La realizzazione di un provento non è elemento costitutivo del reato previsto dall’art.79 T.U. Stup., essendo sufficiente che il soggetto sia conscio dell’utilizzo del locale nella sua disponibilità quale sede di frequente ritrovo per il consumo di sostanze stupefacenti e si astenga dall’intervenire nella consapevolezza dell’agevolazione che dal suo comportamento omissivo può derivare a tale uso
Suprema Corte di Cassazione
sezione IV penale
sentenza 23 maggio 2017, n. 25573
Ritenuto in fatto
1. Ro. Ma. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste indicata in epigrafe, con la quale è stata riformata limitatamente all’aggravante prevista dall’art.79, comma 3, D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 la pronuncia di condanna del Tribunale di Trieste in relazione al reato di cui agli artt.110, cod. pen., 79, commi 2 e 3, T.U. Stup. commesso in Trieste nel periodo intercorrente tra l’estate e l’inverno 2010.
All’imputato si contestava di avere illecitamente consentito, in qualità di persona che provvedeva a controllare ed a scaglionare gli accessi, che l’abitazione della sua convivente venisse adibita a luogo di convegno di persone dedite all’assunzione di stupefacenti del tipo hashish ed eroina.
2. L’esponente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al combinato disposto degli artt.192, commi 3 e 4, 530 cod.proc.pen. e 70, comma 2, T.U. Stup. L’affermazione di responsabilità si fonda su una valutazione parziale e frammentaria delle dichiarazioni testimoniali; la dichiarazione della teste Bu. ha fotografato un frangente episodico in cui l’imputato si era limitato a contenere l’ingresso di più persone nel piccolo appartamento della compagna al solo fine di preservare la tranquillità di quest’ultima; la dichiarazione della teste Do. non ha dimostrato se non una partecipazione amicale da parte del Ro. a fumate collettive che rientrano in schemi comportamentali penalmente tollerati in quanto all’interno dell’uso personale; le dichiarazioni del teste Gu. non identificano con certezza l’imputato all’interno dell’appartamento ed in ogni caso dimostrano l’estraneità del Ro. all’assunzione ed allo smercio di stupefacenti. Manca la prova che il ricorrente abbia realizzato proventi e manca la prova dell’elemento soggettivo; dalle intercettazioni, dall’esame del Maresciallo Oi. e dall’esito negativo del controllo effettuato sulla sua persona, è emersa l’estraneità dell’imputato sia rispetto all’organizzazione dei convegni sia rispetto alla fornitura degli stupefacenti.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, De., Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Ba., Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Ca., Rv.244181). Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio ed una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi con la dovuta specificità con l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di merito per affermare la sua responsabilità penale.
1.2. Reiterando acriticamente le medesime censure svolte nell’atto di appello, il ricorrente sembra ignorare che la Corte di Appello ha attribuito valore probatorio ad una serie di indizi, segnatamente la stabile convivenza dell’imputato con la proprietaria dell’immobile, la decisione a lui spettante circa chi potesse e chi non potesse entrare nell’appartamento, le minime dimensioni dell’appartamento, la stessa partecipazione dell’imputato alle fumate di qualche «cannone», per desumerne la piena consapevolezza da parte del Ro. In merito alle finalità delittuose di utilizzo dell’appartamento.
1.3. Va ricordato, in linea di principio, che la realizzazione di un provento non è elemento costitutivo del reato previsto dall’art.79 T.U. Stup., essendo sufficiente che il soggetto sia conscio dell’utilizzo del locale nella sua disponibilità quale sede di frequente ritrovo per il consumo di sostanze stupefacenti e si astenga dall’intervenire nella consapevolezza dell’agevolazione che dal suo comportamento omissivo può derivare a tale uso (Sez. 4, n. 25240 del 30/04/2014 Ah., Rv. 25924101).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) della somma di Euro ^ 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Leave a Reply