incidente ferroviario

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 27 marzo 2014, n. 14524

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 27 marzo 2012, la Corte d’appello di Lecce Sezione distaccata di Taranto parzialmente riformava,limitatamente al trattamento sanzionatolo,la sentenza emessa il 17 luglio 2009 dal Tribunale di Taranto nei confronti di M.V. e di R.P. (imputato non ricorrente),confermandone il giudizio di responsabilità (anche agli effetti civili) in ordine al delitto di disastro ferroviario colposo, di cui agli artt. 113,439, 449, commi 1 e 2 cod.pen. (capo A) e di quello di lesioni colpose plurime,di cui agli artt. 113, 590 cod. pen. (capo B), commessi in agro di (omissis) ed unificati ex art. 81 cod. pen. Per l’effetto, per quanto in questa sede rileva, la pena irrogata in primo grado al M. era ridotta ad anni TRE e mesi QUATTRO di reclusione.
In punto di fatto, si era pacificamente accertato che ad ore 22,00 circa del giorno (omissis) , sulla linea ferroviaria (omissis) vennero a collisione il treno merci n. (…) (il cui macchinista titolare era l’imputato M. ) proveniente da (…) ed il treno espresso viaggiatori n (…), proveniente dall’opposta direzione, in corrispondenza della progressiva chilometrica 75 + 870 e precisamente del deviatoio sito in agro di (omissis) in cui la linea a doppio binario in direzione di (…) ridiventa a semplice binario in prossimità dell’ingresso nella stazione di (omissis) . In quel punto la linea ferroviaria presenta una pendenza nel tratto che precede il deviatoio, di guisa che il treno merci procedeva in discesa; mentre il treno passeggeri procedeva in salita. I percorsi in direzione opposta seguiti dai due convogli sono incompatibili nel senso che, mentre un treno procede all’attraversamento del deviatoio secondo la propria direzione di marcia, l’altro deve attendere fino al termine del transito del primo. A tale scopo, superata dal treno merci la stazione di (omissis) , era entrato in funzione il segnale di avviso 1Ad a luce gialla che preannunziava il successivo segnale a luce rossa 1d di protezione dello scambio sito a 1.200 metri di distanza dal primo e che imponeva il rallentamento della marcia e l’azionamento del sistema di frenatura del convoglio nel tratto compreso tra i due segnali onde assicurarne l’arresto prima del suddetto segnale 1d a luce rossa, che a sua volta precedeva di mt. 1.300 l’inizio del deviatoio. Nell’opposta direzione percorsa dal treno viaggiatori questo, dopo la stazione di (omissis) , incontrò un segnale 3s in posizione di giallo lampeggiante su luce verde lampeggiante e, successivamente, il segnale 7s, in posizione rosso su verde. Era quindi consentito a tale convoglio attraversare il deviatoio in direzione del binario sinistro, con limitazione della velocità a 100 km/orari, pari a quella massima cui in treno era impostato. Accadde che il treno merci non aveva prestato osservanza alla prescrizione di arrestarsi al segnale a luce rossa 1d posto a protezione del deviatoio di talché il fianco destro del locomotore venne a collisione con il treno viaggiatori, che in quel momento percorreva il deviatoio, come consentitogli dalla citata segnaletica, precisamente nel punto di giunzione tra la terzultima e l’ultima carrozza. Ne era derivato che dette vetture si staccarono dal convoglio precipitando nel fossato trincea latistante la linea ferroviaria, deragliando ed adagiandosi su di un fianco, nella scarpata. Ciò causò altresì l’abbattimento di taluni pali di sostegno della linea aerea e danni al binario percorso dal treno espresso. Numerosi viaggiatori subirono lesioni costituite da fratture ed in un caso dall’amputazione del braccio sinistro. Altri novantacinque passeggeri subirono lesioni di minore gravità con prognosi massima di giorni trenta. Tutto ciò premesso, la Corte d’appello ha condiviso l’affermazione di colpevolezza dell’imputato M. che, nel ruolo di macchinista titolare e responsabile