Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 3 aprile 2014, n. 15187
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A – Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere
Dott. VITELLI CASELLA Luca – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. MONTAGNI A. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1930/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del 30/12/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Galli Massimo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIRENA Pietro A – Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere
Dott. VITELLI CASELLA Luca – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. MONTAGNI A. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1930/2013 TRIB. LIBERTA’ di PALERMO, del 30/12/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Galli Massimo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Sciacca, con ordinanza in data 9.12.2013, applicava nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare degli arresti domiciliari, in riferimento all’imputazione provvisoria relativa ad una fattispecie di cui all’articolo 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 e articolo 80, comma 1, lettera a).
Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 30.12.2013, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame proposta dal (OMISSIS), annullava il provvedimento impugnato esclusivamente nella parte in cui erano stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in relazione all’aggravante contestata e confermava nel resto.
Il Collegio rilevava che la sussistevano gravi indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS), in riferimento alla cessione continuata di quantitativi di hashish a diversi soggetti, alla luce delle dichiarazioni rese dai cessionari della sostanza.
Il Tribunale escludeva, di converso, la sussistenza di gravi indizi, in riferimento alla contestata aggravante derivante dalle minore eta’ della persona alla quale la sostanza era destinata.
Con riguardo alle esigenze cautelari, il Collegio rilevava che il tempo trascorso dalla realizzazione delle condotte criminose, perpetrate sino al (OMISSIS), non consentiva di ritenere escluso il pericolo di reiterazione, tenuto conto della natura sistematica e professionale della attivita’ illecita.
Considerava, inoltre, che pure in ragione dei limiti edittali di pena, doveva escludersi che (OMISSIS) avrebbe potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), denunciando con il primo motivo violazione di legge e vizio motivazionale.
La parte osserva che il Tribunale erroneamente ha ritenuto che il tempo trascorso dalla cessazione della attivita’ di reato, pari ad un anno e sei mesi, non possa ritenersi idoneo ad escludere l’attualita’ di esigenze cautelari. Osserva che non vi e’ traccia di attivita’ illecita riferibile al (OMISSIS) dal (OMISSIS), data della applicazione della misura in atto.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione, laddove il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistente l’esigenza cautelare del pericolo della reiterazione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede. Osserva che il Collegio ha errato nel valorizzare al riguardo la precedente condanna per resistenza a pubblico ufficiale. E sottolinea che la pronuncia di annullamento della ordinanza genetica, resa dal Tribunale, con riguardo alla contestata aggravante, implica una affievolimento delle esigenze cautelari non considerato dal medesimo Tribunale. L’esponente rileva infine che nella denegata ipotesi di condanna del (OMISSIS) non si rinvengono ragioni ostative alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in forza di un verosimile riconoscimento dell’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
Il Tribunale di Palermo, con ordinanza in data 30.12.2013, in parziale accoglimento dell’istanza di riesame proposta dal (OMISSIS), annullava il provvedimento impugnato esclusivamente nella parte in cui erano stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in relazione all’aggravante contestata e confermava nel resto.
Il Collegio rilevava che la sussistevano gravi indizi di colpevolezza a carico del (OMISSIS), in riferimento alla cessione continuata di quantitativi di hashish a diversi soggetti, alla luce delle dichiarazioni rese dai cessionari della sostanza.
Il Tribunale escludeva, di converso, la sussistenza di gravi indizi, in riferimento alla contestata aggravante derivante dalle minore eta’ della persona alla quale la sostanza era destinata.
Con riguardo alle esigenze cautelari, il Collegio rilevava che il tempo trascorso dalla realizzazione delle condotte criminose, perpetrate sino al (OMISSIS), non consentiva di ritenere escluso il pericolo di reiterazione, tenuto conto della natura sistematica e professionale della attivita’ illecita.
Considerava, inoltre, che pure in ragione dei limiti edittali di pena, doveva escludersi che (OMISSIS) avrebbe potuto beneficiare della sospensione condizionale della pena.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), denunciando con il primo motivo violazione di legge e vizio motivazionale.
La parte osserva che il Tribunale erroneamente ha ritenuto che il tempo trascorso dalla cessazione della attivita’ di reato, pari ad un anno e sei mesi, non possa ritenersi idoneo ad escludere l’attualita’ di esigenze cautelari. Osserva che non vi e’ traccia di attivita’ illecita riferibile al (OMISSIS) dal (OMISSIS), data della applicazione della misura in atto.
Con il secondo motivo l’esponente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione, laddove il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistente l’esigenza cautelare del pericolo della reiterazione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede. Osserva che il Collegio ha errato nel valorizzare al riguardo la precedente condanna per resistenza a pubblico ufficiale. E sottolinea che la pronuncia di annullamento della ordinanza genetica, resa dal Tribunale, con riguardo alla contestata aggravante, implica una affievolimento delle esigenze cautelari non considerato dal medesimo Tribunale. L’esponente rileva infine che nella denegata ipotesi di condanna del (OMISSIS) non si rinvengono ragioni ostative alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in forza di un verosimile riconoscimento dell’attenuante di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso muove alle considerazioni che seguono.
