cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 22 maggio 2015, n. 21537

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia – rel. Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 6592/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 15/07/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Fodaroni Maria Giuseppina che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore di ufficio avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) veniva tratto a giudizio dinanzi al Tribunale di Milano per rispondere, in qualita’ di Direttore della Clinica (OMISSIS) e medico curante di (OMISSIS), del reato di lesioni colpose aggravate in danno della predetta paziente, consistite in grave compromissione infettiva dei tessuti gengivali e ossei dell’arcata superiore (periplantite), per correggere i quali si erano resi necessari due interventi chirurgici (fatto avvenuto in data 23 novembre 2007).

Allo stesso veniva contestato di avere provocato le predette lesioni per avere omesso di effettuare procedure diagnostiche specifiche che avrebbero dovuto prevedere radiografie panoramiche, Dental Scan e scelta preventiva degli impianti con conseguente scelta non corretta degli impianti da impiantare e mancato ripristino delle condizioni ossee adeguate a preparare il terreno favorevole all’intervento protesico.

Il giudice di primo grado, all’esito del dibattimento, affermava la responsabilita’ del sanitario con argomentazioni che possono cosi’ riassumersi:

La persona offesa, affetta da una malattia paradentale che indeboliva progressivamente i tessuti di sostegno dei denti e la portava a perdere numerosi elementi dell’arcata superiore ed inferiore, si rivolgeva al (OMISSIS) a seguito di inserzione pubblicitaria che rappresentava la possibilita’ di superare le difficolta’ di inserimento degli impianti dentali dovute alla mancanza di osso alveolare attraverso il ricorso alla tecnica iuxtaossea;

il prevenuto ometteva, in conformita’ alla contestazione contenuta nel capo d’imputazione, di effettuare le procedure diagnostiche necessarie alla riuscita dell’intervento, ivi comprese una radiografia panoramica aggiornata e un Dentalscan;

non effettuava la terapia parodontale, gengivale ed ossea, necessaria a preparare l’intervento implantoprotesico;

non sceglieva preventivamente la metodologia da seguire, endossea o iuxtaossea;

in conformita’ alle conclusioni dei consulenti tecnici dell’accusa, si affermava l’inadeguatezza del consenso informato per non avere il sanitario adeguatamente rassegnato le informazioni previste dall’articolo 33 codice deontologico;

l’intervento veniva eseguito sull’arcata superiore e non su quella inferiore, contrariamente a quanto era stato richiesto;

la condotta dell’imputato era ulteriormente connotata da imperizia per avere procurato alla paziente la perforazione della fossa nasale nel sito in corrispondenza dell’elemento dentario 11, nonche’ da negligenza ed imprudenza per avere omesso le necessarie informazioni in merito alla condotta da tenere immediatamente dopo l’intervento, data l’indicazione nel foglio contenente le norme di comportamento post trattamento consegnato alla (OMISSIS) di precetti insufficienti e generici, con rappresentazione della necessita’ di non interrompere il trattamento per piu’ di tre mesi, pena la decadenza della responsabilita’ dell’operatore per il lavoro svolto, avente nel caso concreto una rilevanza specifica per aver potuto contribuire a indurre nella persona offesa l’erronea percezione che interruzioni di durata inferiore non rivestissero gravita’ particolare.

La Corte d’Appello di Milano confermava tale impostazione.

In via preliminare disattendeva l’eccezione di violazione del principio di correlazione tra il capo di imputazione e la sentenza, sul rilievo che l’imputato aveva avuto modo di difendersi nel corso del dibattimento anche sui diversi profili di colpa rispetto a quelli originariamente contestati. Disattendeva la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso l’escussione dell’anestesista, che aveva partecipato all’intervento, sul rilievo della inutilita’ di tale audizione in considerazione delle dichiarazioni rese dalla segretaria dell’imputato, che avevano escluso la presenza di altre persone al momento della sottoscrizione del consenso informato da parte della (OMISSIS).

