aggressione cane

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 22 luglio 2013, n. 31334

Motivi della decisione

1. Il Giudice di pace di Taggia ha assolto l’imputato in epigrafe dal reato di cui all’art. 590 cod. pen. in danno di C.A. perché il fatto non costituisce reato. La sentenza è stata riformata dal Tribunale di Sanremo che ha affermato la responsabilità agli effetti civili ed ha pronunziato condanna al risarcimento del danno.
2. Ricorre per cassazione il condannato deducendo diversi motivi.
2.1. Con il primo motivo si espone che il risarcimento del danno è prescritto, avendo la costituzione di parte civile avuto luogo in data 28 settembre 2010 per fatti del 10 agosto 2005. Nel caso di specie non trova applicazione l’art. 2947 cod. civ., non potendo la sentenza penale, anche se di assoluzione, far rivivere un diritto già estinto in epoca anteriore.
2.2. Con il secondo motivo si espone che la responsabilità per danno da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha carattere oggettivo e prescinde dall’accertamento della colpa. Il Tribunale ha omesso di considerare l’effetto interruttivo del nesso causale dovuto al fatto fortuito costituito dalla condotta della vittima. Il giudice ha pure omesso di tener conto del fatto che, le lesioni non sono state cagionate dal cane ma dalla condotta della vittima stessa che ha tirato il guinzaglio: tale comportamento interrompe il nesso causale.
2.3. Con il terzo motivo si assume che irragionevolmente si è ritenuto l’obbligo di stretto controllo del cane all’interno di una serra non destinata alla vendita, con la porta di ingresso aperta e con esposto, un cartello con l’invito a prestare attenzione al cane. Inoltre non vi è prova che l’evento si sia verificato all’interno della serra e non all’esterno.
3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto alla prima questione è sufficiente rammentare la costante condivisa giurisprudenza di questa Suprema corte: l’azione civile esercitata nel processo penale soggiace alle regole proprie della prescrizione penale (da ultimo, tra le tante, Cass. V, 26 febbraio 2013, rv. 254643). E’ dunque inconferente la deduzione difensiva riferita ai termini civilistici.
3.2. Pure radicalmente inconferente è l’evocazione della disciplina civilistica.

L’azione civile nel processo penale riguarda il danno da reato ai sensi dell’art. 185 cod. pen.; sicché oggetto di accertamento è l’esistenza dell’illecito penale alla stregua dei principi che regolano quell’ordinamento.
3. Quanto al merito, la pronunzia reca una approfondita, coerente ricostruzione della vicenda e perviene all’argomentata conclusione che le lesioni siano state cagionate dall’omessa custodia dell’animale. E’ del tutto irrilevante che il danno sia derivato o meno dalla diretta azione lesiva dell’animale.

Decisivo è invece il ruolo condizionalistico della condotta trascurata dell’imputato: una custodia diligente avrebbe evitato che la danneggiata dovesse porre in essere l’azione di trattenuta dell’animale che le ha cagionato le lesioni. L’apprezzamento del giudice è dunque immune da vizi logici e giuridici. Il ricorrente, d’altra porte, tenta di sollecitare impropriamente questa Corte di legittimità alla riconsiderazione del merito.
Il gravame è quindi inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni, di esonero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.

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