La massima

E’ responsabile del delitto continuato di cui all’articolo 609[1] bis cod. pen., commesso in danno della convivente, il soggetto che l’ha in più occasioni costretta ad avere rapporti anali ed orali contro la sua volontà. (Nel caso di specie la vittima era pienamente capace di distinguere tra rapporti consentiti e non consentiti e tra rapporti normali, nel senso di vaginali – rispetto ai quali non era stata dedotta violenza ma soltanto una accettazione controvoglia, e rapporti anali od orali, che la medesima invece aveva dichiarato di essere stata costretta a subire contro la sua manifestata volontà e con la forza, in almeno 4 occasioni.)

Il testo integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 5 ottobre 2011, n. 36073

sul ricorso proposto da:

1) CA. LU. N. IL (OMESSO);

avverso la sentenza n. 122/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del 03/06/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/09/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;

udito il P.G. in persona del Cons. Dott. STABILE Carmine che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per la parte civile, l’avv.             ;

udito il difensore avv.          .

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza con la quale Ca. Lu. è stato ritenuto responsabile del delitto continuato di cui all’articolo 609 bis cod. pen., commesso in danno della convivente Du. Ve. per averla in più occasioni, costretta ad avere rapporti anali ed orali contro la sua volontà, nel periodo tra il (OMESSO). All’imputato è stata infitta la pena di quattro anni di reclusione e la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Du., costituita parte civile, nella misura di 25000,00 euro. Ca. è stato invece assolto dal delitto di maltrattamenti originariamente contestato.

La Corte milanese è intervenuta a seguito di annullamento con rinvio da parte della 3 sezione penale di questa Corte di precedente sentenza, dello stesso tenore, nella quale era stata riscontrata una non adeguata motivazione su una serie di circostanze legate a supposte contraddizioni nella deposizione resa dalla parte lesa, in particolare con riferimento ai punti c), d), f), g), h), i), ed m) dei motivi di ricorso, nonche’ la omessa motivazione sulla assoluzione dal reato di maltrattamenti e la errata motivazione quanto alla omessa considerazione dell’avvenuto risarcimento dei danni ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione.

La Corte milanese ha preso in esame tutti questi punti, ha ritenuto attendibile la Du. e priva di contraddizioni e sufficientemente precisa la sua testimonianza, ed è pervenuta alla resa decisione.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Lamenta, con un primo motivo, che il giudice di rinvio, nonostante abbia dichiarato di volersi adeguare a quanto richiesto dalla sentenza di annullamento di questa Corte, non ha in realtà preso in esame – come dalla stessa prescritto – le eccepite discrasie in modo da supportare con riferimento a ciascuna di esse le specifiche ragioni poste a base della colpevolezza o quelle contrarie; esso si sarebbe limitato a confermare la piena attendibilità della parte lesa sulla base della sua piena capacità di distinguere tra rapporti ortodossi ed eterodossi e rapporti acconsentiti di controvoglia e episodi di vera e propria violenza, senza esaminare neppure uno dei punti specifici evidenziati; dunque l’intera argomentazione che vizia la prima pagina risulta viziata. Con il secondo motivo, attinente ai punti c) e d), il ricorrente rileva che la Corte di appello “con la seconda pagina della motivazione intende confortare quanto ha sostenuto nella prima facciata, in tema di inattendibilita’ della persona offesa attraverso una rilettura della sua deposizione”, prendendo in esame solo alcuni brani isolati della deposizione della persona offesa e dandone una lettura che si presta a censure di logicita’; in particolare non si tiene conto che la Du. aveva risposto a specifiche domande sull’epoca in cui aveva avuto rapporti consenzienti e normali con il Ca. che indicavano tale periodo dal 3 settembre al 24 ottobre, dato rispetto al quale vi sarebbe stata una “aggressione alle risultanze processuali”; non si e’ spiegato perche’ in questo contesto di rapporti consentiti fosse possibile collocare episodi di violenza, specie tenuto conto che la donna aveva anche affermato di essere stata disponibile ad intrattenere rapporti non ortodossi, “qualche sera, per farlo contento”; i due episodi descritti a pag. 2 della sentenza non indicherebbe alcuna violenza, uno di essi in particolare risultando sostenuto dal desiderio di non svegliare il bambino.

