Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 gennaio 2017, n. 855

Legittimo il licenziamento del dipendente che si appropria di un bene aziendale anche se nel procedimento disciplinare, non avendo fatto espressa richiesta di audizione congiunta, viene ascoltato separatamente dal rappresentante sindacale chiamato ad assisterlo

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 16 gennaio 2017, n. 855

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente

Dott. MANNA Antonio – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

Dott. SPENA Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9785-2014 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7670/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/10/2013 R.G.N. 5039/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza n. 7670 del 2013, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto il ricorso di (OMISSIS) volto ad ottenere l’accertamento dell’inefficacia, nullita’, illegittimita’ della destituzione dal servizio intimatagli da (OMISSIS) s.p.a. – Compagnia trasporti laziali, a motivo di avere tentato di appropriarsi di un alternatore di proprieta’ della societa’ il giorno (OMISSIS), e la condanna di questa alla sua reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni maturate dalla data della sospensione cautelare – che era stata disposta ai sensi dell’articolo 46 del Regolamento allegato A al Regio Decreto n. 148 del 1931 – alla reintegrazione, oltre al risarcimento dei danni da licenziamento ingiurioso.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) s.p.a.. Le parti hanno depositato anche memorie ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso possono essere cosi’ riassunti:

1.1. Con il primo, il ricorrente deduce violazione dell’articolo 46 del regolamento allegato A al Regio Decreto n. 148 del 1931 in relazione all’articolo 36 Cost., articolo 2099 c.c. e articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.

Ripropone l’argomentazione, disattesa dalla Corte territoriale, secondo la quale la mancata corresponsione della retribuzione per tutto il periodo di durata del procedimento disciplinare aveva trasformato la sospensione dal servizio in una vera e propria sanzione, in contrasto con l’articolo 36 Cost. e articolo 2099 c.c., che la normativa del Regio Decreto del 1931 non potrebbe derogare, non essendo piu’ compatibile con il nuovo sistema giuridico costituzionale.

Di conseguenza, avendo l’azienda esercitato il potere disciplinare per i fatti contestati, anche la destituzione a questa seguita doveva ritenersi nulla, per il principio del ne bis in idem.

1.2. Come secondo motivo, il ricorrente deduce violazione degli articoli 47 e 53 del regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931 in relazione all’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori, ai principi di correttezza e buona fede nonche’ gli articoli 24 e 111 Cost.. Ribadisce la violazione della procedura disciplinare sotto plurimi profili: in particolare, lamenta che il giudice di secondo grado avrebbe omesso di rilevare che (OMISSIS) s.p.a. aveva violato il suo diritto di difesa, posto che non gli aveva consentito di presenziare all’incontro del (OMISSIS) in occasione del quale era stato convocato ed ascoltato solo il suo rappresentante sindacale; non gli aveva consentito di essere assistito dal proprio rappresentante sindacale nel corso dell’audizione personale del 3 dicembre 2008; non gli aveva permesso di conoscere gli atti che lo accusavano, rinviando questa conoscenza alla sola fase giudiziaria.

1.3. Come terzo motivo, deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti e lamenta che la Corte di merito abbia desunto la veridicita’ dei fatti contestati dalle dichiarazioni del superiore (OMISSIS), valorizzandone l’attendibilita’ ma senza rilevare l’inverosimiglianza della sua versione dei fatti (in particolare, con riguardo al fatto che egli aveva riferito di non averlo denunciato subito sperando che desistesse dall’azione e limitandosi a fargli presente che “aveva famiglia”, pur rischiando egli stesso una sanzione disciplinare e senza considerare che degli, nonostante l’avvertimento del superiore, avrebbe messo a repentaglio il posto di lavoro per un alternatore usato del valore di circa 100- 300 Euro).

1.4. Come quarto motivo, deduce nullita’ della sentenza ex articoli 156 e 161 c.p.c. e sostiene che la stessa sarebbe afflitta da carenza assoluta di motivazione o motivazione meramente apparente laddove la Corte ha ritenuto accertato il fatto che egli abbia messo l’alternatore sul davanzale della finestra dirimpetto al parcheggio, senza considerare che il (OMISSIS) non ha assistito a tale passaggio, essendosi limitato a dichiarare di aver visto il (OMISSIS) collocare l’alternatore sul tavolo in prossimita’ della finestra e poi di avere visto l’alternatore nella parte esterna della suddetta finestra.

