Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 1 aprile 2014, n. 7555
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6118-2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 21/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 29/02/2012 R.G.N. r.g.n. 295/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
La Corte:
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza depositata in data 29 febbraio 2012 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimita’ del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 29 febbraio 2000 da (OMISSIS) s.p.a. con (OMISSIS) e per l’effetto aveva dichiarato la sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 1 marzo 2000 ed aveva condannato (OMISSIS) s.p.a. a riammettere la lavoratrice nel posto di lavoro. Con la stessa sentenza, la Corte territoriale, riformando sul punto la decisione di prime cure, ha condannato (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, a favore della lavoratrice sopra indicata, di una somma pari a otto mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione e interessi legali “come per legge dal contratto di lavoro al saldo”, a titolo di risarcimento del danno Legge n. 183 del 2010, ex articolo 32.
2. Per la cassazione delle suddette sentenze (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. Come si evince dalla sentenza impugnata (OMISSIS) e’ stata assunta con contratto a tempo determinato stipulato, in data 29 febbraio 2000, ai sensi dell’articolo 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione …
5. La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimita’ del termine, alla considerazione che il contratto in esame e’ stato stipulato in data successiva al 30 aprile 1998. Sotto altro profilo ha rigettato l’eccezione, formulata da (OMISSIS) s.p.a., di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
6. Con il primo motivo la societa’ ricorrente censura (denunciando violazione dell’articolo 1372 c.c., commi 1 e 2 nonche’ vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
7. La censura e’ infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.
8. La statuizione sulla illegittimita’ del termine e’ stata censurata con il secondo motivo, col quale la societa’ ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e segg. cod. civ. nonche’ vizio di motivazione deducendo l’erronea interpretazione, da parte della Corte territoriale, di norme collettive dalla stessa richiamate nella motivazione della sentenza impugnata.
9. La censura e’ infondata e deve essere pertanto rigettata.
10. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, e’ stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, Legge n. 56 del 1987, ex articolo 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla Legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresi’ Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove pero’, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’articolo 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della Legge 18 aprile 1962, n. 230, articolo 1 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11. Con il terzo e quarto motivo, che devono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, la societa’ ricorrente censura (denunciando violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 8, della Legge n. 183 del 2010, articolo 32 e dell’articolo 429 cod. proc. civ. nonche’ vizio di motivazione) la statuizione concernente le conseguenze economiche della declaratoria dell’illegittimita’ del termine. Deduce, sotto un primo profilo, che, nella determinazione dell’indennita’ prevista dalla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, la Corte non aveva tenuto conto dei criteri indicati dal citato articolo 8 e comunque non aveva motivato sul punto. Sotto altro profilo allega che la Corte non aveva spiegato le ragioni per cui aveva escluso l’applicabilita’ alla fattispecie in esame del limite massimo (sei mesi) di mensilita’ previsto dalla Legge n. 183 del 2010 articolo 32, comma 6. Sotto un terzo profilo contesta la condanna al pagamento degli accessori di legge (interessi legali e rivalutazione monetaria) maturati sull’indennita’ ex articolo 32 cit.. Deduce che gli accessori non sarebbero dovuti atteso il carattere onnicomprensivo dell’indennita’.
