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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza n. 48226 del 13 dicembre 2012

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale dl Trapani, con sentenza del 6/4/2009, condannò B. S., medico, specialista in chirurgia ginecologica, P. G. specialista in chirurgia, e M. G., medico in servizio presso la casa di cura V., sanitaria addetta alla formazione della cartella clinica, tutti in relazione al delitto dl cui agli artt. 113, 590, comma 2, 583, comma 2, n. 3, cod. pen., commesso ai danni di N. G. e la sola M. G. in relazione al delitto di cui all’art. 476, cod. pen., concesse le attenuanti generiche, con criterio di equivalenza, in favore del P. G. e della M. G. alle pene stimate di giustizia. Inoltre, con la detta sentenza gli imputati venivano condannati, in solido, a risarcire i danni procurati alla P.C., da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese legali, imponendo provvisionale di €. 40.000,00.
1.1. La Corte d’appello di Palermo, investita della cognizione impugnatoria dall’appello proposto da tutti gli imputati, con sentenza del 29/6/2011, confermò la statuizione di primo grado.
1.2. Questa, in estrema sintesi, la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito da prendere in considerazione nel presente giudizio di legittimità.
N. G., sottopostasi a visita ginecologica presso lo studio privato dell’imputato B. S. a distanza di una quindicina di giorni, secondo le indicazioni che lo specialista le aveva dato, si recò presso la casa di cura V., sita in Erice, presso la quale il B. S. avrebbe dovuto eseguire, in laparoscopia, l’asportazione dell’ovaio destro, affetto da una cisti. Avendo la M. G. trascritto sulla cartella che l’intervento avrebbe dovuto interessare l’ovaio sinistro e non avendo effettuato, sia B. S., in qualità di capo chirurgo, che il P. G., in qualità di aiuto chirurgo, alcuna verifica di controllo, veniva erroneamente asportato l’ovaio sinistro, non interessato dalla patologia, così procurando l’indebolimento permanente dell’organo preposto alla procreazione. Inoltre alla M. G. veniva rimproverato di avere alterato le annotazioni sulla cartella clinica, cangiando l’indicazione di ><sinistro>> in quella di <<destro>>.
2. Gli imputati B. S. e M. G. proponevano ricorso per Cassazione.
2.1. B. S. con l’unitario, articolato motivo, denunziando violazione di legge e difetto di motivazione (art. 606, lett. b ed in relazione agli artt. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., 43, 47 e 590, cod. pen.), contesta il vaglio probatorio e, più in generale, le conclusioni della Corte territoriale.
Queste, in sintesi, le questioni che il ricorrente pone all’esame dei Collegio.
a) L’asserto secondo il quale l’errore esecutivo si sarebbe evitato ove i chirurghi avessero consultato, in limine o in corso d’intervento, la documentazione sanitaria supportante il trattamento chirurgico, trovava smentita nel <<principio di affidamento>> e in quello della <<medicina dell’evidenza>>. L’operatore, quanto al primo principio, non poteva non fidarsi dell’attività svolta dai medici che in precedenza si erano occupati del caso e, quindi, nella specie, di quella della M. G., la quale aveva raccolto i dati anamnestici e le indicazioni diagnostiche in sede di accettazione della paziente. In particolare la dott.ssa M. G., pur avendo visionato il <<cartellino verde>>, consegnatole dalla N. G., redatto dal B. S. nel corso della visita diagnostica, aveva indicato erroneamente l’ovaio da estirpare. Quanto al secondo principio, la Corte territoriale non aveva considerato che durante l’intervento in laparoscopia l’operatore, attraverso la visione sul monitor degli organi interni, trovasi nella condizione di rimediare ad eventuali errori diagnostici. Il che nel caso di specie non era avvenuto per il fortuito concomitare della sfavorevole circostanza, costituente <<incredibile fatalità>>, che, nel mentre l’ovaio destro malato, medio tempore, si era normalizzato, apparendo sano, quello di sinistra si presentava notevolmente aumentato di volume.

