CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 10 novembre 2014, n. 23928

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata in data 3 giugno 2009, ha confermato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da M.S. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, odierni intimati, aveva riconosciuto ai medesimi – tutti dipendenti dell’INPS ed iscritti, fino al 30 settembre 1999, al Fondo per la previdenza integrativa gestito dall’ente datore di lavoro – il diritto alla restituzione delle somme trattenute dall’Istituto sulle loro retribuzioni a titolo di contributo di solidarietà del 2% sulle prestazioni integrative maturate a carico del Fondo (soppresso dalla data suddetta), ai sensi della L. n. 144 del 1999, art. 64.
Nel respingere il gravame, la Corte di merito ha rilevato che tale disposizione doveva essere interpretata nel senso che il contributo di solidarietà può essere imposto solamente ai titolari di pensione integrativa già in fase di erogazione (dunque ai soli dipendenti per i quali sia cessato il rapporto di lavoro) e non anche al personale ancora in servizio.
Per la cassazione di questa sentenza l’INPS ha proposto ricorso fondato su un unico motivo. Resistono con controricorso i dipendenti, ad eccezione di Go.Vi.Ge. , rimasta intimata, i quali hanno altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo del ricorso l’INPS, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 64, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144, premesso che tale disposizione ha disposto, a decorrere dal 1 ottobre 1999, la soppressione dei fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti di cui alla legge 20 marzo 1975 n. 70 (ossia gli enti pubblici, facenti parte del c.d. parastato), con contestuale cessazione delle corrispondenti aliquote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi e con l’introduzione di un contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative “erogate o maturate presso i fondi”, sostiene che la interpretazione accolta dalla Corte di merito – secondo cui tale contributo è dovuto dai soli dipendenti per i quali sia cessato il rapporto di lavoro e non anche dal personale ancora in servizio – è errata.
Ad avviso del ricorrente, la corretta interpretazione letterale, logica e sistematica di detta disposizione, impone di includere tra i soggetti a carico dei quali porre il contributo anche coloro che, seppure in servizio, risultando iscritti al Fondo, sono beneficiari dei trattamenti di previdenza integrativa, avendo il legislatore garantito comunque loro il diritto a percepire la prestazione integrativa maturata al 1 ottobre 1999, sebbene il relativo trattamento sia conseguibile al momento della cessazione del servizio in aggiunta al trattamento pensionistico obbligatorio. Con la conseguente legittimità del prelievo contributivo operato sulle relative retribuzioni.
2. Il ricorso è fondato.
La legge 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, nel disporre (comma 2), a decorrere dal 1 ottobre 1999, la soppressione dei Fondi per la previdenza integrativa dei dipendenti degli enti di cui alla L. 20 marzo 1975, n. 70 (e, quindi, anche dell’INPS), con contestuale cessazione delle corrispondenti aliquote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi, ha riconosciuto (comma 3) agli iscritti ai Fondi soppressi “il diritto all’importo del trattamento pensionistico calcolato sulla base delle normative regolamentari in vigore presso i predetti fondi che restano a tal fine confermate anche ai fini di quiescenza e delle anzianità contributive maturate alla data del 1.10.1999”.
Attraverso questa disposizione, anche coloro che – alla data della soppressione (1 ottobre 1999) – non avevano ancora conseguito i requisiti prescritti dalla normativa del Fondo e quindi non avrebbero avuto alcun diritto nei suoi confronti, finiscono con l’acquisire comunque la prestazione integrativa; in altri termini “tutti” i dipendenti di questi enti “maturano” la pensione integrativa nella misura conseguita al primo ottobre 1999, ancorché la sua concreta erogazione competa poi solo al momento dell’acquisizione della pensione obbligatoria, secondo la regola, ormai generalizzata – L. 27 dicembre 1997, n. 449, ex art. 59, comma 3 -, per cui la pensione integrativa si consegue solo in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti per l’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza.
Inoltre – parte finale del comma 3 – gli importi maturati al 1 ottobre 1999, vengono rivalutati annualmente sulla base degli indici Istat, di talché, al momento del conseguimento della pensione obbligatoria, i dipendenti in servizio avranno diritto alla pensione integrativa nel maturato al 1 ottobre 1999, incrementato della rivalutazione per ciascuno degli anni che li separano dalla pensione.