1.5. Come quinto motivo, in via subordinata, deduce nullita’ della sentenza ai sensi degli articoli 156 e 161 c.p.c. in relazione all’articolo 45, punto 4 del regolamento alla A al Regio Decreto n. 148 del 1931 e agli articoli 1175 e 1375, 2697 e 2729 c.c..

Lamenta che nella sentenza impugnata non vi sarebbe traccia del giudizio di proporzionalita’ tra la tentata sottrazione e la gravita’ della sanzione, giudizio che avrebbe dovuto tenere conto di tutte le circostanze rilevanti nel caso quali l’elemento intenzionale, il grado di affidamento richiesto delle mansioni svolte, le precedenti modalita’ di attuazione del rapporto, la sua particolare natura e tipologia. Neppure risulterebbe l’adeguatezza alla condotta della massima sanzione, in quanto avrebbe potuto essere applicata altra sanzione di minore gravita’ tra quelle previste dal Regio Decreto citato (articoli 37, 42, 43 e 44).

2. Il primo motivo non e’ fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciarsi sulla perdurante vigenza della disciplina speciale dettata per gli autoferrotranvieri dal Regio Decreto n. 148 del 1931, hanno rilevato che il principio secondo il quale la disciplina del rapporto di Lavoro del personale autoferrotranviario costituisce un corpus compiuto ed organico, determinato dalla loro assimilazione ai dipendenti pubblici, ha subito una progressiva “devitalizzazione”, per effetto di vari interventi legislativi succedutisi nel tempo. Hanno tuttavia concluso che al di la’ di tali specifici interventi, resta esclusa un’ abrogazione implicita della normativa dettata dal R.D., che deve comunque essere integrata o sostituita in parte quando risulti incompatibile con il sistema in generale (cosi’ Cass. Sez. U, n. 15540 del 27/07/2016, Sez. L, n. 5551 del 06/03/2013).

2.1. Con specifico riferimento alla sospensione preventiva dallo stipendio e dal servizio, disposta ai sensi dell’articolo 46 dell’allegato “A” al detto Regio Decreto n. 148 del 1931 nei confronti degli agenti autoferrotranviari sottoposti a procedimenti disciplinari e penali, questa Corte ha in piu’ occasioni ribadito che essa costituisce non gia’ una sanzione disciplinare, come la sospensione dal servizio prevista dall’articolo 42 dello stesso allegato, ma una misura cautelare di carattere provvisorio, che e’ estranea al procedimento disciplinare, ancorche’ ad esso connessa (Cass. Sez. U, n. 5779 del 23/03/2004, Sez. L, n. 27110 del 2006, n. 18498 del 2008), sicche’ una volta che i fatti contestati all’agente rientrino in quelli che legittimano l’adozione di una sanzione disciplinare, l’azienda non ha alcun obbligo di individuare ragioni autonome che giustifichino l’adozione del provvedimento cautelare.

2.2. Non puo’ poi porsi questione di legittimita’ costituzionale dell’istituto della sospensione dal soldo e dal servizio previsto dal Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 46 in relazione al primo inciso dell’articolo 36 Cost., che prevede la necessaria proporzione della retribuzione alla qualita’ e quantita’ del lavoro prestato: tale misura infatti determina una sospensione temporanea del sinallagma contrattuale, nella sussistenza di un’esigenza di tutelare l’azienda nei casi previsti dal comma 1, esigenza all’affidabilita’ del servizio analoga a quella sentita nel rapporto di lavoro pubblico (Corte Cost. n. 168 del 1973). Questa Corte si e’ del resto pronunciata in piu’ occasioni in tema di sospensione cautelare prevista dalla contrattazione collettiva in vari comparti del pubblico impiego, precisando che il divieto di sospensione unilaterale del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro sussiste quando esso venga esercitato al di fuori delle ipotesi previste dalla legge e dalla contrattazione collettiva (o di emergenze del tutto eccezionali, in cui la sospensione possa ragionevolmente ritenersi necessariamente attivabile) e che la regola implicita nella natura cautelare e interinale della sospensione e’ la sua durata, che non puo’ superare quella del procedimento disciplinare e dell’eventuale procedimento penale in funzione dei quali e’ prevista (Cass. n. 5147 del 2013, n. 26287 del 2013). Nel rispetto di detti limiti, quindi, la sospensione deve ritenersi legittima.

