data 14.6. 2004) per cui il licenziamento intervenuto il 5 maggio 2004 doveva ritenersi intimato a causa di matrimonio, in virtu’ della presunzione di cui alla L. n. 7 del 1963, articolo 1, commi 1 e 2;
– a fronte di cio’, spettava alla parte datoriale fornire la prova contraria, onde vincere la suddetta presunzione; incombeva dunque al Comune di (OMISSIS) provare che il licenziamento, seppure intervenuto nel periodo in cui opera il divieto, era stato legittimamente intimato perche’ sorretto da motivo legittimo diverso dal matrimonio, ossia per giusta causa L. n. 860 del 1950, ex articolo 3, lettera a), pena la nullita’ del licenziamento medesimo;
– parte datoriale aveva dedotto di essersi determinata al recesso per reprimere i gravi atti di insubordinazione della (OMISSIS), che non si era uniformata alle direttive del Segretario Comunale e di avere intimato legittimamente la sanzione espulsiva ai sensi del contratto collettivo in esito alla precedente doppia recidiva;
– tuttavia, non era stata provata in giudizio la colpa grave che integra giusta causa di licenziamento, non avendo il Comune fornito la rigorosa prova richiesta per superamento la presunzione a suo carico;
– la mancata osservanza degli ordini, anche comportanti le assenze della (OMISSIS) nei giorni degli orari programmati dal Segretario comunale, era giustificata dal fatto che si trattava di ordini illegittimi, poiche’ basati su un potere estraneo a quello proprio del Responsabile del Servizio di Polizia Municipale e tanto poteva desumersi dalle norme del nuovo Regolamento del 1998 che delineava i compiti e le attribuzioni del Responsabile del Servizio (nella specie, del Segretario comunale) come direttive di massima da impartire al Comandante, il quale invece esercita il potere esecutivo, gestionale ed organizzativo del relativo Corpo;
– ai sensi del Regolamento di Polizia Municipale del 1995, il Corpo di Polizia Municipale dipende direttamente dal Sindaco o dall’assessore delegato, che impartiscono ordini e direttive tramite il Comandante del Corpo, responsabile del servizio; quest’ultimo provvede all’organizzazione e alla direzione tecnico operativa degli appartenenti al corpo/servizio, all’impiego tecnico operativo del personale dipendente, all’assegnazione alle unita’, ai reparti e ai servizi speciali, all’esercizio del potere ispettivo, alla predisposizione dei turni, tutte competenze sulle quali si era attestato lo “scontro” tra le divergenti determinazioni del Comandante, da un lato, e del Segretario Comunale, dall’altro;
– tali attribuzioni del Comandante del Corpo non erano venute meno per il fatto che il Segretario comunale era stato designato titolare delle funzioni di Responsabile del Servizio di Polizia; difatti, la nuova regolamentazione comunale (Regolamento dell’Ordinamento generale degli uffici e dei servizi, deliberato dalla Giunta nel 1998) prevede che i responsabili degli uffici e dei servizi abbiano la responsabilita’ del “generale andamento degli uffici cui sono preposti” (articolo 7, comma 3), nonche’ della “gestione delle risorse economiche, di personale e strumentali ad essi assegnate, cio’ per “dare effettiva attuazione agli obiettivi contenuti del programma amministrativo” (articolo 7, comma 5); essi adottano “in via generale” gli atti conclusivi del procedimento amministrativo delle determinazioni adesso correlate (articolo 7, comma 4); trattasi di prerogative di ordine generale programmatico, che nulla hanno a che vedere con la gestione del personale, la sua organizzazione sul territorio, la predisposizione dei turni e degli orari giornalieri di lavoro e in genere delle migliori modalita’ operative dell’attivita’ di Polizia.
3.2. In conclusione, la Corte distrettuale ha ritenuto che tutte le mancanze poste a base del licenziamento e dei precedenti provvedimenti disciplinari, ivi comprese le assenze dal servizio, risultavano collegate alla inosservanza delle disposizioni provenienti dal Segretario Comunale in contrasto con quelle provenienti dalla stessa (OMISSIS) nell’esercizio dei poteri direttivi ed organizzativi di Comandante del Corpo, cosicche’ la mancata osservanza di quei disposizioni non costituisce inadempimento; ne’ il Comune aveva dimostrato (e nemmeno allegato) le ragioni per le quali aveva proceduto, nei confronti della ricorrente, alla dedotta privazione dei poteri.
4. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a sei motivi. Ha resistito con controricorso la (OMISSIS). Entrambe le parti ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.. In particolare, la difesa della (OMISSIS) ha eccepito la nullita’/inesistenza della procura rilasciata dal Sindaco di (OMISSIS), quale legale rappresentante del Comune, per carenza della delibera autorizzatoria della Giunta comunale a proporre impugnazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione sollevata dalla (OMISSIS) in sede di memoria difensiva ex articolo 378 c.p.c.. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5802 del 2016), nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, competente a conferire la procura alle liti al difensore del Comune e’ il Sindaco e non la Giunta, la cui delibera, siccome priva di valenza esterna, ha natura meramente gestionale e tecnica (Cass. n. 5802 del 2016). In tema di ricorso per cassazione, la procura speciale al difensore, prescritta a pena di nullita’ dall’articolo 365 c.p.c., puo’ essere conferita al difensore esclusivamente dal soggetto legittimato a stare in giudizio ai sensi dell’articolo 75 c.p.c., il quale, per il Comune, e’ il solo Sindaco (Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, articolo 50) e non la giunta comunale (Cass. 18062 del 2010).
2. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e precisamente: a) sussistenza di provvedimenti disciplinari n. 20836 del 14 novembre 2003 e n. 5905 del 31 marzo 2004, antecedenti anche alla richiesta di pubblicazione di matrimonio del 26 aprile 2004, e costituenti presupposto essenziale del provvedimento di recesso, alla luce dell’articolo 25 CCNL del 1 aprile 1999, in ragione della recidiva biennale; b) avvio del procedimento disciplinare con nota prot. n. 8031 del 7 gennaio 2004 (tre mesi prima della richiesta di pubblicazioni di matrimonio) e rinvii del procedimento per l’audizione a difesa (la cui prima convocazione era stata fissata per il 29 marzo 2004) richiesti dalla stessa (OMISSIS) e tali da comportare il differimento del procedimento fino alla data del 5 maggio 2004. Si rileva che, ove tali fatti decisivi fossero stati considerati, la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere superata la presunzione iuris tantum di cui alla L. n. 7 del 1963, articolo 1, comma 3.
3. Il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’articolo 2086 c.c. e articolo 2094 c.c., Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2, comma 2, e articolo 5, articoli 6 e 7 Regolamento dell’Ordinamento generale degli Uffici e dei Servizi del Comune di (OMISSIS) (adottato con delibera della G.M. n. 41/98), nonche’ del generale principio in base al quale il lavoratore dipendente che non condivida gli ordini e le direttive impartite dal suo superiore o dal datore di lavoro non ha il diritto ne’ la facolta’ di disattenderli autonomamente, disponendo invece della mera facolta’ di esperire rimedi giurisdizionali, anche cautelari, apprestati dall’ordinamento per l’accertamento dell’eventuale illegittimita’ degli ordini e/o delle direttive e per il ripristino della legalita’ eventualmente violata. Violazione di legge in relazione all’articolo 51 c.p. e dei principi affermati, in applicazione analogica di tale norma, dalla giurisprudenza del lavoro, secondo cui l’ordine illegittimo che il lavoratore ha diritto di disattendere e’ solo quello con cui venga richiesto di commettere un illecito, ovvero di porre in essere una condotta contraria ai doveri di fedelta’ e diligenza verso la parte datoriale. Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 7 del 1963, articolo 1, comma 5, e norme correlate ai principi generali in tema di “colpa grave” della lavoratrice, idonea a superare la presunzione di licenziamento a causa di matrimonio.