della conduzione del convoglio (benché, al momento della collisione, si trovasse ai comandi del locomotore il R. quale apprendista macchinista in tirocinio, con funzioni ai aiuto macchinista), omettendo di vigilare adeguatamente sulle manovre compiute dall’apprendista macchinista, per negligente distrazione, ebbe ad azionare tardivamente il sistema di frenatura del convoglio, solamente dopo il segnale di protezione del deviatoio; di guisa che il treno, pur sottoposto ad una repentina decelerazione nella tratta di avvicinamento allo scambio,non venne tuttavia arrestato tempestivamente, cagionando in tal modo la collisione con il treno viaggiatori che proseguì regolarmente la propria marcia fruendo dei segnali di via libera, alla prescritta velocità. Ha altresì evidenziato la Corte d’appello,in punto alla ribadita sussistenza del nesso di causa, che, come accertato dai periti, ove si fosse azionato tempestivamente ed adeguatamente il sistema di frenatura del treno merci, sia alla velocità di 70 km/orari (cui il convoglio procedeva) od anche a quella massima di 80 km/orari, lo spazio compreso tra i due segnali di avviso protezione a luce gialla lampeggiante e di protezione a luce rossa, avrebbe permesso al treno di arrestarsi in tempo utile, restando quindi scongiurata la collisione con il treno espresso proveniente dall’opposta direzione. Propone ricorso per cassazione il M. per tramite del difensore, articolando sei motivi di annullamento,così riassunti.
Con la prima e con la seconda censura. deduce la violazione degli artt. 40, 41 cod. pen. e 192 cod. proc.pen. e vizi della motivazione. Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe basato la decisione di conferma della sentenza di primo grado su elementi probatori acriticamente valutati, attribuendo rilievo decisivo alle valutazioni espresse dai consulenti del P.M., ma omettendo di prendere in considerazione una possibile ed alternativa spiegazione causale dell’evento, con particolare riferimento al fatto che la mancanza di azione frenante per diciotto secondi potrebbe esser stata cagionata dalla ridotta efficienza del relativo sistema del convoglio ovvero da presenze anomale sulle superfici di rotolamento o da un imprevisto surriscaldamento delle zone a contatto. Ed invero,con la motivazione della sentenza impugnata, si è dato atto che il locomotore presentava usura delle sale; che il peso lordo dei vagoni da cui era composto il treno merci era superiore a quella attestata dal formatore del convoglio; che le sabbiere erano vuote. Né si è tenuto conto dell’incidenza causale prodotta sull’evento, dall’elevata pendenza della tratta percorsa dal treno e neppure dell’interferenza dei numerosi elementi causali, ex se idonei ad escludere o quantomeno ad attenuare la responsabilità dell’imputato. Neppure la Corte distrettuale avrebbe esaustivamente spiegato, dopo aver riconosciuta la sussistenza di potenziali concause dell’evento (ad es. pattinamento; pendenza) ed averne escluso l’incidenza causale, che la condotta omissiva dell’imputato fu condizione necessaria dell’evento con alto grado di credibilità razionale o di probabilità logica, sulla scorta del c.d. giudizio controfattuale, dovendosi escludere l’operatività di una serie causale alternativa.
Con il terzo motivo censura la difesa, sotto il profilo del vizio di violazione di legge e di difetto della motivazione, l’errata qualificazione giuridica attribuita al fatto sub A con la sentenza impugnata. Nella concreta fattispecie, gli eventi conseguenti all’incidente accaduto il (omissis) non presentavano requisiti tali da potersi configurare secondo l’accezione del disastro (ritenuto sussistente, secondo l’insegnamento della giurisprudenza, in caso della verificazione di un evento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone) tant’è vero che nell’occorso solamente sessanta viaggiatori riportarono lesioni ed uno solo subì la più grave lesione dell’amputazione di un braccio.