Con il terzo motivo si censura la motivazione fornita, relativamente al punto e), che non avrebbe tenuto conto che si era eccepito che si trattava di un solo episodio e di una spinta, non di un calcio. Con il quarto motivo si censura la motivazione fornita relativamente al punto f) attinente il numero degli episodi di violenza, dalla donna indicati in numero di “due, quattro, sei”, il che dimostra una incertezza inconciliabile con la ritenuta precisione e linearita’ nel riferire gli episodi avvenuti con violenza e quelli per semplice controvoglia. Il quinto motivo si riferisce al punto g) relativo alla censura secondo cui la Du. si adeguava criticamente a qualsiasi risposta del pm. Con il sesto motivo si censura la mancanza di motivazione relativamente ai punti h) ed i). Con il settimo motivo si censura la motivazione resa dalla Corte relativamente al punto m) con il quale si era sostenuto la possibile presenza di elementi di astio o di vendetta della donna nei confronti del Ca. , avendo la Du. riferito di violenze e minacce da parte del marito ulteriori rispetto a quelle sessuali. Con l’ottavo motivo, inerente il punto q), ci si duole che non si sia tenuto conto dell’avvenuto, parziale, risarcimento dei danni ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione che avrebbe dovuto influire sulla determinazione della pena almeno ai sensi dell’articolo 133 cod. pen.

Con motivi aggiunti viene ulteriormente dedotto il difetto di motivazione in ordine ai punti h) ed i), attinenti la illogicita’ derivante dal fatto che le discrasie nel racconto della Du. erano state collegate alla distanza dai fatti e alla sua scarsa conoscenza della lingua italiana, senza tenere conto che la testimonianza è stata resa a soli otto mesi di distanza dai fatti e che la donna viveva in Italia dal (OMESSO) e si esprimeva nella lingua italiana correttamente e con ricercatezza, punti ignorati dal giudice di rinvio. Ci si duole inoltre del mancato accoglimento del motivo attinente il contenimento nel minimo dell’aumento di pena per la continuazione anche alla luce della circostanza del parziale risarcimento del danno, che, essendo avvenuto dopo la presentazione dell’appello, non poteva logicamente essere dedotto nei motivi, ma del quale si sarebbe dovuto tenere conto.

Con una ulteriore memoria si contesta la attendibilità della persona offesa rappresentando che il Ca. è stato assolto con formula piena dai reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di maltrattamenti in famiglia per i quali la donna aveva presentato ripetutamente querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento risultando infondati o manifestamente infondati i motivi proposti. Occorre in primo luogo ricordare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (sez. 4 sentenza n. 48352 del 29.4.2009 Rv. 245775) l’obbligo del giudice del rinvio di attenersi alle direttive impartite dalla Corte di cassazione riguarda esclusivamente il principio di diritto specificamente enunciato, con la conseguenza che quando la Corte, in caso di annullamento per vizio di motivazione, non enunci alcun principio, gli è vietato semplicemente di ripetere i vizi già censurati e di fondare la decisione sulle argomentazioni già ritenute incomplete o illogiche. Infatti il principio di diritto affermato nella sentenza della Corte di cassazione, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno per il caso di specie (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, 29 ottobre 1998, Schiavone, m. 212423). Un simile effetto vincolante, però, scaturisce soltanto dal “principio di diritto” che, non a caso, a norma dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio, e non da qualsiasi affermazione esplicativa della “ratio decidendi” o, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sé, le indicazioni riparatorie in punto di legittimità.

Ciò premesso, si rileva che nella sentenza di annullamento della 3 sezione di questa Corte non viene enunciato alcun principio di diritto, come tale vincolante, essendosi la Corte limitata a riportare le censure formulate dalla difesa dell’imputato circa la attendibilità della parte offesa e a riscontrare, peraltro assai laconicamente, una insufficiente considerazione delle discrasie che erano state evidenziate nella deposizione della medesima, sollecitando l’esame di ciascuna di esse. A tale obbligo non si e’ sottratto il giudice di rinvio, che, al fine di adempiere all’obbligo di motivazione, ha riesaminato l’intera vicenda e ha preso in esame i singoli punti segnalati.