Cio’ premesso, il giudice di appello, confermava la valutazione del primo giudice sulla genericita’ e grossolanita’ delle indicazioni contenute nel documento sottoscritto dalla paziente, che attribuiva al sanitario una sorta di arbitrio nella scelta delle tecniche di intervento, espressione di un totale disinteresse dell’imputato per le scelte della paziente in ordine alla propria salute.

Quanto alla responsabilita’ per la mancata esecuzione della TAC, si affermava l’infondatezza della tesi difensiva secondo la quale non c’era nessun inserimento di impianti a livello osseo, smentita dalle risultanze radiografiche che dimostravano come l’innesto di viti avevano attinto il seno mascellare ed il seno nasale. Il giudice di appello sottolineava altresi’ come l’esito parzialmente infausto dell’evento dimostrasse a chiare lettere che un seria indagine preventiva avrebbe condotto verosimilmente a scelte diverse.

Sulla tesi difensiva volta ad escludere la sussistenza del rapporto di causalita’ tra la condotta dell’imputato e le lesioni lamentate dalla parte offesa, il giudice di appello faceva riferimento al contenuto dell’accertamento tecnico preventivo disposto dal Tribunale civile, acquisito su richiesta dello stesso appellante, dal quale si desumeva che sin da subito si era manifestata nella paziente la conseguenza dell’invasione del pavimento osseo della fossa nasale e non solo del seno mascellare, cui era conseguito un aggravamento della sinusite.

Per confutare la tesi difensiva volta a valorizzare l’abnormita’ della condotta della paziente, la Corte di merito sottolineava come l’interruzione delle cure fosse stata la diretta conseguenza della interruzione del rapporto di fiducia con il medico, ascrivibile esclusivamente alla condotta dello stesso.

Ricorre per cassazione l’imputato.

Con il primo motivo censura la sentenza per la manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento alla sussistenza del nesso causale. Si lamenta che il giudice di appello, pur a fronte del vuoto probatorio su quanto era accaduto tra il 23.11. 2007 (data dell’intervento) ed il 23.1.2008 (data del certificato dell’ASL di Grosseto) aveva ritenuto la sussistenza del nesso causale tra la condotta del (OMISSIS) e le lesioni della paziente, la quale, dimessa dalla clinica con una protesi provvisoria, si sottraeva volontariamente alle cure quando l’intervento era ancora in itinere.

Con il secondo motivo si duole della inosservanza della legge penale in materia di causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento ex articolo 41 c.p., comma 2. Si sostiene che la sentenza non aveva affrontato il tema cruciale della rilevanza causale della condotta post operatoria della (OMISSIS), la quale non si era presentata alla visita di controllo della settimana successiva e per tre mesi aveva mantenuto in un cavo orale gia’ compromesso una protesi provvisoria, cosi’ ponendo in essere una condotta pericolosa, del tutto anomala ed eccezionale.

Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza del delitto di lesioni personali colpose sotto il profilo del difetto di adeguatezza del consenso informato sottoscritto dalla (OMISSIS). Anche in questa sede si sostiene l’adeguatezza del consenso informato a fronte a fronte del contenuto del documento sottoscritto dalla paziente in data 23.11.2007, articolato in cinque fogli, ognuno con specifiche prescrizioni. Si sottolinea, in particolare, il punto in cui si rimarcava che la paziente accettava che nel corso dell’intervento i medici fossero liberi di modificare la metodica implantologica e si impegnava a seguire con diligenza le terapie prescritte. Secondo l’impostazione difensiva, comunque, la violazione dell’obbligo di acquisizione del consenso informato del paziente non costituisce violazione di regola cautelare e dunque la sua inosservanza da parte del medico non potrebbe costituire , nel caso di lesioni, un elemento per affermarne la responsabilita’ a titolo di colpa. Il cambio di tecnica operatoria, peraltro, era giustificato dalla necessita’ di evitare un intervento piu’ grave ed invasivo.