3.1. Si assume che nella premessa del provvedimento licenziamento prot. n. 8031 del 5 maggio 2004 era stato ascritto alla dipendente di non avere ottemperato a specifici ordini di servizio e di avere in tal modo creato un grave disservizio e precisamente, con la contestazione del 7 gennaio 2004, di non avere svolto, secondo quanto disposto la programmazione settimanale, il servizio esterno di controllo del traffico dalle ore 8,00 alle ore 11,00, come richiesto anche in attuazione delle disposizioni impartite alla prefettura di Latina, e di essere stata ingiustificatamente assente dal servizio nei giorni 25, 26 e 27 dicembre 2003; con la contestazione del 19 gennaio 2004, di non avere svolto in data 30 dicembre 2003 il turno di servizio programmato dalle 15,00 alle 21,00; di essere stata ingiustificatamente assente dal servizio il giorno 1 gennaio 2004 e di non avere svolto in data 7 gennaio 2004 il servizio dalle ore 15,00 alle ore 21,00 come programmato, bensi’ arbitrariamente di avere prestato servizio dalle ore 8,00 alle ore 14.
3.2. Si deduce altresi’ con il secondo motivo che la dipendente non solo non aveva osservato gli obblighi nascenti dagli ordini di servizio impartiti dal Responsabile del Servizio, ma aveva addirittura emesso specifici ordini di servizio, anche all’indirizzo degli altri componenti della Polizia municipale, contrastanti con quelli del Responsabile del Servizio, in tal modo cagionando grave confusione nei destinatari degli ordini, come confermato dai testi in sede istruttoria.
4. Il terzo motivo denuncia violazione di legge ed omesso esame dei seguenti fatti decisivi per il giudizio: a) inesistenza di un vero e proprio Corpo di Polizia Municipale per difetto dei presupposti previsti dal Regolamento del 1995 (numero di addetti pari o superiore a n. 7 unita’) e quindi difetto in capo alla ricorrente della posizione di Comandante del Corpo e conseguente legittimo affidamento della responsabilita’ del servizio di polizia municipale ad un soggetto diverso; b) in ogni caso, piena legittimita’ degli ordini di servizio emessi dal Segretario comunale, essendo chiara, nel Regolamento del 1998 vigente al tempo dei fatti, l’attribuzione al Responsabile del Servizio di compiti gestionali e tenuto conto che la sopravvenienza del nuovo Regolamento aveva comportato l’abrogazione di ogni precedente, incompatibile disposizione. Si rileva che l’articolo 7 del nuovo Regolamento espressamente dispone che i Responsabili dei servizi e degli uffici sono direttamente responsabili dell’andamento degli uffici cui sono preposti e della gestione delle risorse economiche, di personale e strumentali assegnati e curano l’organizzazione degli uffici e dei servizi nell’ambito delle direttive e degli indirizzi politici espressi dagli organi di governo, assumendo i necessari atti di gestione.
5. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, e articolo 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e articolo 112 c.p.c. per omessa pronuncia in ordine all’eccezione di inammissibilita’ dell’appello sollevata dal Comune avverso il gravame avversario per genericita’ dei motivi.
6. Il quinto motivo denuncia violazione di legge in relazione al ritenuto assorbimento dei motivi di appello formulati dal Comune di (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, il cui esame era stato del tutto pretermesso dalla Corte territoriale per avere accolto l’impugnativa del licenziamento sulla base di un’eccezione diversa da quella esaminata dal Giudice di primo grado.
7. Il sesto motivo costituisce riproposizione delle censure non esaminate dalla Corte territoriale e segnatamente riguardanti l’articolo 25, comma 6, lettera a) CCNL, secondo cui la sanzione del licenziamento con preavviso era l’unica sanzione che poteva essere comminata, considerata la recidiva biennale e tenuto conto dei precedenti provvedimenti disciplinari del 14 novembre 2003 (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n. 5 giorni) e del 31 marzo 2004 (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per n. 10 giorni), aventi ad oggetto fatti analoghi a quelli contestati nel terzo procedimento disciplinare.
8. Meritano accoglimento i primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto interconnessi, mentre il quarto (vertente sul vizio di omessa pronuncia) e’ inammissibile per difetto di autosufficienza e i restanti (vertenti sui motivi di appello non esaminati dalla Corte di appello) sono inammissibili in quanto relativi a questioni rimaste assorbite nella soluzione accolta dal giudice di appello e suscettibili di riproposizione in sede di rinvio.