La Corte milanese ha richiamato la sentenza di primo grado che chiariva i termini dell’imputazione relativa a soli quattro episodi di violenza anale od orale, da inserirsi in un quadro di più ampi rapporti tra l’imputato e la persona offesa, conviventi da molti anni (dal (OMESSO)) e con un figlio piccolo, ma i cui rapporti erano da ultimo entrati in crisi tanto da indurre la donna a esprimere un fermo dissenso ad accondiscendere a rapporti sessuali di tipo anale od orale, come quelli che sono stati accertati essere intervenuti in 4 occasioni, in cui l’uomo si e’ avvalso della propria forza fisica per ottenere dalla donna la sottomissione.

Ha poi ribadito il giudizio di attendibilità della persona offesa, riportando anche brani delle dichiarazioni della donna, non senza la precisazione che le stesse dovevano comunque inquadrarsi nel contesto complessivo. La Corte ha fondatamente e logicamente potuto affermare la assenza di discrasie e la attendibilità della Du. , rilevando che la stessa era stata pienamente capace di distinguere tra rapporti consentiti e non consentiti e tra rapporti normali, nel senso di vaginali (rispetto ai quali non era stata dedotta violenza ma soltanto una accettazione controvoglia), e rapporti anali od orali, che la Du. aveva invece dichiarato di essere stata costretta a subire contro la sua manifestata volontà e con la forza, in almeno 4 occasione a decorrere dal (OMESSO). La attendibilità e’ stata congruamente motivata dai giudici di merito sulla base della linearita’ e coerenza del racconto, avendo la donna dato atto senza reticenza della lunga relazione intrattenuta con l’uomo e chiarito come il proprio atteggiamento di disponibilità si fosse modificato dopo che era venuto meno l’originario innamoramento, che la aveva indotta ad accettare anche pratiche sessuali non del tutto gradite, fino a pervenire ad un vero e proprio dissenso (dopo la famosa data del 3 settembre) che l’imputato aveva evidentemente ritenuto di poter superare forzando la donna; e della sofferenza della donna aveva reso testimonianza la vicina di casa con cui la Du. si era confidata.

Tanto premesso, in generale, per quanto attiene la ricostruzione della vicenda, necessaria per valutare i motivi di ricorso, possono esaminarsi le singole censure mosse che si rivelano inconsistenti già nella misura in cui esse vengono formulate con pedissequo e angusto riferimento alle pagine della sentenza impugnata, con un esame autonomo dei vari brani che in essa si susseguono che non tiene conto del complessivo sviluppo del ragionamento che, pur incentrandosi sui vari punti oggetto della sentenza di annullamento, costituisce comunque un tutt’uno e va considerato nel suo senso complessivo e non gia’, come sembra fare il ricorrente, come una mera successione di valutazioni attinenti fatti e circostanze del tutto indipendenti una dall’altra.

Il primo motivo risulta dunque infondato, ai limiti della inammissibilità, perchè fornisce una diversa ricostruzione delle vicende rilevanti ai fini del processo sulla base di osservazioni che non tengono conto della motivazione resa dalla Corte di appello; e’ sufficiente al riguardo osservare che la Corte di appello, nel riferire i punti salienti della testimonianza della Du. , consente perfettamente di seguirne un filo logico di coerenza e chiarisce che la risposta positiva della donna circa la frequenza giornaliera dei rapporti e la sua disponibilità a rapporti anche non “normali” si riferiva all’epoca, precedente a quella di cui al presente procedimento che inizia dal 3 settembre, in cui ella era innamorata dell’imputato e quindi disponibile ad accettare anche pratiche a lei non gradite.