Con il quarto motivo lamenta la manifesta illogicita’ della motivazione in merito alla mancata effettuazione della TAC, necessaria, secondo la Corte di merito, in quanto l’intervento aveva coinvolto il livello dell’osso. Siffatta conclusione non era condivisibile, in conformita’ a quanto osservato dalla consulente della difesa, la quale, oltre ad evidenziare che l’intervento non comportava un inserimento di impianti a livello osseo, aveva sottolineato l’inutile esposizione della paziente a radiazioni pericolose, essendo sufficiente, nel caso in esame, l’esame diretto e visivo dell’osso ottenibile con la tecnica radiografica.

Con il quinto motivo si duole della manifesta illogicita’ della motivazione in merito alla scelta del tipo di intervento effettuato. Si lamenta, in particolare, l’assenza di motivazione sul motivo d’impugnazione afferente l’insussistenza di violazioni di regole cautelari nella condotta del sanitario in relazione all’esecuzione dell’operazione.

A fronte di una situazione clinica della paziente gravemente deteriorata dalla patologia, l’imputato, come del resto sostenuto dai consulenti della parte civile, aveva optato per la scelta corretta di intervenire con l’impianto tradizionale e non con la tecnica iuxta ossea.

Con il sesto motivo deduce la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, con conseguente violazione del diritto di difesa. Si lamenta che i giudici di merito avevano elaborato un profilo di colpa mai contestato, neanche nel corso del dibattimento di primo grado. Si tratta di quello relativo alla inadeguatezza del consenso informato.

Con il settimo motivo si duole della mancata assunzione di una prova decisiva costituita dall’escussione nella qualita’ di teste dell’anestesista il quale aveva praticato l’anestesia alla (OMISSIS), assistendo a tutta la fase preparatoria e preliminare dell’intervento. Sul punto, la Corte di merito aveva illogicamente rigettato la richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

In via preliminare deve darsi atto che il difensore della parte civile e’ comparso ed ha depositato all’odierna udienza nota spese e di precisazione delle conclusioni quando il verbale era stato gia’ chiuso in quanto il procedimento era stato gia’ trattato. Di tali atti, pertanto, non puo’ essere tenuto conto.

Cio’ premesso, il ricorso e’ infondato a fronte di duplici decisioni affermative di responsabilita’, in primo e secondo grado, caratterizzate da adeguata attenzione e satisfattiva motivazione in punto di ricostruzione dei profili di colpa addebitati al dottor (OMISSIS) e del nesso eziologico tra questi e l’evento lesivo riportato dalla paziente.

Le doglianze del ricorrente – che meritano una trattazione congiunta, essendo tutte incentrate sul tema della responsabilita’ – a ben vedere sono tipicamente di merito dove vogliono rappresentare un dissenso circa la ricostruzione del comportamento professionale dell’imputato, assertivamente ritenuto corretto, e circa la pretesa insussistenza di alcun collegamento causale tra l’intervento effettuato e le incontroverse complicanze risoltesi nelle lesioni di cui in imputazione.

Vale osservare del resto, che, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioe’ ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (qui, di condanna), neppure l’eventuale vizio di travisamento potrebbe essere rilevato in sede di legittimita’, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), a meno che non venga rappresentato (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sezione 4, 10 febbraio 2009, Ziello ed altri).

Situazione qui non ricorrente, proprio perche’ le decisioni paiono non solo conformi, ma soprattutto basate sull’apprezzamento degli stessi elementi fattuali, da quali si sono tratte analoghe conclusioni.