2.3. Diverso problema e’ la corrispondenza dell’indennizzo corrisposto ai familiari ai sensi del IV comma all’area di garanzia predisposta dal secondo inciso del richiamato disposto costituzionale, che impone che la retribuzione sia sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Trattasi di questione che tuttavia non e’ posta in causa, considerato che nessuna differenza economica e’ stata richiesta in relazione al periodo di sospensione.

3. Il secondo motivo e’ parimenti infondato.

Deve ribadirsi, in coerenza con il principio di “permanenza vigilata” della disciplina del Regio Decreto del 1931 ribadito nella sentenza delle Sezioni Unite n. 15540 del 2016, che l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario per le controversie disciplinari del personale in questione, operata da Cass. S.U. n. 460/05 e 9939/05, non ha travolto le ulteriori disposizioni dettate dal Regio Decreto in materia disciplinare, tanto che in numerose decisioni di questa Corte se ne e’ confermato il persistente vigore (vedi, per tutte: Cass. n. 12490 del 2015, Cass. 11 marzo 2013, n. 5958; Cass. 6 marzo 2013, n. 5551; Cass. 22 maggio 2009, n. 11929), sia pure con le limitazioni di cui si dira’ oltre.

3.1. Un’abrogazione non e’ avvenuta neppure per effetto della L. 12 luglio 1988, n. 270 il cui articolo 1, comma 2 ha stabilito che a decorrere dal novantesimo giorno dalla sua entrata in vigore “… le disposizioni contenute nel regolamento allegato A al Regio Decreto 8 gennaio 1931, n. 148, ivi comprese le norme di legge modificative, sostitutive ed aggiuntive a tale regolamento, possono essere derogate dalla contrattazione nazionale di categoria ed i regolamenti d’azienda non possono derogare ai contratti collettivi”, considerato che prevedere la derogabilita’ di una normativa ad opera della contrattazione collettiva (c.d. delegificazione) non equivale ad eliminarla dall’ordinamento (Cass. 12-07-2004, n. 12871).

3.2. Occorre quindi esaminare il procedimento disciplinare previsto dal Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 53 e ss., (non discutendosi nel caso di eventuale contrattazione collettiva derogatoria) e valutare se esso si ponga, e si sia posto in concreto nel caso in esame, in contrasto con altri principi fondamentali del procedimento disciplinare desumibili dal sistema, quali il diritto di interlocuzione e difesa predisposti dalla L. n. 300 del 1970, articolo 7.

3.3. Questa Corte ha affermato (Cass. n. 13654 del 2015) che dal tenore dei primi otto commi dell’articolo 53, emerge una chiara e differenziata scansione temporale (in ipotesi di mancanze passibili di retrocessione o destituzione) che delinea piu’ fasi di una procedura maggiormente garantita, per il dipendente del settore autoferrotranviario, rispetto a quella prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 7. La prima fase e’ integrata dalla contestazione dell’addebito (poco importa se eseguita dal direttore o da suoi delegati), con invito all’incolpato affinche’ si giustifichi. La seconda – che segue alle eventuali giustificazioni del dipendente prevede una relazione scritta (corredata dell’opportuna documentazione delle indagini svolte) in cui i funzionari all’uopo delegati riassumono i fatti emersi, espongono su di essi gli apprezzamenti e le considerazioni concernenti tutte le circostanze che possono influire sia a carico che a discarico dell’incolpato e, infine, espongono le proprie conclusioni circa le mancanze accertate e i relativi responsabili. Solo dopo tale relazione si passa alla terza – eventuale – fase, in cui il direttore o chi da lui delegato esprime, in base alla predetta relazione, il c.d. opinamento circa la punizione da infliggere fra quelle previste dagli articoli 43 – 45, opinamento che e’ reso noto all’interessato con comunicazione scritta personale. A questo punto l’incolpato ha il diritto, entro cinque giorni dalla notifica dell’opinamento, di presentare a voce o per iscritto eventuali nuove giustificazioni, che potranno affrontare compiutamente non solo il merito dell’addebito, ma anche quello della natura e dell’entita’ della sanzione ventilata, giustificazioni in mancanza delle quali il provvedimento disciplinare proposto diviene definitivo ed esecutivo.