Con il quarto motivo denunzia il difensore il difetto di motivazione in ordine alla mancata derubricazione del reato di cui all’art. 449 cod.pen. in quello previsto dall’art. 450 cod. pen. sul rilievo che, non ricorrendo nel caso concreto i requisiti di gravità, estensione e complessità dell’evento, ai fini della sussistenza del disastrala condotta dell’imputato, ove riconosciuto colpevole, potrebbe configurare non il delitto colposo di danno ma il delitto colposo di pericolo. Con il quinto e con il sesto motivo, denunzia il ricorrente, in punto al trattamento sanzionatorio, la violazione dell’art. 449 cod. pen. oltreché vizio della motivazione, non essendo consentito individuare le modalità di calcolo della pena attraverso le quali la Corte distrettuale ha tenuto conto di una pena base superiore a quella di anni DUE di reclusione quale minimo edittale previsto per il reato di cui all’art. 449, comma 2 cod. pen. tantoché potrebbe ritenersi che erroneamente si sia fatta applicazione dell’art. 430 cod. pen. che prevede l’ipotesi di disastro doloso. Lamenta inoltre il ricorrente ulteriori vizi di omessa motivazione in ordine al mancato contenimento dell’aumento di pena ex art. 81 cod. pen.; alla mancata esclusione o riduzione delle pene accessorie ex art. 29 cod. pen.; alla mancata applicazione, con criterio di prevalenza sull’aggravante prevista dall’art. 449 comma 2 cod. pen., delle attenuanti generiche che avrebbe reso possibile la declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione, tenuto conto del quasi totale risarcimento dei danni.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché proposto per motivi non consentiti in sede di legittimità.
Quanto ai primi due motivi di ricorso (da trattarsi congiuntamente attenendo al tema fondamentale della responsabilità dell’imputato) osserva la Corte che con le dedotte censure, il difensore intende surrettiziamente indurre il Collegio ad una “rivisitazione” alternativa delle emergenze istruttorie (con specifico riguardo alla ricostruzione fattuale “alternativa” del nesso di causalità) sulla base di prospettazioni del tutto generiche ed apodittiche, a fronte dell’apparato argomentativo – congruo e perspicuo – della sentenza impugnata. Il ricorrente ha deliberatamente e callidamente inteso enfatizzare (al di là della effettiva rilevanza) il giudizio espresso dai consulenti del P.M. nella parte finale dell’elaborato peritale,peraltro già esaustivamente preso in esame e criticamente confutato da entrambi i giudici di merito. Gli stessi consulenti hanno invero ribadito la pacifica sussistenza delle gravi responsabilità del M. , risultato disattento nel vigilare sulla condotta del convoglio affidata al macchinista apprendista e negligente per aver omesso di rimediare tempestivamente alla mancata azione di adeguata frenatura, imposta dal segnale di avviso del prossimo arresto del treno al deviatoio. Essi tuttavia, nell’intervallo temporale di diciotto secondi in cui si accertò la mancanza di una qualsivoglia azione frenante del convoglio per una lunghezza di circa 370 metri allorché, dopo una prima, lieve decelerazione (resasi necessaria, al pari di quelle precedenti registrate dalla zona tachigrafica del treno merci, per contrastare il superamento della velocità massima stabilita in 80 km/orari, indotta dal tratto in discesa della linea in direzione di (…)) vi fu un aumento della velocità fino a 70 km/orari prima del segnale di protezione del deviatoio che proiettava luce rossa “di via impedita; hanno ritenuto che, in detto spazio temporale “potrebbe essere intervenuta una sia pur temporanea,atipica ed imprevista limitazione di efficienza frenante” a sua volta cagionata o “da una casuale, ma non impossibile presenza anomala sulle superfici di rotolamento o da un imprevisto, ma non impossibile surriscaldamento delle zone a contatto”. Deve