Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 28 aprile 2014, n. 17805
Ritenuto in fatto
1. Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Ancona ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, condannando F.T. per il reato di cui all’articolo 186 bis, comma 1 lett. a) in relazione all’art. 186, co. 2 lett. b), 2bis e 2sexies Cod. str., del codice della strada, ha determinato la pena in mesi sei di arresto ed Euro 2400 di ammenda, concedendo altresì la non menzione della condanna nel certificato penale e la sospensione condizionale della pena e ordinando la sospensione della patente di guida per otto mesi. Deduce il ricorrente che la pena inflitta è illegale perché il giudice ha pretermesso l’aumento previsto dall’art. 186bis, comma 3 per i conducenti infraventunenni che guidino in stato di ebbrezza ai sensi dell’art. 186, co. 2, lett. b) e c); ed altresì perché non è stata aumentata la pena pecuniaria, secondo quanto disposto dall’art. 186, co. 2 sexies Cod. str.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
2.1. In rapporto al reato ritenuto nella sentenza impugnata, va rammentato che l’art. 186 bis, comma 3 prevede un aumento da un terzo alla metà delle pene rispettivamente previste dalle lettere b) e c) dell’art. 186, co. 2 Cod. str. In particolare la menzionata lettera b) prevede l’arresto sino a sei mesi e l’ammenda da 800 a 3200 Euro.
L’art. 186, co. 2sexies prevede che l’ammenda prevista dal comma 2 deve essere aumentata da un terzo alla metà quando il fatto sia commesso tra le ore 22,00 e le ore 7,00.
Il comma 2bis dell’art. 186, dal canto suo, dispone che se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente, le sanzioni di cui al comma 3 dell’art. 186bis sono raddoppiate.
Si è quindi in presenza di una pluralità di circostanze, accedenti ad autonoma fattispecie incriminatrice [che tale sia la natura delle due ipotesi di cui all’art. 186, co. 2, lett. b) e c) è stato precisato da Sez. 4, Sentenza n. 7305 del 29/01/2009, Carosiello, Rv. 242869], tutte ad effetto speciale (per la qualificazione della ipotesi di procurato incidente quale circostanza aggravante ad effetto speciale Sez. 4, n. 7460 del 13/11/2012 – dep. 14/02/2013, P.G. in proc. Florio, Rv. 254475).
Ciò premesso, bisogna evidenziare che il ricorso, sia pure indirettamente, pone la questione concernente le modalità di computo della pena in presenza delle menzionate circostanze aggravanti.
Questa Corte ha già ripetutamente precisato che “le regole dettate in via generale dall’art. 63 c.p., comma 4 non hanno ragione di essere evocate in tutti i casi in cui la questione circa l’entità della pena applicabile derivante dal concorso di più circostanze aggravanti è risolta nell’ambito della singola fattispecie criminosa” (Sez. 6, n. 41233 del 24/10/2007 – dep. 08/11/2007, Attardo e altro, Rv. 237671; Sez. 1, Sentenza n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo e altri, Rv. 244460; Sez. 6, Sentenza n. 7916 del 13/12/2011, P.G., La Franca e altri, Rv. 252069). Il principio è stato posto a riguardo delle previsioni dell’art. 416bis cod. pen. che, si è scritto, “racchiude in sé e risolve ogni profilo attinente al trattamento sanzionatorio nelle varie forme circostanziate da esso contemplate. In particolare, con riferimento al caso in esame, per effetto della previsione del comma 6, la pena stabilita nel comma 4 (quindici anni) è aumentata da un terzo alla metà“.
Si è però aggiunto, con il richiamo della decisione Sez. U, n. 16 del 08/04/1998 – dep. 11/06/1998, Vitrano e altro, Rv. 210709, che tanto non vale ove si tratti della circostanza aggravante speciale di cui all’art. 628 co. 3 cod. pen. e quella comune e meno grave, ma “ad effetto speciale”, di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7. In tal caso, e in casi similari, resta applicabile il meccanismo del cumulo giuridico di cui all’art. 63 co. 4 cod. pen., che si impone quando ricorrano circostanze che, per la loro natura, “interrompono il collegamento con la pena stabilita per il reato cui accedono”, di talché, avendo “autonomia sanzionatola, non vi è una base sulla quale apportare gli aumenti successivi”.