Soffermandosi congiuntamente sui motivi di doglianza, si osserva che la motivazione posta a fondamento dell’ordinanza oggi impugnata muove dal rilievo del perdurante pericolo di reiterazione criminosa, pure a fronte dello spazio di tempo intercorrente dalla cessazione della attivita’ criminosa, in ragione delle specifiche caratteristiche della attivita’ di spaccio, indicative della natura sistematica e professionale del traffico illecito. I giudici del riesame hanno poi effettuato una prognosi negativa, circa la concedibilita’ al prevenuto, in sede di condanna, del beneficio della sospensione condizionale della pena, tenuto conto dei limiti edittali di pena previsti per il reato ascritto.
Orbene, nel procedere all’esame del percorso argomentativo ora richiamato, in riferimento alla attualita’ delle esigenze cautelari ed alle condizioni di applicabilita’ della misura custodiale, devono considerarsi le conseguenze derivanti dalla recente sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, rispetto alle norme oggetto della imputazione provvisoria posta a fondamento della misura in atto. Invero, per effetto dell’intervento dichiarativo dell’incostituzionalita’ del Decreto Legge n. 272 del 2005, articoli 4 bis e 4 vicies ter, convertito con modifiche nella Legge n. 49 del 2006, riprende applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nel testo anteriore alle modifiche con queste apportate, come chiarito dal medesimo giudice delle leggi, nella sentenza citata.
Conseguentemente, la pena relativa alle c.d. “droghe leggere”, per effetto del reintrodotto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, risulta ricompresa da due a sei anni di reclusione, oltre la multa, laddove la cornice edittale presa in considerazione dai giudici della cautela, al momento della adozione della misura e successivamente, prevedeva la pena da sei a venti anni di reclusione, oltre la multa.
Cio’ posto, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di legittimita’, in base al quale la natura processuale della disciplina che regola l’applicazione delle misure cautelari non impedisce di considerare gli effetti delle modifiche normative che comportino, in applicazione dei principi dettati dall’articolo 2 c.p., per il caso di successione di leggi penali nel tempo, l’applicabilita’ di un trattamento sanzionatorio piu’ favorevole, rispetto alla data di commissione del reato indicato nell’imputazione provvisoria (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3522 del 18/12/1997, dep. 25/02/1998, Rv. 210582). Militano, a sostegno dell’assunto, oltre ai rilievi sul carattere sostanzialmente afflittivo delle misure cautelari – tali da indurre a ritenere che, in caso di successione di leggi penali nel tempo, la materia non possa essere esclusivamente regolata sulla base del principio del tempus regit actus – specifiche considerazioni di ordine sistematico, che evidenziano che la modifica della norma sostanziale presupposta dalla (ordinanza applicativa della) misura cautelare, incide direttamente sui criteri legali di scelta e di applicabilita’ del presidio di contenimento. Ed invero, la cornice edittale relativa al nome penale oggetto dell’imputazione provvisoria incide direttamente – oltre che in relazione al parametro della proporzionalita’ della misura, che l’articolo 275 c.p.p., comma 2, espressamente riconduce alla entita’ della pena che il giudice ritiene possa essere irrogata – anche rispetto alla stessa applicabilita’ delle misure custodiali, le quali non possono essere disposte, se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 2 bis.
E, a quest’ultimo riguardo, vengono in rilievo, oltre alle condizioni soggettive dell’imputato, i limiti edittali di pena previsti dalla norma incriminatrice, in ragione dei limiti quantitativi poto dall’articolo 163 c.p., comma 1.
Orbene, i cenni che precedono inducono allora a considerare che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, il massimo della pena detentiva prevista per il reato in addebito, come qualificato dallo stesso Tribunale del Riesame, che ha escluso la sussistenza della aggravante della minore eta’ dei cessionari, corrisponde adesso al minimo della pena che era prevista dalla cornice edittale di riferimento, sulla quale il Tribunale ha basato le proprie valutazioni, anche in riferimento alla concedibilita’ della sospensione condizionale della pena.
4. L’evidenziata rilevante disomogeneita’ sostanziale dei parametri edittali di riferimento, succedutisi nel tempo, relativi alla norma penale presupposta dalla misura di cautela in atto, impone allora di annullare l’ordinanza impugnata e di demandare al Tribunale del Riesame una nuova valutazione rispetto ai parametri di proporzionalita’ ed adeguatezza, oltre che sulla stessa applicabilita’ della misura che occupa, in ordine alla prognosi imposta dall’articolo 275 c.p.p., comma 2, bis, per le spiegate ragioni.
4.1 Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Palermo, per nuovo esame del punto concernente l’applicabilita’ della misura degli arresti domiciliari e l’attualita’ delle esigenze cautelari.