Analogamente va detto per il secondo motivo di ricorso, con il quale lo stesso ricorrente riconosce che il giudice di rinvio intende confortare la attendibilità della donna attraverso una rilettura della sua deposizione; lo stesso ricorrente smentisce dunque con il secondo motivo quanto affermato nel primo, riconoscendo che la Corte milanese ha svolto delle argomentazioni sulla attendibilita’ della donna e sulla assenza di contraddizioni nella sua deposizione, che era proprio quanto le era stato richiesto di fare.

In ordine al terzo motivo può rilevarsi che gli episodi di violenza, in numero di quattro, sono puntualmente indicati nella integrativa sentenza di primo grado, e che la precisazione che in una di queste occasioni la violenza si e’ estrinsecata in una spinta, e non in un calcio, non modifica il quadro complessivo. Il quarto motivo e’ ancora una volta inammissibile perchè nell’appuntarsi su un singolo momento e su una singola circostanza della deposizione della donna, isolatamente considerata, il ricorrente non tiene conto della complessiva motivazione con cui si e’ chiarito che gli episodi contestati sono quattro. Il quinto motivo eccepisce un difetto di motivazione circa il punto g), relativo alla censura secondo cui la Du. si adeguava criticamente a qualsiasi risposta del pm, senza tenere conto che la corte milanese esclude che dalla lettura integrale della deposizione della donna risulti una simile situazione. Con il sesto motivo, ripreso nei motivi aggiunti, si censura la mancanza di motivazione relativamente ai punti h) ed i), con cui si era contestato che le discrasie della deposizione non potevano essere giustificate con la scarsa conoscenza della lingua italiana o con la distanza dai fatti; la censura risulta infondata in quanto tali punti, sia pure non espressamente menzionati dalla Corte a differenza degli altri, sono stati oggetto di valutazione avendo la Corte escluso la sussistenza di discrasie nella testimonianza della donna ed avendo rilevato che la stessa aveva chiaramente indicato, a volte anche con linguaggio crudo, i particolari della vicenda.

Con il settimo motivo si censura la motivazione resa dalla Corte relativamente al punto m) con il quale si era sostenuto la possibile presenza di elementi di astio o di vendetta della donna nei confronti del convivente, avendo la medesima riferito di violenze e minacce da parte del marito, ulteriori rispetto a quelle sessuali; ed il motivo risulta ripreso nella memoria laddove si sottolinea come la Du. abbia presentato varie querele nei confronti del Ca. che è stato però sempre assolto. Al riguardo può osservarsi che non appare illogica la valutazione compiuta dalla Corte di appello secondo cui poteva darsi per scontato che la donna avesse motivi di astio nei confronti dell’imputato, ma che tale astio era originato dai fatti di causa e non da motivi ulteriori e dunque non poteva influire sulla attendibilità. Dovendosi soltanto aggiungere che non possono in questa sede essere presi in considerazione fatti sopravvenuti (rappresentati dalle sentenze prodotte dalla difesa), non essendo questa Corte giudice del fatto.

Da ultimo, circa il parziale risarcimento dei danni di cui, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto tenersi conto ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione, la Corte di rinvio ha ritenuto di non poter accogliere tale richiesta mettendo in luce che la pena era stata già determinata nel minimo edittale con la massima riduzione possibile per le attenuanti generiche e con aumento assai contenuto per la ritenuta continuazione, valutazione che, in quanto debitamente motivata, è incensurabile.

2. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano in euro 1500,00 complessivi oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 1500,00 oltre accessori come per legge.


[1] Articolo 609 Bis – Violenza sessuale

Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;

2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.

Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. (1)

—–

(1) Il presente articolo è stato aggiunto dall’art. 3, L. 15.02.1996, n. 66.

Procedibilità: a querela di parte; d’ufficio (nei casi previsti dall’art. 609-septies, comma 4)
Competenza: Tribunale collegiale
Arresto: facoltativo
Fermo: si
Custodia cautelare in carcere: si
Altre misure cautelari personali: si (per il 3° comma, v. artt. 282-bis, comma 6 e 288, comma 2 c.p.p.)
Termine di prescrizione: 10 anni (1° comma)

 

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