2.2. Calando tali premesse nel caso che occupa, è agevole rilevare che nelle disposizioni richiamate dalla contestazione si rinviene innanzitutto una norma che ha quale scopo proprio quello di risolvere il rapporto tra più, individuate, circostanze ad effetto speciale convergenti sull’ipotesi base della guida in stato di ebbrezza nei casi previsti dalla lettere b) e c) dell’art. 186, co. 2 Cod. str. Si tratta dell’art. 186, co. 2bis, nella parte in cui dispone che “se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale, le sanzioni di cui… al comma 3 dell’articolo 186-bis sono raddoppiate…”.
Sin qui, pertanto, il concorso delle circostanze aggravanti previste dall’art. 186bis, co. 3 e dell’art. 186, co. 2bis non da luogo all’applicazione della regola posta dall’art. 63, co. 4 cod. pen., dovendo trovare applicazione, alla stregua del principio sopra rammentato, la sola pena prevista dall’art. 186, co. 2 bis.
Ma nel caso di specie è stata ritenuta anche l’ulteriore aggravante di cui all’art. 186, co. 2sexies, essa pure ad effetto speciale. Poiché tale disposizione si rapporta esclusivamente all’ipotesi base di cui all’art. 186, co. 2, non vi è dubbio che essa non valga a regolare relazioni tra ipotesi circostanziate come quelle appena menzionate. Deve quindi trovare applicazione rispetto ad esse il cumulo giuridico previsto dall’art. 63, co. 4 cod. pen.; con l’effetto che risultando certamente più grave la circostanza aggravante di cui all’art. 186, co. 2bis, la pena da applicare sarà quella del doppio della pena prevista dall’art. 186 bis, co. 3, alla quale il giudice può apportare un aumento sino ad un terzo.
Può quindi essere formulato il seguente principio di diritto: “In tema di reati di guida in stato di ebbrezza alcolica, ove le circostanze aggravanti di cui rispettivamente ai commi 2 bis e 2 sexies dell’art. 186 concorrano con l’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 186bis Cod. strada, in applicazione di quanto previsto dall’art. 63, co. 4 c.p., dovrà essere inflitta il doppio della pena prevista dall’art. 18 6bis, co. 3, al quale il giudice può apportare un aumento sino ad un terzo“.
2.3. Ciò posto, la pena inflitta con la sentenza impugnata risulta determinata in violazione delle regole appena rammentate.
Il giudice ha esplicato di aver determinato la pena partendo da una pena base di mesi 3 di arresto ed Euro 900 di ammenda, alla quale ha apportato un aumento per l’aggravante di cui all’art. 186, co. 2bis, giungendo a mesi 6 di arresto ed Euro 1800 di ammenda, ulteriormente
aumentata ai sensi dell’art. 186, co. 2sexies a mesi sei ed Euro 2400 di ammenda. Non si coglie, in questi passaggi, la determinazione della pena base nell’ambito dei termini edittali definiti dall’art. 186, co. 2 bis, in relazione all’art. 186 bis, co. 3; la quale, tenendo presente che si versa nell’ipotesi di cui all’art. 186, co. 2 lett. b), è quella da 1334 a 6400 Euro di ammenda e da giorni dieci ad un anno di arresto. In particolare, la pena pecuniaria risulta determinata in misura inferiore al minimo legale.
Inoltre, pur a voler considerare tamquam non esset la indicazione di una pena base determinata al di fuori del riferimento all’art. 186, co. 2 bis, per la possibilità di assumere direttamente questa in tale ruolo, risulta comunque errato l’aumento disposto per la ricorrenza dell’aggravante di cui all’art. 186, co. 2sexies, il quale non può riguardare la sola ammenda ma, ai sensi dell’art. 63, co. 4 cod. pen., deve concernere tanto la pena pecuniaria che quella detentiva.
3. L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio al Tribunale di Ancona, per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
annulla la impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Ancona limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Fermo il resto.
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