Queste osservazioni, che univocamente conducevano a ritenere scusabile l’errore, aveva brillantemente illustrato il C.T. prof. M. P., senza essere stato preso in considerazione dal giudici di merito.
Assume il ricorrente che la natura dell’errore in parola imponeva l’applicazione dell’art. 47, cod. pen. e l’esclusione della sussistenza della volontà, a causa della difettosa rappresentazione della realtà da parte dell’agente.
b) L’aggravante dell’indebolimento permanente dell’organo della riproduzione andava esclusa e, pertanto, ridotta la pena: il giudice di secondo grado, limitandosi ad una motivazione apparente, aveva ipotizzato pregiudizio all’equilibrio ormonale e psichico, che attiene all’aspetto del danno e non della prova dell’indebolimento d’organo.
2.2. M. G. con il primo motivo lamenta violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 113 e 590, cod. pen., per non essere stato rilevato che l’imputata era stata indotta in errore scusablle dalla stessa p.o.
Inoltre, i medici operatori non avrebbero potuto iniziare l’intervento chirurgico prima di aver preso visione del c.d, <<cartellino verde>>, che per prassi, da anni, si utilizzava in clinica, che non era stato affatto consegnato dalla paziente al medico addetto all’accettazione.
Illogicamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la consegna fosse, invece, avvenuta, sulla base dl testimonianza generica, smentita da altri elementi probatori, essendo stata, sul punto, equivoca anche la P.C., che aveva fatto riferimento alla consegna effettuata a mani di una non meglio identificata impiegata della clinica, che i testimoni della M. G. avevano indicato nel personale addetto all’ufficio amministrativo.
Inoltre, poiché, a dire della stessa Corte di merito, gli operatori poterono disporre di tutta la documentazione (incluso il cartellino di cui s’è detto) non era dato cogliere in che potesse consistere l’addebito alla ricorrente, la quale era stata tratta in inganno dalle erronee informazioni datele dalla paziente, che si era presentata sfornita della necessaria documentazione. Senza contare che il B. S., proprio perché aveva visitato la N. G. appena qualche giorno prima doveva essere agevolmente in grado di apprezzarne la patologia da cui era affetta.
Infine, la regola dell’affidamento non poteva esonerare i chirurghi dal dovere di controllo e verifica sulla base della documentazione che era in loro possesso.
2.3. Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 476, cod. pen., deduce «<<insussistenza della condotta di reato di falso ideologico per assoluta mancanza dell’elemento soggettivo doloso>>.
Colta di sorpresa dalle furibonde rimostranze della N. G., la dott.ssa M. G., visionato il <<cartellino verde>> sottopostole dalla paziente, pensando di essere incorsa in un mero errore di trascrizione, aveva corretto la parola <<destra>> in <<sinistra>>, peraltro apponendo la propria firma a margine. Di poi, passata la sfuriata della N. G., resasi conto che le cose non stavano come le aveva urlato contro costei, aveva ricorretto la cartella, ripristinando l’originaria annotazione, riapponendo nuova firma a margine, cosa che non avrebbe fatto se si fosse trovata in mala fede.

Di conseguenza, non si era perfezionato l’elemento soggettivo del reato richiesto dalla norma incriminatrice. <<E’ assolutamente illogico ritenere che l’imputata abbia voluto deliberatamente vergare di suo pugno una correzione del primo dato con l’intenzione di voler consapevolmente nascondere la verità del dato e poi, nell’immediatezza del fatto, ricorreggere la medesima annotazione ripristinando la verità dell’annotazione originaria. Ma quel che più appare troncante sul piano logico e del buon senso, appare la sottoscrizione del (…) doppio gesto grafico>>.
Ulteriormente evidenzia la ricorrente che a pag. 13 la Corte territoriale aveva affermato una sorta d’incomprensibile responsabilità oggettiva, sol perchè si trattava d’intervento che aveva interessato l’atto pubblico, che <<una volta annotat[o] esce dalla disponibilità del suo autore, sicché le eventuali modifiche apportate successivamente integrano il delitto di falso>>.
In definitiva, secondo l’assunto impugnatorio, si trattò di un mero errore di fatto, dal quale non potevasi trarre convincimento in ordine alla sussistenza del dolo, reso evidente dalla grossolanità e, peraltro, leggibilità, delle correzioni.
2.4 Con il terzo ed ultimo motivo la M. G. contesta il trattamento penale, giudicato eccessivamente severo, in assenza di
qualsivoglia circostanza a valenza negativa.