3.4. La natura di procedimento garantito e’ confermata dagli ultimi due commi, che prevedono la possibilita’ del dipendente, qualora le sue giustificazioni non siano accolte, di investire della procedura il consiglio di disciplina (articolo 54), con conseguente diritto di prendere visione degli atti dell’indagine istruttoria e di essere ulteriormente ascoltato.

Va precisato che, in seguito all’ entrata in vigore del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112, articolo 102, comma 1, lettera b), si e’ posta la questione della totale soppressione, o meno, dei Consigli di disciplina, in relazione alla corretta interpretazione del Regio Decreto n. 148 del 1931, articoli 54 e 58, in combinazione con la nuova disposizione. Ma questa Corte ha chiarito che tale questione, tra molte incertezze, e’ stata risolta nel senso della persistenza dei suindicati Consigli di disciplina per la generalita’ delle aziende di trasporto, salvo che per le gestioni governative, i cui Consigli sono stati considerati soppressi dalla disposizione richiamata (Cass. n. 12490 del 2015, cit.).

3.5. La giurisprudenza di questa Corte ha poi rilevato che una lettura dell’articolo 53, comma 2, che prevede che il lavoratore debba essere invitato a giustificarsi, coerente con le garanzie predisposte in via generale dalla L. n. 300 del 1970, articolo 7 e conforme ai parametri costituzionali, impone di ritenere che il lavoratore incolpato abbia diritto, a richiesta, di essere sentito oralmente a propria difesa con l’eventuale assistenza di un rappresentante sindacale, anche nel caso in cui abbia comunicato le proprie giustificazioni scritte, ed ancorche’ queste appaiano gia’ di per se’ ampie ed esaustive (Cass. 10 luglio 2012 n. 11543 e nello stesso senso Cass. 2 novembre 2014 n. 26115 e prima ancora Cass. 17 maggio 2005 n. 10303).

3.6. Nel caso in esame, la procedura garantita prevista dall’articolo 53 del Regio Decreto e’ stata puntualmente rispettata ed il diritto del contraddittorio tra datore di lavoro e lavoratore, quale indefettibile regola di formazione delle misure disciplinari – valorizzata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 1982 – e di effettiva e assistita interlocuzione deve ritenersi parimenti rispettato, in virtu’ della contestazione dell’ addebito e della possibilita’ ripetutamente assicurata al dipendente di fornire le proprie difese, sia tramite il rappresentante sindacale da lui stesso nominato, che e’ stato convocato ed e’ stato ascoltato in data 7.11.2008, sia direttamente, nell’ulteriore audizione del lavoratore effettuata in data 3.12.2008, disposta dopo che questi aveva reso le proprie giustificazioni scritte (pg. 4 sentenza). Difese che egli avrebbe potuto anche ampliare ed approfondire, se avesse esercitato la facolta’ di presentare le ulteriori giustificazioni previste dal comma 6 e di chiedere l’intervento del Consiglio di disciplina ai sensi del comma 7 (il che non ha fatto, come riferisce la Corte d’appello a pg. 5 della sentenza).

3.7. Il fatto poi che il lavoratore non sia stato sentito contestualmente al proprio rappresentante sindacale (ma i due siano stati sentiti in momenti diversi) non integra di per se’ una violazione delle dovute garanzie procedimentali, considerato che nel caso vi era stata la designazione del rappresentante sindacale per l’assistenza nel procedimento disciplinare (resa possibile in virtu’ dell’accordo sindacale del 28 febbraio 2008, reso noto con l’ordine di servizio n. 51 del 21 marzo 2008), ma non una specifica richiesta di audizione congiunta, richiesta che non e’ stata formulata dal lavoratore neppure in occasione del proprio colloquio. La presenza del rappresentante sindacale al colloquio del dipendente non e’ del resto una garanzia indefettibile, neppure in virtu’ della L. n. 300 del 1970, articolo 7, derivando solo da apposita richiesta (comma 3), considerato che il diritto di difesa in tale sede si traduce nella possibilita’ di far valere compiutamente la propria posizione e prospettazione e il lavoratore e’ libero di discolparsi nelle forme da lui prescelte, oralmente o per iscritto, con l’assistenza o meno di un rappresentante sindacale (Cass. n. 12978 del 2011), ma la (eventuale) assistenza di questo non assume le medesime caratteristiche del processo penale, laddove e’ prevista una difesa tecnica (Cass. n. 5057/2016, n. 7143/2008, 8751/1996, 11430/2000).

