Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 10 luglio 2015, n. 29798
Ritenuto in fatto
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concessa l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., riduceva la pena inflitta a M.D. e M.P., ritenuti responsabili in ordine al reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno dei lavoratore D.V.M.C., dipendente della ditta alla quale erano stati subappaltale opere di controsoffittatura in un grande cantiere edile, in cui la ditta appaltatrice era la EDILGUDO srl, della quale gli odierni ricorrenti erano, rispettivamente, il legale rappresentante ed il coordinatore alla sicurezza in fase di esecuzione, dipendente della stessa società (fatto del 24 aprile 2008).
Secondo la ricostruzione dei fatti, il corpo del D.V. era stato trovato supino nel fondo di una bocca di lupo di mt 5,60 di profondità, coperta da assi di legno non fissate, ma solamente appoggiate da un lato sul cemento armato e dall’altro su delle traverse e la causa dell’incidente veniva, pertanto, ravvisata nel ribaltamento delle tavole all’atto dei passaggio del lavoratore.
La colpa specifica del M. veniva fondata su plurime violazioni del d.P.R. 164/56, legate ai pericoli di caduta dall’alto, e soprattutto dell’art. 7 del d. Lgs 626 del 1994, sul rilievo che lo stesso era venuto meno all’obbligo di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata, e che la posizione di garanzia non poteva ritenersi esclusa, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, dalla presenza di un capo cantiere in mancanza di una specifica delega scritta e di un potere di spesa, oltre che degli altri requisiti normativamente previsti.
Con riferimento alla posizione del M., la Corte di merito affermava in premessa che l’alta vigilanza demandata al coordinatore, imponeva allo stesso l’obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori.
La colpa specifica dei M. veniva, quindi, individuata nella violazione dell’art. 5 del d. Lgs 626 del 1994, che gli imponeva il controllo tempestivo della conformità alle norme di sicurezza delle strutture provvisorie di volta in volta realizzate nel cantiere, con il conseguente obbligo di sospendere il passaggio, in caso di accertata difformità.
Il passaggio delle maestranze sulla bocca di lupo, dopo la rimozione del grigliato, per raggiungere gli spogliatoi attraverso l’unica via di transito esistente, tramite la realizzazione di un ponte provvisorio, realizzato con un assito; non soltanto era prevedibile ma doveva essere realizzato dal coordinatore alla sicurezza in fase di esecuzione, in relazione a quello specifico arco di tempo.
Né valeva ad escludere la responsabilità dell’imputato la mera segnalazione dei dispositivi di sicurezza, compiuta, peraltro, con riferimento ad altre situazioni.
Nella determinazione dei trattamento sanzionatorio (un anno per il M. e due anni per il M.) il giudicante teneva conto, oltre della gravità del fatto, anche della situazione complessiva del cantiere e dell’approccio degli imputati alla materia della prevenzione antinfortunistica, caratterizzato da macroscopiche negligenze, evidente approssimazione ed anche da maldestri tentativi di aggiustamento a posteriori della vicenda.
Propongono ricorso per cassazione gli imputati.
I ricorsi vengono sotto sintetizzati, nei limiti imposti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p.. M.D. articola tre motivi.
Con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 7 d. Lgs 494/96 sul rilievo che l’attività di cooperazione e di coordinamento non doveva essere svolta dal personale dell’impresa appaltatrice. Nel caso in esame l’infortunio si era verificato a seguito di un errore di installazione di una misura di protezione, la cui predisposizione spettava all’impresa appaltatrice senza necessità di svolgere attività di cooperazione, non sussistendo per quella specifica situazione alcun rischio da interferenza.
Con lo stesso motivo si duole della carenza di motivazione derivante da una non corretta lettura degli artt. 1 e 3 dei d.Lgs. 164/1956. Si sostiene che in sede di appello non era stata posta la questione della validità della delega al capocantiere, mai conferita, ma quella dell’autonoma posizione di garanzia dallo stesso rivestita, al quale era stata affidata la gestione dei rischio nel cantiere. Nella stessa prospettiva si evidenzia che la Corte di merito aveva tralasciato di considerare che il M. aveva assunto la qualifica di legale rappresentante della società solo nel maggio 2007 quando il cantiere aveva un proprio sistema di organizzazione e di sicurezza e tale ingresso in società era coinciso con una fase di sistemazione generale del cantiere nell’ambito della quale era stato nominato il nuovo capocantiere.