Qui in vero, i giudicanti, concordemente, hanno apprezzato, attraverso l’analisi degli elementi probatori anche di natura tecnica i profili di colpa, sia commissiva che omissiva, dell’imputato. Sotto il primo profilo, in particolare, stigmatizzando la scelta improvvisa, effettuata in sede di intervento chirurgico, che aveva portato al di la’ della questione del consenso, di cui si dira’ il chirurgo ad non procedere secondo la tecnica concordato iuxtaossea, bensi’ mediante l’inserimento di impianti dentali, che aveva portato tra l’altro alla perforazione del seno mascellare e dell’a fossa nasale. Tale scelta, fondante all’evidenza un profilo di colpa commissiva, se non accompagnata da una preparazione adeguata, era stata appunto accompagnata da evidenti omissioni professionali. Come evidenziato nella sentenza impugnata, infatti, la scelta sopra indicata non era stata comunque preceduta da un esame diagnostico mirato sul seno mascellare in grado di consentire di accertare lo spessore dell’osso TAC o RMN. Improvvisamente, inoltre, si era ritenuto satisfattivo la generica radiografia eseguita prima di incidere la gengiva, in ipotesi idonea solo in caso di effettuazione dell’intervento originariamente programmato, che non avrebbe portato ad intervenire sull’osso nei termini poi verificatisi. Improvvisamente, ancora, la improvvisa e non preparata scelta alternativa, aveva impedito di eseguire una preventiva preparazione del cavo orale con un adeguato curettage idoneo proprio a prevenire quei fenomeni settici che, invece, si sono verificati.

I giudicanti poi, concordemente, valorizzazione come ulteriore profilo quello della mancanza del consenso informato.

Dall’apprezzamento della colpa i giudicanti hanno fatto discendere con apprezzamento affatto illogico il nesso causale tra il comportamento del sanitario e l’evento lesivo, escludendo comunque che il comportamento della paziente che si era subito risentita dell’esito dell’operazione e non aveva quindi piu’ seguito le indicazioni post-operatorio, omettendo di farsi ancora curare dell’imputato, potesse assurgere a causa esclusiva di dette lesioni.

I giudici di merito hanno fornito adeguata spiegazione, corrispondendo alle regole di giudizio che presiedono all’accertamento della responsabilita’ nella causalita’ omissiva e in quella commissiva: nella prima, come e’ noto, il giudizio controfattuale rilevante ai fini dell’accertamento del nesso di causalita’ va compiuto dando per avvenuta la pretesa condotta impeditiva dell’evento e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l’evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilita’ razionale; invece, nella causalita’ commissiva tale giudizio va effettuato chiedendosi se, ipotizzando non avvenuta la condotta commissiva incriminata, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, in termini di elevata credibilita’ razionale (in termini, tra le altre, Sezione 4, 29 aprile 2009, Cipiccia ed altri; Sezione 4, 1 marzo 2011, Reif ed altri; Sezione 4, 16 giugno 2011, Proc. Rep. Trib. Reggio Calabria ed altro in proc. Luvara’).

Qui risulta spiegata l’erroneita’ della scelta commissiva di “cambiare” le modalita’ dell’intervento, in assenza di adeguata preparazione: evenienza che avrebbe in tutta evidenza evitato gli esiti infausti dell’intervento, siccome quello originario era basato su una tecnica completamente diversa.

E risultano spiegate le omissioni sia diagnostiche che di preparazione che hanno avuto rilievo efficiente, per le stesse ragioni, rispetto all’evento incriminato.

Tipicamente di merito e’ allora la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato sufficiente l’accertamento radiografico, a fronte di una spiegazione alternativa convincente siccome supportate da adeguati riferimenti di natura tecnica, qui non rinnovabili.

Nessun pregio e’ la prospettazione circa l’interruzione del nesso causale che si vorrebbe conseguente alla scelta della paziente di non aver piu’ voluto farsi seguire dal medico.

Giova ricordare, in termini generali, che, ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (articolo 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacche’, allora, la disposizione sarebbe pressoche’ inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di cui all’articolo 41 c.p., comma 1. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma “sufficiente” a determinare l’evento, nel senso che, in tal caso, la condotta dell’agente degrada da causa a mera occasione dell’evento: cio’ che si verifica allorquando ci si trova in presenza di una causa sopravvenuta che, pur ricollegandosi causalmente all’azione o all’omissione dell’agente, si presenta con carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia come un fattore che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. L’apprezzamento sulla natura eccezionale ed imprevedibile del fatto sopravvenuto e’ accertamento devoluto al giudice di merito che deve logicamente motivare il suo convincimento sul punto (tra le tante, Sezione 4, 20 settembre 2012, Montanaro).