12. Le prime due censure sono prive di fondamento.
13. Va premesso che, come gia’ precisato da questa Corte di legittimita’ (Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056), l’indennita’ di cui all’articolo 32 della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed e’ liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato articolo 32 (che richiama i criteri indicati nella Legge n. 604 del 1966, articolo 8), a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennita’ forfetizzata e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullita’ del termine nel periodo cd. intermedio (e cioe’ dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto). In senso conforme a quanto gia’ affermato dalla Corte costituzionale e da questa Corte di legittimita’ e’ stata poi emanata la Legge n. 92 del 2012 che, all’articolo 1, comma 13, con norma di interpretazione autentica ha cosi’ disposto: La disposizione di cui alla Legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5 si interpreta nel senso che l’indennita’ ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
14. Sulla base di tali premesse e, in applicazione dei principi generali in materia di sindacato di legittimita’, con particolare riferimento all’articolo 360 cod. proc. civ., deve affermarsi, coerentemente con quanto piu’ volte affermato da questa Corte in tema di indennita’ di cui alla Legge n. 604 del 1966, articolo 8 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennita’ de qua spetta al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
15. Nel caso in esame la Corte territoriale ha tenuto conto, come si evince dalla motivazione, in relazione ai criteri stabiliti nella Legge n. 604 del 1966, articolo 8, delle dimensioni nazionali della societa’ datrice di lavoro e della limitata anzianita’ di servizio della lavoratrice ed ha concluso nel senso che ha ritenuto congruo determinare l’indennita’ onnicomprensiva “in prossimita’ del termine medio delle otto mensilita’, nell’assenza di deduzioni specifiche tali da giustificare una liquidazione superiore o inferiore”. Deve pertanto escludersi che sia incorsa nella denunciata violazione di legge ovvero nel vizio di assenza, illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione.
16. E altresi’ infondata la censura riferita alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 6. Appare infatti evidente che la presenza di contratti o accordi collettivi “che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato di lavoratori gia’ occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta e non gia’ ipotetica o astratta. Una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 Cost. in quanto attribuirebbe un uguale trattamento a situazioni del tutto differenti, come, da un lato, quella dei lavoratori che sono in condizione di optare per la stabilizzazione e, dall’altro, quella dei lavoratori che non possono esercitare tale opzione. Cio’ che rileva, al fine della riduzione alla meta’ del limite massimo previsto dalla norma, e’ la possibilita’ di una applicazione in concreto dei citati contratti o accordi collettivi. Orbene, la stessa societa’ riconosce (cfr. ricorso per cassazione) che, nel caso di specie, non era possibile, alla data di emissione della sentenza impugnata, l’adesione della lavoratrice agli accordi di stabilizzazione.
17. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e pertanto anche tale censura deve essere rigettata.
18. E invece fondata, nei limiti di seguito indicati, la censura con il quale la societa’ deduce, in sostanza, che l’indennita’ di cui all’articolo 32 cit. non sarebbe suscettibile di alcuna maggiorazione a titolo di interessi e/o rivalutazione monetaria non essendo applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’articolo 429 cod. proc. civ..
19. Ed infatti l’indennita’ in esame deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex articolo 429 c.p.c., comma 3, giacche’, come piu’ volte affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati Legge n. 300 del 1970, ex articolo 18, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennita’ Legge n. 604 del 1966, ex articolo 8, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex articolo 2087 cod. civ., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024). D’altra parte l’indennita’ in esame rappresenta comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei danni conseguenti alla nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto. Va peraltro precisato che dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex articolo 429 c.p.c., comma 3, sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa. Orbene, l’impugnata sentenza, che ha condannato (OMISSIS) s.p.a. al pagamento “della indennita’ onnicomprensiva … nella misura di otto mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ISTAT accessori come per legge dal contratto di lavoro al saldo” non ha correttamente applicato il suddetto principio.
20. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta. Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, decidendo nel merito ai sensi dell’articolo 384 cod. proc. civ., determina la decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria sull’indennita’ in questione dalla data della sentenza che ha liquidato l’indennita’.
21. Tenuto conto dell’esito della controversia si ritiene conforme a diritto confermare le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6118-2013 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 21/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 29/02/2012 R.G.N. r.g.n. 295/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
La Corte:
RILEVATO
Che:
1. Con sentenza depositata in data 29 febbraio 2012 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato l’illegittimita’ del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in data 29 febbraio 2000 da (OMISSIS) s.p.a. con (OMISSIS) e per l’effetto aveva dichiarato la sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 1 marzo 2000 ed aveva condannato (OMISSIS) s.p.a. a riammettere la lavoratrice nel posto di lavoro. Con la stessa sentenza, la Corte territoriale, riformando sul punto la decisione di prime cure, ha condannato (OMISSIS) s.p.a. al pagamento, a favore della lavoratrice sopra indicata, di una somma pari a otto mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione e interessi legali “come per legge dal contratto di lavoro al saldo”, a titolo di risarcimento del danno Legge n. 183 del 2010, ex articolo 32.
