La massima

La responsabilità del datore di lavoro – art. 2087 c.c. – ha natura contrattuale e tale disposizione codicistica costituisce una norma di chiusura del sistema antinfortunistico, la quale obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità psicofisica dei propri dipendenti imponendogli l’adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene della salute nell’ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa Speciale.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

sentenza n. 9173 dell’8 marzo 2012

 

Fatto
1. Con sentenza del 29/11/2006 il Tribunale di Prato condannava S.F. alla pena di mesi due di reclusione per il delitto di lesioni colpose in danno dell’operaia R.P. (acc. in Prato il 25/9/2002). L’imputato ed il responsabile civile “P.” s.r.l. venivano, inoltre, condannati in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidare in separato giudizio, riconoscendo una provvisionale di € 10.000.
All’imputato veniva addebitato che, in qualità di datore di lavoro, aveva consentito, anche per scarsa informazione, che l’operaia provvedesse alla rimozione di rolle sui tamburi della macchina denominata “filatoio ad anelli”, mentre era in moto e senza presidi idonei per intervenire a tale finalità, così determinando l’asportazione di due falangi della mano sinistra.
2. Con sentenza del 26/2/2009 la Corte di Appello di Firenze confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte che :
– l’incidente era avvenuto mentre l’operaia operava presso una macchina denominata “filatoio ad anelli”;
– al momento del fatto la R. stava rimuovendo, a macchina in moto, rolle di fibre che si erano accumulate a cagione di un cattivo funzionamento;
– l’area agli organi in movimento era accessibile e non protetta;
– la R. aveva riferito che, per disposizione

del datore di lavoro, di regola, il detto intervento doveva essere effettuato senza fermare la filatrice; riscontro di tale disposizione vi era la circostanza che l’operaia aveva in dotazione un gancio fornito dall’azienda per svolgere l’operazione; detto gancio sarebbe stato inutile, se la pulizia fosse stata prevista da effettuare a macchina ferma.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando :
3.1. la erronea applicazione della legge ed il difetto di motivazione, laddove il capo di imputazione aveva contestato la violazione dell’art. 141 d.P.R. 547 del 1955 relativo al “montaggio”, mentre invece con la condanna si era affermato che l’infortunio era avvenuto mentre la R. stava eliminando un ostacolo al funzionamento della macchina; pertanto insussistente era l’addebito di colpa specifica;
3.2. il difetto di motivazione laddove la corte non aveva rilevato che ‘operazione che la R. stava svolgendo ben poteva essere effettuata a macchina in movimento (v. dep. ispettore T.), se solo avesse utilizzato i ganci fornitile, per tagliare le fibre e consentire la ripresa della filatura. Inoltre la sentenza non motivava sulle contraddizioni interne alla deposizione della persona offesa ed al fatto che altri testi non avevano confermato le sua dichiarazioni.

Diritto

3. I  motivi di censura sono infondati, ma la sentenza deve essere annullata agli effetti penali per intervenuta prescrizione.
3.1. E’ da premettere che l’art. 141 del d.P.R. 547 del 1955, nel dettare regole relativamente alle macchine per filare, stabilisce che “il montaggio sui tamburi delle macchine indicate nell’articolo precedente delle funicelle di comando dei fusi deve essere fatto a macchina ferma. È tuttavia consentito il montaggio a macchina in moto, ferma restando l’osservanza delle disposizioni di cui al predetto articolo, a condizione che all’operazione sia adibito personale esperto fornito di appositi attrezzi, quali anello o asticciola con gancio”. Ciò premesso, con il primo motivo di censura la difesa dell’imputato ha lamentato la violazione del principio di correlazione, laddove allo S. era stato contestato il delitto in relazione ad un’incauta operazione di “montaggio” sui tamburi di una macchina con filatoio ad anelli, mentre invece l’infortunio era avvenuto durante un’operazione di manutenzione e cioè la rimozione di cascami che non consentivano il regolare funzionamento della macchina. La Corte di merito, nel respingere l’eccezione, ha rilevato come l’infortunio si era verificato durante un’operazione del tutto simile a quella prevista dalla disposizione di cui all’art. 141 d.P.R. 547 del 1955.
Sul punto va osservato che

l’attribuzione allo S. di un titolo di colpa diverso non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Infatti, premesso che le modalità dell’incidente sono state chiarite in modo inequivocabile durante l’istruttoria dibattimentale e che pertanto su tali circostanze l’imputato è stato messo in grado di difendersi, va ricordato come questa corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, abbia statuito che “Nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d’imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l’aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Difatti, il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata in riferimento all’evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (Cass. IV, 38818/05, D.B.; conf. Cass. I, 11538/97, G.; Cass. IV, 2393/05, T.; Cass. IV, 31968/09, R.).
Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051).
Ne consegue da quanto detto che la censura formulata è infondata, sebbene non in modo manifesto.
3.2. In ordine alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato, la Corte di merito, nel confermare la pronuncia di primo grado, ha evidenziato come l’infortunio si sia verificato mentre la R stava rimuovendo a mano delle “rolle” accumulatesi sulla macchina “filatoio ad anelli” che ne impediva il regolare funzionamento. Tale operazione era stata svolta a macchina in movimento e l’incauto intervento aveva determinato la lesione all’arto (amputazione

delle falangi di due dita della mano sinistra).
Contrariamente a quanto riferito dalla persona offesa, la difesa dell’imputato sostiene che i lavoratori erano informati del fatto che la manutenzione dovesse essere svolta a macchina ferma; inoltre il gancio fornito in dotazione era strumento idoneo allo scopo di sicurezza e garantiva il non avvicinamento degli arti agli strumenti operativi della macchina.
Il giudice di merito sul punto, con coerente e logica motivazione, ha osservato come la dotazione di un gancio avallava la attendibilità della deposizione della R., in quanto tale mezzo consentiva la manutenzione a macchina in movimento, anche a personale non specificamente formato. In ogni caso il filatoio non era dotato di mezzi di protezione e gli organi in movimento erano esposti ed accessibili, senza alcun presidio idoneo a prevenire il pericolo. Né può attribuirsi ad un comportamento negligente della persona offesa la causa dell’incidente. Infatti, non solo l’operazione a macchina in movimento presso l’azienda dello S. era consentita, ma come questa Corte ha più volte ribadito, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta incauta del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (ex plurimis, Cass.4, n. 21587/07, rie. Pelosi, rv. 236721). Nel caso di specie, come correttamente segnalato nella sentenza di merito, la R. ha patito l’infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro presso la macchina che gli ha procurato l’infortunio e che era priva di adeguati dispositivi di protezione. Pertanto la circostanza che la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un eccesso di sicurezza ed in adempimento di prassi aziendali, abbia avvicinato imprudentemente la mano agli organi in movimento della filatrice, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse era proprio preordinate ad evitare il rischio specifico (lesione alla mano sinistra) che poi concretamente si è materializzato nell’infortunio in danno della R. Ne consegue che anche tale motivo di impugnazione è infondato.
3.3. La infondatezza del ricorso conduce al suo rigetto solo agli effetti civili. Infatti agli effetti penali la sentenza deve essere annullata per intervenuta prescrizione : fatto del 25/9/2002; prescrizione ordinaria comprensiva di interruzione (sette anni e mesi sei), maturata al 25/3/2010, a cui vanno aggiunti giorni 110 di sospensione del corso della prescrizione per rinvii di udienze, che spostano la definitiva data di estinzione del delitto al 15/7/2010.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché estinto il reato per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.

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