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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

SENTENZA 28 novembre 2014, n. 49654

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 8112012 il G.u.p. del Tribunale di Palermo, in sede di giudizio abbreviato, assolveva P.E. dal delitto di omicidio colposo in danno di Pi.M., perché il fatto non sussiste.

All’imputato, in qualità di medico di turno presso il pronto soccorso del Policlinico di Palermo, era stato addebitato di avere, in data 3172010, dimesso il paziente Pi.M. con l’errata diagnosi di gastroenterite, trascurando i dati clinici indicativi di un diabete mellito in evoluzione cheto acidosica con turbe elettrolitiche, tanto che il paziente, ricoverato il giorno seguente, decedeva per arresto cardiocircolatorio in soggetto con ischemia intestinale (acc. in Palermo alle ore 13.50 del 182010).

Osservava il G.u.p. che l’assoluzione si imponeva per l’assenza di prova certa del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento. In particolare

– dagli atti processuali non vi era convergenza tra le conclusioni dei periti e quelle dei consulenti del P.M., nonché delle altre parti.

– Il perito aveva escluso che l’ischemia intestinale fosse dipesa dalle complicanze connesse al diabete. La diagnosi dell’ischemia intestinale è difficile e quasi sempre tardiva. Essa non poteva essere sospettata dai medici di turno dei 31 luglio in ragione della aspecificità dei sintomi. Quanto alla iperglicemia, se anche fosse stata adeguatamente trattata, ciò non sarebbe valso ad evitare l’esito infausto.

– I C.T. del P.M. il P. aveva errato nel dimettere il Pi.M. con una diagnosi di gastroenterite, tenuto conto della presenza di una cheto acidosi metabolica. In ogni caso non era possibile affermare che la immediata sottoposizione del paziente alla corretta terapia avrebbe evitato l’evento, considerato l’alta mortalità (tra 83 e 100%) che connota la patologia della ischemia intestinale.

Il G.u.p. pertanto, rilevata la mancanza di certezza sulla presenza del nesso causale, assolveva l’imputato con formula piena.

Con sentenza del 2062013 la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia di primo grado. La corte distrettuale, dopo avere rilevato la infondatezza di alcune censure di natura processuale, ribadiva che dagli atti processuali non era possibile stabilire con sicurezza quando il quadro clinico del Pi.M. fosse divenuto indicativo della presenza della ischemia intestinale. In ogni caso, anche a voler ritenere che tale situazione fosse evidenziabile all’atto del primo ricovero, dalle convergenti conclusioni dei C.T. e del perito si rilevava che una immediata diagnosi e l’attuazione di terapia non avrebbero, con alto grado di probabilità, evitato l’evento.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili che, dopo avere riassunto cronologicamente gli eventi, ha lamentato il vizio della motivazione laddove la corte di merito, dopo avere rilevato la grave negligenza dell’imputato, non ne aveva tratto le conclusioni nel ritenere fondata l’accusa di omicidio colposo mossagli. Invero la circostanza dell’assenza di completezza degli esami diagnostici, frutto della negligenza dell’imputato, non poteva finire per costituire un vantaggio quanto alla ricerca del nesso causale. Nessun dato anatomopatologico spiegava l’insorgenza della ischemia intestinale, la quale, secondo la coerente C.T. di P.C. era stata indotta dalla cascata di eventi innescati dalla severa iperglicemia non tempestivamente trattata. Invero l’autopsia, benchè avesse evidenziato una vasculopatia in alcuni distretti, rimarcava che non vi erano evidenze di un episodio vascolare acuto : pertanto il decesso non era da ascrivere ad un infarto intestinale, ma alla patologia acuta diabetica (627 mgdl) non diagnosticata e trattata. In ogni caso dai dati clinici e diagnostici presenti in atti, ben poteva ritenersi che se l’ischemia intestinale era stata causa del decesso, la stessa se tempestivamente diagnosticata e trattata non avrebbe avuto un’evoluzione infausta. Invero all’atto del primo ricovero, il paziente era vigile e collaborante, ciò dimostrava che la situazione non era irreversibile. Peraltro anche il 20% di possibilità di sopravvivenza non era un dato statistico insignificante

 Considerato in diritto

II ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Invero il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di reato colposo omissivo improprio, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002 Ud. (dep. 11/09/2002), Rv. 222139; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39594 del 21/06/2007 Ud. (dep. 26/10/2007), Rv. 237876).