3.8. Quanto al diritto di accesso agli atti dell’indagine disciplinare, la Corte territoriale ha applicato i principi gia’ affermati da questa Corte in relazione alla L. n. 300 del 1970, articolo 7, secondo i quali tale norma non prevede l’obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del lavoratore la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati nel corso del procedimento disciplinare, al di fuori di quella necessaria per una puntuale contestazione dell’addebito e per permettere un’adeguata difesa; si e’ anche affermato che il lavoratore che lamenti la violazione di tale obbligo ha l’onere di specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al predetto fine (Cass. n. 14225 del 27/10/2000, n. 18288 del 30/08/2007, n. 23304 del 18/11/2010, n. 6337 del 13/03/2013). Nel caso, il ricorrente lamenta invece una generica mancanza di messa a disposizione dei “documenti che lo incolpavano” (pg. 9 del ricorso) sicche’ la finalita’ della richiesta pare quella di poter smontare gli elementi a sostegno dell’accusa, piuttosto che di avere piena conoscenza dell’addebito a lui mosso e delle sue esatte circostanze fattuali, in ordine ai quali non e’ stata sollevata alcuna censura di genericita’.

4. Il terzo e quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

In relazione ad entrambi e con riguardo alla critica della ricostruzione delle risultanze fattuali operata dalla Corte di merito, occorre premettere che al presente giudizio si applica ratione temporis la formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha ridotto al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimita’ sulla motivazione, nel senso chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 2014, secondo il quale la lacunosita’ e la contraddittorieta’ della motivazione possono essere censurate solo quando il vizio sia talmente grave da ridondare in una sostanziale omissione, ne’ puo’ fondare il motivo in questione l’omesso esame di una risultanza probatoria, quando essa attenga ad una circostanza che e’ stata comunque valutata dal giudice del merito.

4.1. E’ pero’ da escludere che nel caso ci si trovi innanzi a una delle indicate patologie estreme dell’apparato argomentativo, considerato che gli aspetti valorizzati nel ricorso sono stati tutti puntualmente esaminati dalla Corte territoriale (ivi compresa l’attendibilita’ del teste (OMISSIS), pg. 7 primo cpv., ed il fatto che egli non avesse visto direttamente lo spostamento dell’alternatore ad opera del (OMISSIS) dal tavolo posto sotto la finestra al di fuori della finestra, che era chiusa da dentro, pg. 7 secondo cpv.), ma ritenuti superati dalle ulteriori risultanze o comunque non decisivi.

Ne deriva che sotto nessun profilo la motivazione puo’ dirsi omessa, ne’ puo’ quindi procedersi in questa sede a nuova valutazione delle medesime circostanze.

5. Il quinto motivo e’ pure infondato.

La Corte territoriale ha operato la valutazione di proporzionalita’ tra addebito e sanzione sia sulla base della gravita’ del fatto, in se’ ed in relazione al valore non esiguo del bene (da 100 a 300 Euro), idoneo a minare il vincolo fiduciario, sia della previsione dell’articolo 45, n. 4 dell’allegato A al Regio Decreto n. 148 del 1931, che punisce con la destituzione coloro che “nonostante restituzione, scientemente si approprino di somme, valori, materiali od oggetti spettanti all’azienda o ad essa affidati per qualsiasi causa; o scientemente o nonostante restituzione, defraudino l’azienda o contribuiscano a che altri defraudino l’azienda dei suoi averi, diritti e interessi, anche se tali mancanze siano rimaste allo stato di tentativo”. Il richiamo a tale previsione, dettata proprio con riferimento al rapporto di lavoro di cui e’ parte il (OMISSIS) e determinata dalla rilevanza di interesse pubblico della funzione svolta, manifestava di per se’ le ragioni per cui la Corte territoriale ha ritenuto l’incidenza della condotta sull’intuitu personae con riferimento alla specificita’ delle mansioni svolte.

6. Il ricorso deve quindi essere rigettato, con la consequenziale condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

Sussistono i presupposti previsti dal primo periodo del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per il ricorso stesso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. stesso articolo 13, comma 1 bis

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