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Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 29 maggio 2014, n. 22247

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZECCA Gaetanino – Presidente
Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 4407/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del 04/05/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Milano, con sentenza dell’11/1/2008, condanno’ alla pena stimata di giustizia, nonche’ al risarcimento del danno e al pagamento di provvisionali, (OMISSIS), per avere causato per colpa, svolgendo l’attivita’ di legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., cessionaria del ramo aziendale della (OMISSIS) s.r.l., la quale con la (OMISSIS) s.r.l. aveva costituito un’associazione temporanea d’imprese per la conduzione in appalto delle opere di ristrutturazione del presidio ospedaliere di (OMISSIS), la morte di (OMISSIS), operaio alle dipendenze della (OMISSIS), deceduto per le conseguenze subite a causa della caduta da un castello di tiro, reso pericoloso dalla mancanza di parapetti su due lati e in assenza di mezzi di protezione individuali e di personale preposto a vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza.
1.1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 4/5/2012, giudicando a seguito dell’impugnazione dell’imputato e delle parti civili, confermo’ la statuizione di primo grado.
2. Il (OMISSIS) ricorre per cassazione.
2.1. Con il primo articolato motivo il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio motivazionale adducendo la non configurabilita’ del nesso di causalita’, a motivo dell’abnorme condotta del lavoratore, rimasto vittima della propria imprevedibile imprudente condotta.
L’istruttoria dibattimentale aveva permesso di appurare che la vittima, sibbene sconsigliata dal compagno di lavoro, adibito con lui allo smontaggio di un’impalcatura, aveva coscientemente disatteso le norme precauzionali decidendo di rimuovere i tubolari posti a protezione del castello aereo, al fine di agevolmente liberarsi delle parti smontate, facendole precipitare al suolo. Una tale condotta, in palese contrasto con le istruzioni ricevute, costituiva evento eccezionale ed imprevedibile, integrando abnorme deviazione rispetto al normale profilo comportamentale che poteva attendersi da parte del lavoratore e, pertanto, appariva illogica e priva di supporti l’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale una tale imprudenza non poteva considerarsi imprevedibile.
Infine, se anche il datore di lavoro avesse predisposto il P.O.S. l’evento di sarebbe verificato ugualmente, stante che la vittima aveva coscientemente disatteso le istruzioni che gli erano state date per scongiurare il sinistro.
2.2. Con il secondo motivo il (OMISSIS) censura i medesimi vizi rilevanti in sede di legittimita’ contestando l’addebito mossogli dai giudici di merito, secondo il quale egli non avrebbe provveduto a nominare il responsabile preposto a vigilare sul rispetto delle norme di sicurezza. I detti giudici non avevano tenuto conto che l’impresa del ricorrente non aveva assunto l’appalto, essendosi limitata ad acquisire un ramo aziendale altrui, costituito da un “complesso organico e funzionante di beni”, con la conseguenza che era rimasto fermo l’incarico assegnato dall’impresa cedente all’architetto (OMISSIS), il quale era da considerarsi responsabile del cantiere. In ogni caso, come gia’ detto, l’evento non si sarebbe potuto comunque scongiurare, essendo dipeso da un’imprevedibile scelta imprudente del lavoratore.
Infine, all’epilogo della censura qui sunteggiata il ricorrente assume che gia’ al momento della sentenza (d’appello) erano decorsi i termini di prescrizione e, pertanto, in via subordinata, invocava l’applicazione della relativa formula di proscioglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il nucleo centrale attorno al quale risulta articolato il gravame e al quale e’ espressamente dedicato il primo motivo ipotizza che l’evento, in quanto frutto di condotta abnorme del lavoratore, non era prevedibile e prevenibile dal garante.
Puo’ sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, n. 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimita’ (tra le tante, v. Sez. 4, 10 novembre 2009, n. 7267; Sez. 4, 17 febbraio 2009, n. 15009; Sez. 4, 23 maggio 2007, n. 25532; Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 25502; Sez. 4, 23 marzo 2007, n. 21587; Sez. 4, 29 settembre 2005, n. 47146; Sez. 4, 23 giugno 2005, n. 38850; Sez. 4, 3 giugno 2004), la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilita’, poiche’ l’esistenza del rapporto di causalita’ tra la violazione e l’evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito puo’ essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormita’ abbia dato causa all’evento; abnormita’ che, per la sua stranezza e imprevedibilita’ si ponga al di fuori delle possibilita’ di controllo dei garanti.
Pur non potendosi in astratto escludere che possa riscontrarsi abnormita’ anche in ipotesi nelle quali la condotta del lavoratore rientri nelle mansioni che gli sono proprie, ove la stessa sia consistito in un’azione radicalmente ed ontologicamente lontana dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro, qui la detta ipotesi, comunque, residuale, non ricorre.
Poiche’ incombe sul datore di lavoro il precipuo obbligo d’impedire prevedibili imprudenti condotte dei lavoratori, mediante utilizzo di strumenti e macchinari non agevolmente alterabili, l’uso obbligatorio di dispositivi individuali di protezione e, non ultimo, l’approntamento di personale di vigilanza capace di negare l’accesso a procedure pericolose, non v’e’ dubbio che l’imprudente scelta della vittima di rimuovere i tubolari e la protezione su uno dei lati della struttura, al fine di poter con maggior facilita’ liberarsi di materiali di risulta precipitandoli al suolo, ove i dispositivi di tutela fossero stati efficacemente approntati, non sarebbe stata attuata. Per queste ragioni, al contrario di quanto asserito in ricorso, la predisposizione ed attuazione del P.O.S. avrebbe scongiurato il sinistro mediante la predisposizione di efficaci strumenti dissuasivi e impeditivi.
Condivisamente questa Corte ha avuto modo di affermare reiteratamente l’estrema rarita’ dell’ipotesi in cui possa affermarsi che possa configurarsi condotta abnorme anche nello svolgimento proprio dell’attivita’ lavorativa, escludendolo tutte le volte in cui il lavoratore commetta imprudenza affidandosi a procedura meno sicura, ma apparentemente piu’ rapida o semplice, che non gli venga efficacemente preclusa dal datore di lavoro (Sez. 4, n. 952 del 27/11/1996; Sez. 4, n. 40164 del 3/672004; Sez. 4, n. 2614/07 del 26/10/2006).
4. Il secondo motivo e’ destituito anch’esso di giuridico fondamento. Non piu’ che una congettura, sprovvista di qualsivoglia attendibilita’, deve ritenersi l’asserto secondo il quale l’arch. (OMISSIS) della srl (OMISSIS) cedente il ramo d’azienda, avrebbe avuto l’incarico di vigilare sul rispetto e l’applicazione delle norme prevenzionali. In realta’, come puntualmente evidenziato dalla Corte territoriale, costui aveva avuto solo l’incarico di curare il passaggio di consegne dall’impresa cedente a quella cessionaria.
5. Infine, manifestamente infondata appare l’eccezione di prescrizione del reato. Trattandosi di omicidio colposo con violazione delle norme antinfortunistiche, ex comb. disp. degli articoli 157 e 160 cod. pen. (anche dopo la novella operata con la Legge n. 251 del 2005) si prescrive in quindici anni, tempo che ad oggi, risulta lontano dall’essere trascorso, risalendo il fatto al (OMISSIS).
6. All’epilogo consegue condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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