rilevarsi che la Corte d’appello, mutuando il proprio giudizio dalle ineccepibili argomentazioni del Giudice di prime cure, ha sottolineato, con considerazioni critiche del tutto conformi a logica oltreché appropriate e coerenti con una valutazione organica delle risultanze, la valenza puramente teorica di una siffatta ipotesi, esplicitata dai consulenti, in difetto di qualsivoglia supporto dimostrativo concreto, a fronte del dato obiettivo (messo in luce dal Tribunale) della mancata evidenza di “presenze anomale sui binari, dopo l’incidente [ovvero] di elementi indiziari in tal senso”. L’illogicità e la sostanziale apoditticità di tale assunto peritale è stata peraltro già adeguatamente confutata dal Tribunale sul rilievo che sarebbe rimasto inspiegabile per quale ragione la fantomatica riduzione dell’efficienza frenante (rectius: assenza) “sostituita” da un’accelerazione si sarebbe verificata al momento in cui l’imputato azionò la frenata rapida e non invece in precedenza, mentre il convoglio aveva percorso altri tratti della linea con la medesima pendenza ed a velocità addirittura superiore. Rileva ancora il Collegio che la Corte distrettuale, con argomenti egualmente convincenti ed immuni da vizi logici, ha inoltre specificamente analizzato e confutato (pag. 19 e segg. della sentenza impugnata) le diverse cause alternative (rectius: concause) o insite nelle condizioni del convoglio o connotanti lo stato dei luoghi e dell’impianto che, nelle prospettazioni difensive, avrebbero reso plausibile il mancato arresto del treno nel tempo e nello spazio utili ad evitare la collisione di guisa che da sole “avrebbero determinato l’evento”, come è detto a pag. 5 del ricorso, come già obiettato con i motivi d’appello. La sentenza impugnata ha quindi escluso l’incidenza causale determinate dell’evento, previa specifica ed approfondita confutazione, dell’effetto “pattinamento”; dell’incidenza della pendenza della tratta della linea interessata dal disastro; dell’usura delle sale del locomotore del treno merci; del peso lordo complessivo del convoglio; della tara effettiva complessiva dei vagoni rimorchiati, esclusi i due con i freni in avaria; delle condizioni atmosferiche connotate da marcata umidità in concomitanza con l’impossibilità di immettere sabbia sulle rotaie a causa del fatto che le sabbiere del locomotore erano vuote; dello stato di criticità della linea a semplice binario nella tratta (omissis) – (omissis) quale ipotizzata causa di probabili incidenti ferroviari.
Per concludere,appare dirimente, in punto alla ribadita sussistenza del nesso di causa, il ragionamento della Corte d’appello secondo cui, in presenza quantomeno di eventuali concause concomitanti o preesistenti, queste, in ragione della teoria della equivalenza delle cause recepita dal vigente codice penale, non avrebbero mai potuto produrre l’effetto di interrompere il nesso di causalità pacificamente risalente alla condotta omissiva, sicuramente colpevole del M. . Ove costui non avesse versato in negligenza ed in disattenzione nel vigilare sulla condotta del macchinista apprendista, sarebbe stato in grado di accorgersi della scarsa efficacia frenante da questi impressa al convoglio; ciò quindi ben prima del trascorrere dei fatidici 18 secondi – indiscutibilmente determinanti per la produzione dell’evento – che comportarono che il treno avanzasse per 370 metri senza alcuna azione frenante unitamente ai 450 metri precedenti al punto d’urto, allorché il M. azionò la frenata “rapida”. La somma totale dei due tratti così percorsi risulta pari a metri 820. Ebbene,ove l’imputato avesse tempestivamente posto in atto la condotta attiva negligentemente omessa, ciò avrebbe consentito l’arresto del convoglio senza danni, prima che in convoglio percorresse interamente il suddetto tratto della linea (giudizio c.d. controfattuale).
