Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

ordinanza 16 ottobre 2014, n. 21888

Fatto e diritto

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
“Con sentenza n. 1554/2010, depositata in data 31 dicembre 2010, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Crotone, riconosceva in favore di M.G. l’assegno mensile di invalidità con decorrenza dall’1/1/2008 e cioè dal momento della provata mancanza di occupazione ai sensi della legge n. 244 del 24/12/2007.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’I.N.P.S. affidato ad un motivo.
M.G. è rimasta solo intimata.
Con l’unico articolato motivo l’I.N.P.S. denuncia violazione e errata applicazione dell’art. 13 della legge n. 118 del 1971 nel testo sostituito dall’art. 1, comma 35, della l. n. 247/2007, dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.. Si duole del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto che, con l’entrata in vigore della legge n. 247/2007, possa ritenersi superata la necessità di offrire giudizialmente la prova del requisito della mancata occupazione. Osserva, al riguardo, che anche dopo la modifica introdotta dall’art. 1, comma 35 L. n. 247 cit., il requisito dell’incollocazione al lavoro si configura quale elemento costitutivo del diritto all’assegno di assistenza per cui era onere dell’interessata allegare e provare il mancato svolgimento di attività lavorativa. In questa prospettiva sottolinea che la dichiarazione sostitutiva che l’interessata era tenuta a presentare annualmente all’I.N.P.S., di non svolgere attività lavorativa, valeva solo a semplificare l’iter procedimentale ed i rapporti tra il cittadino e la Pubblica Amministrazione ma non poteva sortire alcun effetto in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio in sede giudiziale.
Il ricorso è manifestamente fondato.
Questa Corte ha affermato che anche dopo la novella introdotta dall’art. 1, comma 35 della L. n. 247 del 2007, il mancato svolgimento di attività lavorativa costituisce elemento costitutivo del diritto all’assegno di assistenza la cui prova, peraltro, non può essere fornita in giudizio mediante mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con le formalità previste dalla legge per le autocertificazioni (Cass. 20 dicembre 2010, n. 25800; id. 11 febbraio 2011, n. 3552; 28 agosto 2013, n. 19833; 3 marzo 2014, n. 4942).
La Corte di appello di Catanzaro non si è attenuta a tale principio in quanto, esclusa la necessità della iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio, non ha svolto alcun accertamento in ordine al requisito del mancato svolgimento di attività lavorativa.
In conclusione, si propone l’accoglimento del ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice, che farà applicazione dell’indicato principio di diritto, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5”.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia e che ricorra con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – Conseguentemente, il ricorso va accolto e va cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla. Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.

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