E’ in ossequio a tale principio che il comportamento della paziente e’ del tutto irrilevante e certo non e’ idoneo ad assurgere a causa esclusiva dell’evento, giacche’ questo e’ stato motivatamente ricondotto proprio al comportamento del sanitario. La scelta della paziente e’ rispetto a tale comportamento causa dell’evento un post factum privo di rilevanza giuridica, risultando in fatto che la paziente non ha assunto un atteggiamento trascurato durante il decorso post-operatorio, ma anzi si e’ attivata per cercare di trovare aliunde una soluzione a fronte dei danni riportati in conseguenza della scelta operatoria del sanitario e delle modalita’ che l’avevano caratterizzata.

Per corrispondere allo specifico motivo di doglianza, resta solo da chiarire quale significato e spazio operativo abbia, nell’apprezzamento dell’attivita’ medico-chirurgica, il consenso del paziente. E’ tematica che i giudici di merito valorizzano come ulteriore profilo di colpa.

In realta’, la Corte di legittimita’ gia’ si e’ espressa, in materia di responsabilita’ medica, chiarendo che la mancanza o l’invalidita’ del consenso non ha alcuna rilevanza penale (cfr. per utili spunti, Sezioni unite, 18 dicembre 2008, Giulini ed altro, anche se intervenuta sulla questione della possibile rilevanza penale della condotta del sanitario che, in assenza di consenso informato del paziente, sottoponga il paziente stesso ad un determinato trattamento chirurgico nel rispetto delle regole dell’arte e con esito fausto).

La questione, in particolare, assume qui rilievo ai fini dell’apprezzamento della colpa del sanitario. Nel senso che si tratta allora di apprezzare gli effetti penali che dall’eventuale mancato o invalido consenso possono derivare per il medico in caso di esito infausto o comunque dannoso del proprio intervento. E’ il tema di fondamentale rilievo della valutazione del contenuto della “colpa”.

E’ da ritenere v. in tal senso anche Sezione 4, 24 giugno 2008 parte civile (OMISSIS) ed altro in proc. (OMISSIS), che la valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta vuoi omissiva, vuoi commissiva dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attivita’ sia stata prestata con o in assenza di consenso.

Cosicche’, per intenderci, il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente. Con la importante precisazione che non e’ di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perche’ l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza: infatti, l’acquisizione del consenso non e’ preordinata in linea generale ad evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), ma a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale (articolo 32, comma 2).

In realta’, come precisato dalla citata sentenza resa nel procedimento imp. (OMISSIS), in un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento della colpa: allorquando, la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l’impossibilita’ per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un’anamnesi completa (cio’ che potrebbe verificarsi, esemplificando, in caso di mancata conoscenza di un’allergia ad un determinato trattamento farmacologico o in quello di mancata conoscenza di altre specifiche situazioni del paziente che la sollecitazione al consenso avrebbe portato alla attenzione del medico). In questa evenienza, il mancato consenso rileva non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all’acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico (v., per utili riferimenti, Sezione 4, 14 novembre 2007, Pozzi, dove si afferma che il medico ha l’obbligo di assumere – dal paziente o, se cio’ non e’ possibile, da altre fonti informative affidabili – tutte le informazioni necessarie al fine di garantire la correttezza del trattamento medico chirurgico praticato al paziente).

Ebbene, e’ proprio questa la situazione verificatasi nel caso di specie, che giustifica la valorizzazione del tema del consenso rectius della mancanza del consenso come ulteriore profilo di colpa.

La mancanza del consenso in tutta evidenza ha impedito non solo e non tanto alla paziente di accedere all’intervento, ma soprattutto qui decisivamente ha fatto si’ che il medico si sentisse legittimato a prescegliere una metodica alternativa di intervento che chiaramente gli ha impedito di apprezzare le problematiche ossee della paziente, con effetti di rilievo decisivo ai fini dell’occorso.