Manifestamente prive di pregio appaiono la terza e la quarta censura: entrambe attinenti alla qualificazione giuridica del reato commesso dall’imputato. La Corte d’appello con diffusa e perspicua motivazione (pagg. 9-15 della sentenza impugnata) in sintonia con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ha ribadito la ricorrenza del contestato delitto di disastro ferroviario che deve ritenersi concettualmente integrato da un evento connotato da straordinarietà di effetti, per gravità, complessità ed estensione ed indeterminatezza del pregiudizio a cose e persone,di entità e di diffusività significativamente ampie, ancorché di proporzioni non necessariamente “immani” (Sez. 4 n. 15444 del 2012). Hanno sottolineato i Giudici di seconda istanza che la collisione -avvenuta mentre il treno passeggeri procedeva ad una velocità di 85 km/orari ed il treno merci a quella di 25 km/orari – avrebbe potuto avere conseguenze potenzialmente ben più “devastanti” soprattutto per l’incolumità dei viaggiatori trasportati sull’intercity, novantanove dei quali riportarono comunque lesioni di diversa gravità. Uno di costoro subì l’amputazione del braccio sinistro; mentre altri tre, fratture costali ed agli altri con prognosi di giorni quaranta. Gli altri novantacinque patirono lesioni di diversa gravità con prognosi massima di giorni trenta. I danni alle cose furono di entità rilevante tenuto conto del deragliamento di taluni vagoni del treno passeggeri; della distorsione dei binario e della compromissione dell’armamento della linea nonché dell’abbattimento di alcuni pali di sostegno della linea aerea. I danni quindi, secondo i calcoli dei tecnici ferroviari, ammontarono a complessivi 2.100.000,00 Euro ai quali si aggiunse il pregiudizio derivante dalla interruzione della circolazione ferroviaria tra le stazioni di (omissis) e (omissis) , dal (omissis) relativamente al binario pari e, quanto a quello dispari, nei soli giorni compresi tra il (omissis) . Del tutto logico ed appropriato, in rapporto a siffatte,obiettive risultanze fattuali, risulta pertanto il convincimento raggiunto dalla Corte d’appello a confutazione della tesi – dedotta dal M. con i motivi d’appello e pedissequamente riproposta in questa sede – con la quale l’imputato ha inteso sostenere che i fatti avrebbero dovuto ricondursi al disposto dell’art. 450 cod. pen., invero applicato da questa stessa Sezione, con sentenza n. 40799 del 18 settembre 2008, nel ben meno grave caso della collisione avvenuta all’ingresso della stazione di (omissis) Centrale tra due treni: l’uno passeggeri; l’altro merci che si risolse con “una sorta di schiaffo del locomotore dell’intercity con i vagoni di coda del treno merci” con danni “non rilevantissimi alle cose ed ancor più contenuti, alle persone”, pur essendosi verificato il deragliamento del locomotore del treno investitore; della prima carrozza fuori servizio ed il ribaltamento di tre carri merci.
Il giudizio di manifesta infondatezza va infine esteso anche al quinto ed al sesto motivo: entrambi attinenti al trattamento sanzionatorio. La Corte d’appello, pur procedendo ad una consistente riduzione della pena irrogata in primo grado, ha peraltro ineccepibilmente ribadito (facendo corretta applicazione dei criteri dettati dal’art. 133 cod.pen.) che l’obiettiva gravità del fatto ed il rilevante grado della colpa del M. inducevano ragionevolmente ad escludere di determinare la pena base in misura pari ai minimi edittali stabiliti dall’art. 449, comma 2 cod. pen., in anni DUE di reclusione, versandosi peraltro nell’ipotesi di reato autonomo e non di reato aggravato con la conseguente esclusione di qualsivoglia giudizio di comparazione ex art. 69 cod.pen. delle pur riconosciute attenuanti generiche (Sez. 4 n.15444 del 2012; n.27851 del 2004; Sez. 4 n.36639 del 2012). Del tutto correttamente quindi la Corte d’appello ha proceduto a determinare la pena base in anni QUATTRO e mesi SEI di reclusione, apportandovi la riduzione prevista dall’art. 62-bis cod. pen. e l’aumento di mesi quattro ex art. 81 cod.pen. in relazione al delitto di lesioni colpose plurime, ritenuto il concorso formale, di guisa da pervenire a calcolare in anni TRE e mesi QUATTRO la pena finale cui ha fatto seguito la del pari corretta applicazione, ex art. 29 cod. pen., della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Deve rilevarsi infine che, dichiarata l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza dei motivi, precluso resta il rilievo dell’eventuale prescrizione dei reati in difetto della formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione (S.U. n.32 del 2000 rv.217266). Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente:cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00. In nome del principio della soccombenza, l’imputato va altresì condannato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 a favore di G.G. ed in complessivi Euro 5.000,00 in favore delle altre parti civili costituite, oltre, – per tutti – accessori come per legge e con distrazione a favore dell’avv. Vincenzo Arcangelo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in complessivi Euro 2.500,00 a favore di G.G. ed in complessivi Euro 5.000,00 in favore delle altre parti civili costituite, oltre, per tutti, accessori come per legge e con distrazione a favore dell’avv. Vincenzo Arcangelo.

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