Infine, l’art. 64 (comma 5) introduce, dalla medesima data del 1 ottobre 1999, un contributo di solidarietà del 2% su dette pensioni integrative, precisando che lo stesso è dovuto “sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi……”.
3. Si era posta la questione se detto contributo di solidarietà del 2% dovesse gravare solo su coloro che percepiscono la pensione integrativa, oppure anche (attraverso ritenute sulla retribuzione) sui dipendenti in servizio, i quali, pur non ricevendola concretamente, l’abbiano già maturata.
4. Alcuni giudici di merito avevano accolto la tesi dell’INPS, ritenendo che la formula legislativa “prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi…” doveva essere intesa con riferimento non solo ai trattamenti integrativi in atto, ma anche con riferimento alla somma maturata (sempre a titolo di trattamento pensionistico integrativo), dai dipendenti in servizio sulla base degli accantonamenti effettuati fino al 30 settembre 1999, dovendo, quindi, il contributo di solidarietà essere versato anche da tali dipendenti (su quel “maturato”) attraverso trattenuta sulle retribuzioni. Si privilegiava, in tal senso, il riferimento fatto dalla legge al “maturato”, e si considerava anche la peculiarità del sistema per cui anche le pensioni “maturate” al 1 ottobre 1999 dai dipendenti in servizio, ma non liquidate, si rivalutavano annualmente in base agli indici Istat (in deroga al principio generale per cui si rivaluta solo la pensione liquidata), di talché costoro avrebbero percepito il maturato all’ottobre 1999 incrementato dalla rivalutazione annuale a partire da quella data fino al pensionamento (decorrente anche molti anni dopo) senza pagare alcunché; con la conseguenza che, mentre per i pensionati del Fondo detta rivalutazione trovava copertura nel contributo di solidarietà, per coloro che erano ancora in servizio la rivalutazione non trovava alcuna forma di copertura, con conseguente squilibrio finanziario.
5. La giurisprudenza di legittimità era, però, orientata (cfr., tra le altre, Cass. n. 11732/09; Cass. n. 13454/10; Cass. n. 3452/11) nel senso che il contributo di solidarietà non dovesse gravare sulle retribuzioni dei dipendenti in servizio, dando preminente rilievo al fatto che la legge lo impone sulle “prestazioni integrative”, da intendersi, con tale espressione, le prestazioni riguardo alle quali (ancorché non erogate, stante la contrapposizione ricavabile dall’utilizzo, nell’art. 64, comma 5, della disgiuntiva “o”) si sia perfezionato il relativo diritto; diritto che sorge, secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, non soltanto per effetto delle “anzianità contributive maturate alla data del 1.10.1999” (riconosciute dal comma 3), ma nella ricorrenza di tutti gli altri presupposti costitutivi – contemplati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari – tra cui l’intervenuta cessazione dal servizio.
6. Con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 18, comma 19, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. Ili, il legislatore è intervenuto, con norma dichiaratamente di interpretazione autentica, affermando che “Le disposizioni di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64, comma 5, si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio. In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”.
7. La regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata non si presta ad equivoci: il contributo di solidarietà è dovuto sia dagli ex dipendenti sulle prestazioni integrative in godimento, sia dai lavoratori ancora in servizio e, in questo caso, è calcolato sul “maturato” della pensione integrativa al 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione.
8. La Consulta, chiamata a verificare la conformità di questa norma alla Costituzione, ha dichiarato, con sentenza n. 156/14, non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (CEDU).
Dopo avere precisato come l’intervento del legislatore – come già rilevato in precedenti pronunce – in tema di interpretazione autentica può trovare giustificazione quando questo, risolvendosi nella enucleazione di una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, sia volto a superare una situazione di oggettiva incertezza di tale testo e non incida su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, la Corte Costituzionale ha affermato che la disposizione censurata è non solo dichiaratamente di interpretazione autentica, ma anche effettivamente tale, una volta che, come riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione, nella norma interpretata l’espressione “prestazioni integrative maturate” può legittimamente essere letta, ai fini della imposizione del contributo di solidarietà, anche come alternativa a “prestazioni integrative erogate”, ove si consideri sia la disgiuntiva “o” posta tra di esse, come pure la circostanza che quando il legislatore ha voluto limitare la contribuzione di solidarietà ai soli trattamenti pensionistici già in godimento, lo ha precisato in modo chiaro, usando il termine “corrisposti” (equivalenti di erogati) e senza alcun richiamo a quelli semplicemente maturati (sentenze n. 11092, n. 11087, n. 1497, n. 237 del 2012 e n. 22973 del 2011).
