SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 13 luglio 2012, n. 28388

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Monza dichiarava D.B.R. colpevole del reato previsto dall’art. 186 C.d.S., comma 2, condannandolo alla pena ritenuta equa.

La prova della responsabilità dell’imputato veniva tratta dalle risultanze dell’alcoltest, le cui misurazioni venivano ritenute non compromesse dall’assunzione di farmaci alla quale il D.B. era costretto da una patologia cronica. Al riguardo, il Tribunale osservava che dalla deposizione del teste della difesa, soggetto qualificato, risultava smentita senza residui di ragionevole dubbio scientifico l’ipotesi che il D.B. presentasse al momento delle rilevazioni del tasso alcolimetrico una inconsapevole alterazione del metabolismo conseguente all’assunzione di farmaci.

2. Avvero tale decisione proponeva appello l’imputato. La Corte di appello di Milano, con ordinanza del 3.2.2012, dichiarava l’inammissibilità dell’atto di gravame per aspecificità, ritenendo che lo stesso riproponesse gli argomenti difensivi già utilizzati in primo grado, reiterati senza tener conto della motivazione dell’atto impugnato.

3. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, avvocato Amedeo (Migra, il quale contesta il giudizio della Corte di appello rappresentando che la valutazione del giudice di primo grado relativa alla decisività della deposizione del teste F. era stata contestata nell’atto di impugnazione con il rilievo del carente valore scientifico della stessa e che ciò dava specificità al conseguente motivo di gravame. Contesta, ancora, che il giudice di prime cure aveva ritenuto superflua l’audizione dei testi della difesa; di ciò il ricorrente si era doluto con l’appello.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato.

Le doglianze del ricorrente impongono di correlare il contenuto esplicativo dell’ordinanza impugnata al contenuto dell’atto di appello. Infatti, l’obbligo di motivazione della decisione d’appello risulta segnato dalla qualità e dalla consistenza delle censure rivolte dall’appellante; di tal che è necessario per questo Collegio procedere all’esame diretto dell’atto d’appello.

Orbene, le censure mosse alla sentenza di primo grado investivano la decisiva considerazione avuta dal giudice di prime cure della deposizione del teste della difesa (tale F.), ancorchè lo stesso si fosse detto non esperto di alcoltest; la mancata audizione degli altri testi della difesa; la mancata considerazione dei documenti prodotti e relativi alla inaffidabilità dell’etilometro.

In tal modo si operava una critica argomentata alla sentenza impugnata, della quale si censurava la focalizzazione su un elemento la cui decisività era posta in dubbio dai contenuti stessi della deposizione del teste qualificato, mentre altri dati disponibili, ma non ammessi dal giudice di prime cure, avrebbero potuto concorrere a dare dimostrazione della necessità di approfondire l’indagine sulla attendibilità delle misurazioni strumentali.

Invero, se gli esiti dei test alcometrici possono in generale essere valutati positivamente dal decidente, ciò non implica la strutturazione di una prova legale al riguardo; rimane fermo l’obbligo del giudice di valutare ogni circostanza pertinente e rilevante. E’ principio statuito da questa Corte che allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non essendo sufficiente che ci si limiti a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro (Cass. Sez. 4, n. 42084 del 4.10.2011, Salamone, rv. 251117).

Nel caso di specie l’atto di appello si compendia nella denuncia della indebita contrazione del diritto alla prova, avendo il primo giudice immotivatamente escluso le ulteriori prove richieste dall’imputato, afferenti l’eventuale formazione di una letteratura tecnica in ordine ai limiti della strumentazione tecnica, l’esistenza di una patologia cronica dell’imputato in grado di incidere sui risultati del test, l’assenza di assunzioni di alcolici nell’arco temporale interessante il giudizio. Orbene, in tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto riguardo alle peculiarità di quest’ultimo (Cass. Sez. 4, n. 48469 del 7.12.2011, El Katib ed altro, rv. 251934).

La Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tale principio, rinvenendo la aspeciflcità dell’impugnazione nonostante questo indichi, sia pure in modo essenziale, le ragioni per cui si ritiene errata la valutazione che il giudice ha compiuto delle prove legittimamente acquisite nel dibattimento, in tal modo facendo sorgere il diritto ad una risposta della Corte d’Appello.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, l’impugnato provvedimento deve pertanto essere annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Corte d’appello di L’Aquila per il giudizio di secondo grado.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano per giudizio di appello.

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