2. Per la cassazione delle suddette sentenze (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso illustrato da memoria; la lavoratrice ha resistito con controricorso.
3. Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.
4. Come si evince dalla sentenza impugnata (OMISSIS) e’ stata assunta con contratto a tempo determinato stipulato, in data 29 febbraio 2000, ai sensi dell’articolo 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione …
5. La Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimita’ del termine, alla considerazione che il contratto in esame e’ stato stipulato in data successiva al 30 aprile 1998. Sotto altro profilo ha rigettato l’eccezione, formulata da (OMISSIS) s.p.a., di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
6. Con il primo motivo la societa’ ricorrente censura (denunciando violazione dell’articolo 1372 c.c., commi 1 e 2 nonche’ vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso.
7. La censura e’ infondata; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto), per la configurabilita’ di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ alla stregua delle modalita’ di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.
8. La statuizione sulla illegittimita’ del termine e’ stata censurata con il secondo motivo, col quale la societa’ ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e segg. cod. civ. nonche’ vizio di motivazione deducendo l’erronea interpretazione, da parte della Corte territoriale, di norme collettive dalla stessa richiamate nella motivazione della sentenza impugnata.
9. La censura e’ infondata e deve essere pertanto rigettata.
10. Ed infatti, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, e’ stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, Legge n. 56 del 1987, ex articolo 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla Legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresi’ Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove pero’, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’articolo 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della Legge 18 aprile 1962, n. 230, articolo 1 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.). La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
11. Con il terzo e quarto motivo, che devono essere esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, la societa’ ricorrente censura (denunciando violazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 8, della Legge n. 183 del 2010, articolo 32 e dell’articolo 429 cod. proc. civ. nonche’ vizio di motivazione) la statuizione concernente le conseguenze economiche della declaratoria dell’illegittimita’ del termine. Deduce, sotto un primo profilo, che, nella determinazione dell’indennita’ prevista dalla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 5, la Corte non aveva tenuto conto dei criteri indicati dal citato articolo 8 e comunque non aveva motivato sul punto. Sotto altro profilo allega che la Corte non aveva spiegato le ragioni per cui aveva escluso l’applicabilita’ alla fattispecie in esame del limite massimo (sei mesi) di mensilita’ previsto dalla Legge n. 183 del 2010 articolo 32, comma 6. Sotto un terzo profilo contesta la condanna al pagamento degli accessori di legge (interessi legali e rivalutazione monetaria) maturati sull’indennita’ ex articolo 32 cit.. Deduce che gli accessori non sarebbero dovuti atteso il carattere onnicomprensivo dell’indennita’.
12. Le prime due censure sono prive di fondamento.
13. Va premesso che, come gia’ precisato da questa Corte di legittimita’ (Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056), l’indennita’ di cui all’articolo 32 della legge n. 183 del 2010 configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed e’ liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato articolo 32 (che richiama i criteri indicati nella Legge n. 604 del 1966, articolo 8), a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore, trattandosi di indennita’ forfetizzata e onnicomprensiva per i danni causati dalla nullita’ del termine nel periodo cd. intermedio (e cioe’ dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto). In senso conforme a quanto gia’ affermato dalla Corte costituzionale e da questa Corte di legittimita’ e’ stata poi emanata la Legge n. 92 del 2012 che, all’articolo 1, comma 13, con norma di interpretazione autentica ha cosi’ disposto: La disposizione di cui alla Legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5 si interpreta nel senso che l’indennita’ ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
14. Sulla base di tali premesse e, in applicazione dei principi generali in materia di sindacato di legittimita’, con particolare riferimento all’articolo 360 cod. proc. civ., deve affermarsi, coerentemente con quanto piu’ volte affermato da questa Corte in tema di indennita’ di cui alla Legge n. 604 del 1966, articolo 8 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15 maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennita’ de qua spetta al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
15. Nel caso in esame la Corte territoriale ha tenuto conto, come si evince dalla motivazione, in relazione ai criteri stabiliti nella Legge n. 604 del 1966, articolo 8, delle dimensioni nazionali della societa’ datrice di lavoro e della limitata anzianita’ di servizio della lavoratrice ed ha concluso nel senso che ha ritenuto congruo determinare l’indennita’ onnicomprensiva “in prossimita’ del termine medio delle otto mensilita’, nell’assenza di deduzioni specifiche tali da giustificare una liquidazione superiore o inferiore”. Deve pertanto escludersi che sia incorsa nella denunciata violazione di legge ovvero nel vizio di assenza, illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione.