Ha aggiunto che è innegabile che esistesse, nella specie, in ordine all’applicazione della norma interpretata, “una situazione di oggettiva incertezza, tradottasi in un conclamato contrasto di giurisprudenza destinato, per altro, a riproporsi in un gran numero di giudizi”, come affermato da Cass. n. 7099/14, stante l’assenza di un intervento risolutore delle Sezioni unite, che potesse consolidare una delle due opzioni interpretative in termini di diritto vivente. Con la conseguenza che lo ius superveniens non è suscettibile, in questo caso, di incidere su posizioni giuridiche acquisite, né su un affidamento che non poteva essere riposto su una disciplina di così controversa esegesi ed applicazione.
Per contro, ha infine precisato la Consulta, va riconosciuta la rispondenza della impugnata disposizione interpretativa ad obiettivi d’indubbio interesse generale, e di rilievo costituzionale, quali, in primo luogo, quello della certezza del diritto e, parallelamente, quelli del ripristino dell’uguaglianza e della solidarietà, all’interno di un sistema di previdenza nel quale l’incremento del “maturato”, per effetto della rivalutazione, sarebbe stato, altrimenti, conseguito dai dipendenti in servizio senza contribuzione alcuna, mentre la rivalutazione delle prestazioni erogate ai pensionati trovava copertura nel contributo in questione, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento (tra iscritti ai fondi soppressi) e squilibrio finanziario nella gestione della previdenza integrativa.
9. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la difesa dei resistenti, nel dare atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la norma di interpretazione autentica, come sopra scrutinata, deduce che essa ha carattere innovativo ed è quindi palesemente illegittima, avendo altresì disposto, con il secondo periodo, che “il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa”. Con tale ultima disposizione è stato infatti conferito, per la prima volta, agli enti pubblici gestori di previdenza integrativa il diritto, precedentemente inesistente, di operare la trattenuta sulla retribuzione corrente, attribuendo ad essi uno ius renitendi che l’art. 64 non aveva attribuito.
Deposita, altresì, la difesa dei resistenti ordinanza del Tribunale di Torino del 25 marzo 2014, con la quale viene sollevata nuovamente questione di legittimità costituzionale della disposizione di interpretazione autentica sopra indicata e chiede che la presente controversia venga decisa all’esito della pronuncia della Corte Costituzionale.
10. Osserva il Collegio, quanto al carattere innovativo della norma di interpretazione autentica dedotto dai resistenti, che la relativa questione di legittimità costituzionale – che implicitamente sollevano i resistenti, deducendo la palese illegittimità della disposizione -, è inammissibile, oltre che infondata.
Inammissibile, in quanto non vengono specificati i principi costituzionali con i quali la norma si porrebbe in contrasto.
Infondata perché la norma di interpretazione autentica, nell’imporre per legge una interpretazione desumibile dalla norma interpretata, va letta tenendo conto del contesto normativo in cui quest’ultima è inserita e si salda con essa, dando luogo a un precetto normativo unitario (C. Cost. n. 424 del 1993), senza introdurre un regime peggiorativo rispetto alla precedente disciplina.
11. Va invece respinta la richiesta di rinvio del presente giudizio in attesa della nuova pronuncia della Corte Costituzionale, essendo stati dedotti con l’ordinanza sopra citata – oltre al carattere innovativo della norma di interpretazione autentica di cui s’è detto e in ordine al quale, anche qui, non vengono indicati i parametri di costituzionalità – gli stessi profili di illegittimità costituzionale sui quali la Consulta si è già pronunciata con la sentenza n. 156/14, sopra menzionata.
12. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, ex art. 378, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dagli odierni intimati.
13. La complessità delle questioni trattate e l’intervento risolutore del legislatore con la indicata disposizione, giustificano la compensazione, tra le parti costituite, delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le originarie domande. Compensa fra le parti costituite le spese dell’intero processo.

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