9. La L. n. 7 del 1963, articolo 1, dispone “…del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa del matrimonio” specificando al comma 3, “si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio…. a un anno dopo la celebrazione., sia stato disposto per causa di matrimonio”. Il termine “disposto” allude ad una decisione della parte datoriale che sia maturata ed adottata nell’arco temporale indicato per legge (cfr. Cass. n. 27055 del 2013). Tale presupposto tuttavia – ad avviso del Collegio non puo’ ravvisarsi laddove si verta in un’ipotesi di procedimento disciplinare gia’ avviato anteriormente alla data della richiesta di pubblicazioni di matrimonio; in tale caso, non puo’ presumersi la riconducibilita’ della volonta’ datoriale alla “causa di matrimonio”, non essendo i relativi presupposti neppure venuti ad esistenza alla data in cui e’ stata esercitata l’azione disciplinare. Non e’ ravvisabile, in radice, alcun nesso logico ne’ giuridico tra la volonta’ datoriale di avviare e dare corso ad un procedimento disciplinare e la richiesta di pubblicazioni di matrimonio che intervenga nel corso di tale procedimento.
9.1. Risulta dalla sentenza impugnata che la richiesta di pubblicazioni di matrimonio pervenne al Comune di (OMISSIS) il 26 aprile 2004, nelle more del procedimento disciplinare gia’ avviato ed in corso a quella data.
9.2. Tale ragione ha carattere assorbente e impone la cassazione con rinvio per l’esame dei motivi di appello proposti dal Comune di (OMISSIS), rimasti assorbiti nella diversa soluzione accolta dal giudice di appello. Difatti, la sentenza impugnata ha accolto la domanda di impugnativa del licenziamento per ragioni diverse da quelle esaminate dal Giudice di primo grado, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento in quanto sanzione eccessiva e sproporzionata rispetto alla gravita’ effettiva dei fatti. La Corte di appello ha invece ritenuto il licenziamento affetto da nullita’, perche’ intimato per “causa di matrimonio”.
10. La sentenza impugnata e’ incorsa in un’ulteriore violazione di legge laddove ha affermato che il dipendente che non condivida direttive o istruzioni impartite dal superiore ovvero dal datore di lavoro ovvero le ritenga dequalificanti abbia il potere o il diritto di disattenderle in luogo del piu’ limitato diritto di azionare i rimedi giurisdizionali predisposti dall’ordinamento per l’accertamento della illegittimita’ di tali direttive o istruzioni ai fini dell’annullamento.
10.1. Nell’ambito del rapporto di lavoro privato, questa Corte ha affermato che la nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non puo’ essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale (Cass. n. 7795 del 2017). Piu’ in generale il lavoratore puo’ chiedere giudizialmente l’accertamento della legittimita’ di un provvedimento datoriale che ritenga illegittimo, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario (conseguibile anche in via d’urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli e’ tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore, ex articoli 2086 e 2104 c.c., e puo’ legittimamente invocare l’eccezione di inadempimento, ex articolo 1460 c.c., solo nel caso in cui l’inadempimento del datore di lavoro sia totale (cfr., tra le piu’ recenti, Cass. n. 831 del 2016 e n. 18866 del 2016). Tali principi trovano applicazione nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, anche in ragione del rinvio operato dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 2, comma 2.
10.2. La Corte d’appello ha invertito il principio generale secondo cui costituisce onere del lavoratore, soprattutto se dipendente di un ente pubblico, spiegare le ragioni per cui abbia disatteso ordini di servizio o direttive impartitegli creando turbamento alla regolarita’ e continuita’ del servizio. Non risulta infatti della sentenza impugnata che fosse stato richiesto alla disponente di porre in essere fatti costituenti reato o comunque comportamenti contrari ai doveri di diligenza e fedelta’ per l’amministrazione (in relazione all’articolo 51 c.p.).
11. Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione e la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, che provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
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