Nessuna violazione di regola cautelare era addebitabile all’imputato, giacchè la società di cui era legale rappresentante aveva messo a disposizione il proprio materiale di natura antinfortunistica e l’infortunio si era verificato a causa di un errato montaggio dell’impalcato, realizzato il giorno prima dell’infortunio, e non per l’assenza di materiale idoneo nel cantiere.
Con il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della sentenza sul giudizio di prevedibilità, sostenendo che non era riconoscibile da parte dell’imputato la situazione di pericolo nel cantiere. Dagli atti emergeva, infatti, che erano stati messi a disposizione tutti ì mezzi prevenzionali per evitare la caduta dall’alto, ivi comprese le assi idonee a coprire il buco, ma erano state erroneamente installate solo il giorno prima dell’infortunio; nessuna segnalazione era stata ricevuta dal M. sulla carenza dei mezzi di prevenzione.
Con il terzo motivo lamenta l’eccessiva entità della pena deducendo la carenza di motivazione sulla specifica doglianza attinente il significativo scostamento del minimo edittale.
M.P. articola tre motivi.
Con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 5 del d.lgs 494/96, avendo i giudici di merito attribuito al coordinatore compiti di controllo quotidiano su ciascuna fase di lavorazione, non previsti dalla norma.
In questo senso si sottolinea come inadeguato il passaggio motivazionale in cui la Corte di merito ha affermato che il coordinatore, pur non essendo tenuto a verificare ora per ora il rispetto delle condizioni di sicurezza, deve controllare la conformità alle norme di sicurezza delle strutture provvisorie di volta in volta realizzate nel cantiere, così tralasciando di considerare i diversi sopralluoghi nel cantiere effettuati dall’imputato al fine di eseguire i controlli circa l’osservanza delle misure contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, nell’adempimento dell’attività di alta vigilanza allo stesso demandata.
La Corte di merito aveva altresì eluso il tema che la bocca di lupo era stata erroneamente ricoperta solo nel tardo pomeriggio del giorno precedente l’infortunio. Si prospetta che il richiamato art. 5 non prevede in capo al coordinatore per la sicurezza uno specifico obbligo di tempestivo controllo e che illogicamente la sentenza non aveva dato conto dei motivi per cui era stata ritenuta insufficiente la prescrizione impartita all’esito del sopralluogo del 18 aprile 2008, in cui era stato prescritto al capocantiere di mantenere efficienti tutte le opere provvisionali già presenti in cantiere, ripristinando quelle momentaneamente manomesse.
Con il secondo motivo lamenta che la Corte di merito, nel formulare il giudizio sulla prevedibilità dell’evento, non aveva tenuto conto che:il rischio di caduta dall’alto era stato previsto e gestito nella documentazione di sicurezza ed era stato oggetto di verifica nel corso dei sopralluoghi; l’avvenuta installazione non corretta delle assi non poteva rientrare nella sfera di conoscibilità del coordinatore; neppure la presenza della ditta per cui lavorava la vittima era concretamente prevedibile da parte dell’imputato in quella fase delle lavorazioni.
Con il terzo motivo lamenta l’eccessiva entità della pena deducendo la carenza di motivazione sulla specifica doglianza attinente il significativo scostamento dei minimo edittale.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati giacchè la sentenza è in linea con l’apposita disciplina sulla prevenzione dei rischi risultanti dall’eventuale presenza, simultanea o successiva, di varie imprese o lavoratori autonomi nel medesimo contesto spaziale, dettata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della direttiva 92/57/CEE, concernente prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), applicabile ratione temporis al caso in esame, ed attualmente regolata dagli artt. 88 e segg del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Quanto alla posizione del M., legale rappresentante della ditta appaltatrice, il fulcro della tesi difensiva è nell’erronea applicazione dell’art. 7 d. Lgs 494/96: l’attività di cooperazione e di coordinamento non doveva essere svolta dal personale dell’impresa appaltatrice, non sussistendo nel caso specifico alcun rischio da interferenza in quanto l’installazione della misura di prevenzione, regolarmente fornita dall’impresa appaltante, spettava all’impresa appaltatrice.