Considerato in diritto

3. Entrambi i ricorsi sono infondati, avendo la Corte territoriale fornito motivazione ampiamente soddisfattiva, senza, inoltre, incorrere nei denunziati errori di diritto.
4. Come puntualmente evidenziato dalla Corte d’appello di Palermo nessun <<principio di affldamento>> può invocare a propria discolpa il B. S., il quale, in spregio alla regola minima di prudenza e diligenza, aveva proceduto all’asportazione chirurgica sulla base di una mera annotazione cartacea, pur proveniente dal medico addetto all’accettazione, senza far luogo in sede preparatoria all’agevole, rapido e sicuro riscontro ecografico (precauzione, questa, reputata indispensabile dallo stesso C.T. di parte).
Anche l’invocazione del principio della <<medicina dell’evidenza>>, a ben vedere, appare fuori luogo se, come ammesso, peraltro, dallo stesso
imputato, la visione endoscopica, in casi del genere, non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l’ovaio malato da estirpare.
Costituisce principio di diritto solidamente affermato in sede di legittimità (Cass., IV, 26/6/2008, n. 40789; conf. n. 33519 del 2006) l’affermazione secondo la quale deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell’intervento, il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all’operazione senza aver prima proceduto al riscontro della stessa.
Ove, poi, si tenga conto che il B. S. sul quale incombeva la maggior responsabilità di capo dell’équipe medica operatoria (Cass., Sez-IV, n. 17222 del 5/3/2012), aveva solo qualche giorno prima visitato la paziente e dato l’indicazione chirurgica, l’errore appare franco ed eclatante.
4.1. Esaustiva e niente affatto apparente deve ritenersi la motivazione con la quale la Corte territoriale ha reputato la sussistenza dell’aggravante dell’indebolimento permanente dell’organo della riproduzione: a parte il sicuro pregiudizio dell’equilibrio ormonale e psichico non può seriamente dubitarsi del fatto che l’eliminazione dell’unico ovaio sano abbia lasciato la paziente, in età di fertilità, con infime chance di restare gravida nel futuro.
S. Non può la M. G. addurre a propria discolpa errore scusabile indottole dalla stessa paziente.
Anche a voler credere (ma le risultanze istruttorie enunciate convincentemente dal giudice di merito militano in senso contrario) che la p.o. non le consegnò il <<cartellino verde>> il medico addetto all’accettazione giammai avrebbe potuto avvalorare indicazione chirurgica fornita solo labialmente dalla stessa paziente, concernente, fra l’altro, organo presente in forma gemella nell’organismo.
La circostanza, poi, che, a loro volta, i chirurghi, e in specie il B. S., ebbero a commettere successivi gravi errori non la può certo dispensare dall’addebito penale.
5.1. Nessun dubbio sulla sussistenza del reato di falso contestato alla medesima ricorrente. Del tutto irrilevante, infatti, deve ritenersi la circostanza che l’alterazione del documento sia stata controfirmata dall’imputata, la quale, una volta formato l’atto, perciò uscito dalla sua disponibilità, non poteva più intervenire sullo stesso, modificandone, peraltro, radicalmente il contenuto (in termini, Cass., V, 11//2005, n. 35167) e pretendendo di avvalorarne l’alterazione con nuova sottoscrizione.
5.2. Infine, l’ultima censura afferente al trattamento sanzionatorio va giudicata inammissibile, in quanto aspecifica: non solo la sentenza gravata si era fatto carico di spiegare le ragioni della quantificazione sanzionatoria (prossima al minimo edittale), che le avevano fatto confermare una pena di mesi due, inferiore a quella inflitta al B. S. (tuttavia, colpevole del solo reato di lesioni) e non molto distante da quella di mesi uno inflitta all’aiuto chirurgo P. G. (colpevole del solo delitto di lesioni), ma la ricorrente non si perita di spiegare in cosa sia consistito il trattamento
deteriore a lei riservato rispetto agli altri imputati, cogliendosi, invece, e pienamente, le ragioni delle diversificazioni. Al capo chirurgo era andata la maggior riprovazione a riguardo del delitto di lesioni; all’aiuto chirurgo, più modesta riprovazione, avuto riguardo al ruolo avuto nella commissione del delitto e alla M. G., concorrente nel delitto di lesioni e colpevole del delitto di falso, l’equa pena di cui si è detto.
6. All’esposto consegue la condanna alle spese processuali e al rimborso delle spese legali affrontate dalla P.C., che si liquidano nella misura di giustizia di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 17/10/2012.

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