Soffermandosi congiuntamente sui motivi di doglianza, si osserva che la motivazione posta a fondamento dell’ordinanza oggi impugnata muove dal rilievo del perdurante pericolo di reiterazione criminosa, pure a fronte dello spazio di tempo intercorrente dalla cessazione della attivita’ criminosa, in ragione delle specifiche caratteristiche della attivita’ di spaccio, indicative della natura sistematica e professionale del traffico illecito. I giudici del riesame hanno poi effettuato una prognosi negativa, circa la concedibilita’ al prevenuto, in sede di condanna, del beneficio della sospensione condizionale della pena, tenuto conto dei limiti edittali di pena previsti per il reato ascritto.
Orbene, nel procedere all’esame del percorso argomentativo ora richiamato, in riferimento alla attualita’ delle esigenze cautelari ed alle condizioni di applicabilita’ della misura custodiale, devono considerarsi le conseguenze derivanti dalla recente sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, rispetto alle norme oggetto della imputazione provvisoria posta a fondamento della misura in atto. Invero, per effetto dell’intervento dichiarativo dell’incostituzionalita’ del Decreto Legge n. 272 del 2005, articoli 4 bis e 4 vicies ter, convertito con modifiche nella Legge n. 49 del 2006, riprende applicazione il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, nel testo anteriore alle modifiche con queste apportate, come chiarito dal medesimo giudice delle leggi, nella sentenza citata.
Conseguentemente, la pena relativa alle c.d. “droghe leggere”, per effetto del reintrodotto Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 4, risulta ricompresa da due a sei anni di reclusione, oltre la multa, laddove la cornice edittale presa in considerazione dai giudici della cautela, al momento della adozione della misura e successivamente, prevedeva la pena da sei a venti anni di reclusione, oltre la multa.
Cio’ posto, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di legittimita’, in base al quale la natura processuale della disciplina che regola l’applicazione delle misure cautelari non impedisce di considerare gli effetti delle modifiche normative che comportino, in applicazione dei principi dettati dall’articolo 2 c.p., per il caso di successione di leggi penali nel tempo, l’applicabilita’ di un trattamento sanzionatorio piu’ favorevole, rispetto alla data di commissione del reato indicato nell’imputazione provvisoria (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3522 del 18/12/1997, dep. 25/02/1998, Rv. 210582). Militano, a sostegno dell’assunto, oltre ai rilievi sul carattere sostanzialmente afflittivo delle misure cautelari – tali da indurre a ritenere che, in caso di successione di leggi penali nel tempo, la materia non possa essere esclusivamente regolata sulla base del principio del tempus regit actus – specifiche considerazioni di ordine sistematico, che evidenziano che la modifica della norma sostanziale presupposta dalla (ordinanza applicativa della) misura cautelare, incide direttamente sui criteri legali di scelta e di applicabilita’ del presidio di contenimento. Ed invero, la cornice edittale relativa al nome penale oggetto dell’imputazione provvisoria incide direttamente – oltre che in relazione al parametro della proporzionalita’ della misura, che l’articolo 275 c.p.p., comma 2, espressamente riconduce alla entita’ della pena che il giudice ritiene possa essere irrogata – anche rispetto alla stessa applicabilita’ delle misure custodiali, le quali non possono essere disposte, se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’articolo 275 c.p.p., comma 2 bis.
E, a quest’ultimo riguardo, vengono in rilievo, oltre alle condizioni soggettive dell’imputato, i limiti edittali di pena previsti dalla norma incriminatrice, in ragione dei limiti quantitativi poto dall’articolo 163 c.p., comma 1.
Orbene, i cenni che precedono inducono allora a considerare che, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, il massimo della pena detentiva prevista per il reato in addebito, come qualificato dallo stesso Tribunale del Riesame, che ha escluso la sussistenza della aggravante della minore eta’ dei cessionari, corrisponde adesso al minimo della pena che era prevista dalla cornice edittale di riferimento, sulla quale il Tribunale ha basato le proprie valutazioni, anche in riferimento alla concedibilita’ della sospensione condizionale della pena.
4. L’evidenziata rilevante disomogeneita’ sostanziale dei parametri edittali di riferimento, succedutisi nel tempo, relativi alla norma penale presupposta dalla misura di cautela in atto, impone allora di annullare l’ordinanza impugnata e di demandare al Tribunale del Riesame una nuova valutazione rispetto ai parametri di proporzionalita’ ed adeguatezza, oltre che sulla stessa applicabilita’ della misura che occupa, in ordine alla prognosi imposta dall’articolo 275 c.p.p., comma 2, bis, per le spiegate ragioni.
4.1 Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Palermo, per nuovo esame del punto concernente l’applicabilita’ della misura degli arresti domiciliari e l’attualita’ delle esigenze cautelari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla questione concernente le esigenze cautelari, con rinvio sul punto al Tribunale di Palermo.
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