16. E altresi’ infondata la censura riferita alla Legge n. 183 del 2010, articolo 32, comma 6. Appare infatti evidente che la presenza di contratti o accordi collettivi “che prevedano l’assunzione anche a tempo indeterminato di lavoratori gia’ occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in relazione alla fattispecie concreta e non gia’ ipotetica o astratta. Una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 Cost. in quanto attribuirebbe un uguale trattamento a situazioni del tutto differenti, come, da un lato, quella dei lavoratori che sono in condizione di optare per la stabilizzazione e, dall’altro, quella dei lavoratori che non possono esercitare tale opzione. Cio’ che rileva, al fine della riduzione alla meta’ del limite massimo previsto dalla norma, e’ la possibilita’ di una applicazione in concreto dei citati contratti o accordi collettivi. Orbene, la stessa societa’ riconosce (cfr. ricorso per cassazione) che, nel caso di specie, non era possibile, alla data di emissione della sentenza impugnata, l’adesione della lavoratrice agli accordi di stabilizzazione.
17. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e pertanto anche tale censura deve essere rigettata.
18. E invece fondata, nei limiti di seguito indicati, la censura con il quale la societa’ deduce, in sostanza, che l’indennita’ di cui all’articolo 32 cit. non sarebbe suscettibile di alcuna maggiorazione a titolo di interessi e/o rivalutazione monetaria non essendo applicabile alla fattispecie la disposizione di cui all’articolo 429 cod. proc. civ..
19. Ed infatti l’indennita’ in esame deve essere annoverata fra i crediti di lavoro ex articolo 429 c.p.c., comma 3, giacche’, come piu’ volte affermato da questa Corte, tale ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (cfr., ad esempio, per i crediti liquidati Legge n. 300 del 1970, ex articolo 18, Cass. 23 gennaio 2003 n. 1000; Cass. 6 settembre 2006 n. 19159; per l’indennita’ Legge n. 604 del 1966, ex articolo 8, Cass. 21 febbraio 1985 n. 1579; per le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno ex articolo 2087 cod. civ., Cass. 8 aprile 2002 n. 5024). D’altra parte l’indennita’ in esame rappresenta comunque il ristoro (sia pure forfetizzato e onnicomprensivo) dei danni conseguenti alla nullita’ del termine apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto. Va peraltro precisato che dalla natura di liquidazione forfettaria e onnicomprensiva del danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex articolo 429 c.p.c., comma 3, sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della sentenza che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa. Orbene, l’impugnata sentenza, che ha condannato (OMISSIS) s.p.a. al pagamento “della indennita’ onnicomprensiva … nella misura di otto mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ISTAT accessori come per legge dal contratto di lavoro al saldo” non ha correttamente applicato il suddetto principio.
20. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alla censura accolta. Poiche’ non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, decidendo nel merito ai sensi dell’articolo 384 cod. proc. civ., determina la decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria sull’indennita’ in questione dalla data della sentenza che ha liquidato l’indennita’.
21. Tenuto conto dell’esito della controversia si ritiene conforme a diritto confermare le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito fissa nella data della sentenza che ha statuito sulla conversione la decorrenza degli accessori concernenti l’indennita’ ai sensi della Legge n. 183 del 2010, articolo 32. Conferma le statuizioni dei giudici di merito in tema di spese processuali e compensa le spese del giudizio di cassazione.
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