La tesi difensiva tralascia, innanzitutto, di considerare alcune circostanze in fatto emergenti dalle sentenze di merito, secondo la quale il cantiere era governato direttamente dalla Edilgudo attraverso il proprio personale (basti pensare che anche il coordinatore per l’esecuzione era dipendente della predetta società) e che i ponteggi e le opere provvisionali all’interno del predetto cantiere erano riconducibili alla predetta società. Dalla sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata, emerge che le strutture di protezione delle bocche di lupo erano state rimosse ben prima che iniziassero i lavori di posa dei grigliati ed in assenza di qualsiasi pianificazione tra i diversi lavori.
E proprio la carenza strutturale dei ponteggi, da cui era derivata l’inadeguata protezione della bocca di lupo in cui è caduto il lavoratore, è stata posta alla base dell’addebito a carico del M..
La ricostruzione operata in sentenza, con l’individuazione dell’addebito colposo riconducibile al M. e della rilevanza causale di detto addebito rispetto alla verificazione dell’evento mortale, non offre spazi per potere qui recepire l’assunto difensivo che esclude l’applicazione al caso in esame dell’art. 7 della legge 626/94.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., tra le altre, Sezione III, 24 ottobre 2013, Gerna , rv. 258299, e prima ancora, Sezione IV, 15 dicembre 2005, n. 5977, Chimenti, rv. 233245), infatti, in caso di subappalto dei lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall’appaltatore, in esso inserendosi anche l’attività dei subappaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, e non venendo meno l’ingerenza dell’appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto meno anche) a lui dell’organizzazione del (comune) cantiere (non cessando egli di essere investito dei poteri direttivi generali inerenti alla propria predetta qualità), sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo.
Solo ai fini di completezza espositiva, va ricordato che una esclusione di responsabilità dell’appaltatore è configurabile, invece, solo nel caso in cui al subappaltatore sia affidato lo svolgimento di lavori, ancorchè determinati e circoscritti, che, però, svolga in piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto ;all’appaltatore, non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere (v. la citata sentenza Chimenti, rv. 233246)
Si tratta, come si vede, di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l’intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente “estensione” dei soggetti onerati della relativa “posizione di garanzia” nella materia prevenzionale allorquando l’omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento.
Anche gli altri motivi sono infondati.
Non può qui farsi genericamente valere la presenza di altri titolari della posizione di garanzia (nella specie, il capocantiere, anch’egli titolare di una posizione di garanzia nei confronti della vittima), escludendo il ruolo colpevole e causalmente efficiente dell’imputato, perché la compresenza di più titolari della posizione di garanzia non è evenienza che esclude, per ciascuno, il contributo causale nella condotta incriminata.
L’asserita esclusione di responsabilità dell’imputato, fondata sulla presenza del capocantiere e sull’autonoma posizione di garanzia dallo stesso rivestita, non tiene adeguatamente conto dei principio consolidato secondo il quale in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (v. Sezione IV, 9 febbraio 2012, Pezzo, rv. 253850).
Non è neanche utilmente invocabile nel caso in esame il, principio di affidamento, in forza del quale il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla , condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.
Come costantemente affermato da questa Corte (v. da ultimo, Sezione IV, 24 gennaio 2012, n. 14413, Cova ed altri, rv. 253300), il principio di affidamento non è invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, “garantito” dal rispetto della normativa antinfortunistica).
Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l’altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull’inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio. In altri termini, non può invocarsi legittimamente l’affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione: laddove, infatti, anche per l’omissione del successore, si produca l’evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l’evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l’evento (ai fini e per gli effetti di quanto disposto, in tema di “interruzione dei nesso causale”, dall’art. 41 c.p., comma 2).
In questa prospettiva ermeneutica, è evidente che il M., nella qualità di appaltatore, non può utilmente invocare il principio dell’affidamento, per versare egli stesso in una situazione di “colpa”, sostanziatasi nell’avere trascurato di esercitare l’attività di coordinamento tra le imprese prevista dal citato art. 7.
Infondata è anche la censura sull’affermata riconoscibilità della situazione di pericolo da parte del prevenuto e, pertanto, sulla prevedibilità dell’evento.