Nel caso oggetto di giudizio entrambi i giudici di merito, tenuto conto degli esiti della perizia e delle consulenze svolte, hanno preso atto dell’esito incerto del giudizio controfattuale, in quanto, ipotizzata come realizzata la condotta dovuta, non è risultato provato che l’evento mortale si sarebbe evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.

In particolare dalla sentenza impugnata si rileva che il perito del giudice, dopo avere precisato che la condotta dei P. non era stata certo diligente (diligenza che deve essere pretesa anche di sabato 31 luglio), aveva constatato come dagli atti non si potesse dedurre, il giorno del primo ricovero, la presenza di una sintomatologia di infarto intestinale che notoriamente è subdola e non evidente. Inoltre ha osservato che la rilevabile iperglicemia, se anche tempestivamente trattata non avrebbe modificato il decorso clinico del paziente relativamente alla patologia che l’aveva portato alla morte.

A conclusioni non dissimili sono giunti anche il consulenti del P.M. i quali hanno individuato la causa della morte ad una ischemia intestinale che aveva condotto all’infarto dell’organo, con conseguente necrosi e schock ipovolemico (scarsità di sangue circolante) che aveva portato all’arresto cardiaco ed al decesso.

I C.T., contrariamente al perito, hanno affermato che la patologia intestinale era diagnosticabile da parte del P., ma hanno aggiunto, che se anche tempestivamente rilevata e trattata già all’atto del primo ricovero, ove le condizioni del paziente il 31 luglio fossero state le stesse del successivo ricovero del primo agosto (e nessun elemento probatorio consentiva con certezza di ritenere il contrario), la percentuale di mortalità era pari all’83­100%.

Sul punto il C.T. della parte civile ha osservato che, anche sulla base di tali valutazioni, si deduceva che pur sempre una maggiore speranza di vita il Pi.M. avrebbe avuto da una tempestiva diagnosi e terapia. In ogni caso la non rilevata iperglicemia non poteva non avere inciso sul decorso della patologia.

Orbene, così ricostruita la vicenda, va ribadito che la ‘elevata probabilità logica’, in presenza della quale può essere affermata la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento, esprime la forte corroborazione dell’ipotesi accusatoria sulla base delle concrete acquisizioni probatorie disponibili, che il giudice deve valutare alla stregua delle regole dettate dagli artt. 192, commi primo e secondo, cod. proc. pen. (quanto al ragionamento sull’evidenza probatoria) e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (quanto alla doverosa ponderazione del grado di resistenza dell’ipotesi di accusa rispetto alle ipotesi antagoniste od alternative, in termini conclusivi di ‘certezza processuale’ o di ‘alta probabilità logica’ della decisione). Nel caso che ci occupa il giudice di merito, prendendo atto delle osservazioni sia del perito che dei C.T. del P.M., ha escluso, con argomentazioni coerenti e non manifestamente illogiche, la rilevanza eziologica della iperglicemia sottovalutata dal P.. Inoltre ha preso atto che l’omessa diagnosi dell’infarto intestinale, seppur diagnosticabile alla data del 31 luglio e seppur tempestivamente trattato, non avrebbe avuto un effetto salvifico con elevata probabilità statistica e logica, tenuto conto che in ipotesi come quelle in cui versava il Pi.M., la percentuale di mortalità è pari al 83-100% dei casi.

Pertanto, preso atto del fallimento del giudizio controfattuale, correttamente il giudice di merito si è determinato alla assoluzione dell’imputato, perché il fatto non sussiste.

Segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 P.Q.M.

 Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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