Inaccoglibile e’ la doglianza sulla pretesa violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Basta ricordare in proposito che, in tema di correlazione tra contestazione e sentenza di condanna, va evidenziato che la contestazione del fatto non deve essere ricercata soltanto nel capo di imputazione, ma deve essere vista con riferimento ad ogni altra integrazione dell’addebito che venga fatta nel corso del giudizio e sulla quale l’imputato sia stato posto in grado di opporre le proprie deduzioni (Sezione 4, 5 novembre 2009, Cacioppo ed altro). Cio’ che qui e’ stato senz’altro fatto, giacche’ il tema del consenso e’ stato fatto oggetto di ampio contraddittorio e su di esso la difesa bene ha potuto interloquire.

Del resto, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa (se si fa, in altri termini, riferimento alla colpa generica), essendo quindi consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa. Analogamente, non sussiste la violazione dell’anzidetto principio anche qualora, nel capo di imputazione, siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa ed il giudice abbia affermato la responsabilita’ dell’imputato per un’ipotesi di colpa diversa da quella specifica contestata, ma rientrante nella colpa generica, giacche’ il riferimento alla colpa generica, anche se seguito dall’indicazione di un determinato e specifico profilo di colpa, pone in risalto che la contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata, sicche’ questi e’ in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione del fatto di cui e’ chiamato a rispondere, indipendentemente dalla specifica norma che si assume violata (Sezione 4, 4 dicembre 2014, Paolini).

Parimenti inaccoglibile e’ la doglianza con cui si assume il vizio di mancata assunzione di prova decisiva con riferimento all’assunzione di prova testimoniale dell’anestesista sul tema del consenso informato: testimonianza ritenuta superflua gia’ in primo grado e che invece si prospetta come decisiva perche’ avrebbe potuto “essere molto utile al fine di dipanare ogni dubbio in merito alla consapevolezza della signora (OMISSIS) in merito al contenuto del consenso informato e delle possibili varianti al tipo di operazione da svolgere”.

In vero, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva rileva solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti “decisiva”, cioe’ tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa decisione (Sezione 4, 8 maggio 2007, Matteucci).

In questa prospettiva, il diritto della parte a vedersi ammettere una prova contrastante con l’accusa, la cui mancata assunzione e’ denunciabile in sede di legittimita’, va rapportato, per verificarne il fondamento, alla motivazione della sentenza impugnata ed in tale quadro viene ad essere priva di fondamento la censura che denunzi il rigetto, sul punto, dell’istanza difensiva, allorquando tale rigetto risulti sorretto da argomentazioni logiche, idonee a dimostrare che la controprova dedotta dalla parte non avrebbe potuto modificare il peso delle prove dell’accusa (Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito ed altro).

Ebbene, in ossequio a questi principio, discende il rigetto del motivo, risultando ampiamente motivato dalla corte di merito la ragione per cui la deposizione non avrebbe portato alcunche’ di utile, per essere stato dimostrata la assenza dell’anestesista al momento della sottoscrizione del consenso si richiama sul punto altra dichiarazione testimoniale.

Per l’effetto, la Corte di merito ha legittimamente rigettato la rinnovazione sul punto dell’istruttoria dibattimentale, in ossequio al principio pacifico secondo cui la rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all’abbandono del principio di oralita’ nel secondo grado, ove vige la presunzione che l’indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento gia’ svoltosi in primo grado, onde la rinnovazione ex articolo 603 c.p.p., comma 1, e’ subordinata alla condizione che il giudice ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Tale condizione, legittimante (rectius, imponente) la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, si verifica quando i dati probatori gia’ acquisiti siano incerti nonche’ quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisivita’ ovvero sia di per se’ oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sezione 4, 22 novembre 2007, Proc. gen. App. Genova ed altri in proc. Orlando ed altri). Cio’ che qui e’ stato escluso, motivatamente.

Al rigetto del ricorso consegue ex articolo 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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