A prescindere dalla considerazione che la deduzione difensiva sull’epoca di copertura della bocca di lupo, implica una valutazione in fatto non consentita in questa sede, va sottolineato, inoltre, che dalla sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata, emerge un dato che appare in contrasto con tale ricostruzione del fatto, e cioè che le strutture di protezione delle bocche di lupo erano state rimosse ben prima che iniziassero i lavori di posa dei grigliati ed in assenza di qualsiasi pianificazione tra i diversi lavori.
Va poi rilevato che in tema di sicurezza dei lavoro, vi’ è un aspetto particolare sulla prevedibilità- applicato poi anche alla materia della protezione civile- che è quello che impone all’imprenditore di effettuare una valutazione dei rischi – e quindi di prevederli: la colpa dell’imprenditore va, pertanto, ravvisata anche se un’adeguata valutazione dei rischi avrebbe rivelato la situazione di pericolo.
L’art. 96, comma 2, digs 81/2008 ha codificato tale principio laddove stabilisce che l’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese dei piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 100, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all’art. 17, comma 1, lettera a), all’art. 26, comma i 1, lettera b), 2,3.5 ed all’art. 29, comma 3.
Il datore di lavoro è infatti tenuto a prevedere i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori (v. art. 17 del decreto legislativo n. 81 del 2008, da cui emerge che la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, con la conseguente elaborazione del documento, previsto dall’articolo 28 dello stesso decreto, non è delegabile)
La conseguenza di questa disciplina è che le inosservanze di queste norme cautelavi (omissione delle attività di previsione e prevenzione) costituiscono violazione di regole cautelavi normativamente previste e quindi ipotesi di colpa specifica.
E’ in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa del M. nella omessa adozione delle misure antinfortunistiche quale conseguenza del rilevato omesso coordinamento.
Tale situazione è compiutamente descritta soprattutto nella sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata, laddove sottolinea, anche alla luce della documentazione fotografica in atti, macroscopiche ed evidentissime carenze sul piano della sicurezza e la ripetuta presenza nel tempo di lavoratori non in regola e privi di qualsiasi qualificazione per operare sui ponteggi.
Non può accogliersi neppure la doglianza relativa al trattamento dosimetrico.
E’ sufficiente ricordare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133 c.p. è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. L’applicazione di tali principi non consente l’accoglimento della doglianza, avendo il giudice motivato, nel rispetto dei parametri di cui all’articolo 133 c.p.,valorizzando la gravità del fatto e negativamente anche la situazione complessiva del cantiere e l’approccio degli imputati alla materia della prevenzione antinfortunistica, caratterizzato da macroscopiche negligenze, evidente approssimazione ed anche maldestri tentativi di aggiustamento a posteriori della vicenda.
Infondato è anche il ricorso proposto dal M..
L’ addebito contestato ed accertato a carico dello stesso è di non aver verificato l’adeguatezza ed il rispetto dei piano di sicurezza e coordinamento (PSC), che contiene l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi e di non aver adeguato il predetto piano in relazione all’evoluzione dei lavori, omettendo di vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni.
In questa prospettiva i giudici di merito hanno sottolineato che la situazione del cantiere evidenziava macroscopiche carenze sul piano della sicurezza e che tale situazione, come emerge in particolare dalla sentenza di primo grado, permaneva almeno da quando nel mese di marzo erano stati montati i ponteggi e che la copertura della bocca di lupo in cui era caduto il D.V. aveva presentato sempre condizioni di intrinseca pericolosità, in quanto non realizzata con tavole adeguatamente fissate ed era priva di parapetto.
Ciò soprattutto tenuto conto che le assi non servivano solamente per coprire la bocca di lupo ma anche per il transito delle maestranze che dovevano recarsi nelle cantine utilizzate come spogliatoi.
Il ricorrente contesta l’asserita riconducibilità delle violazioni contestate alla sua responsabilità, con la conseguente esclusione del nesso di causalità.
Tale impostazione difensiva non è condivisibile.
La figura professionale del coordinatore per l’esecuzione, per la prima volta organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva 92/51 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita dall’ art. 2, del d.Lvo 494/1996, come “”soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 5” (tale definizione è ora contenuta nell’art. 89 d.lgs 81/2008, che lo definisce “coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell’opera”).
In base all’originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l’obbligo di “assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro” (lett. a) e quello di “adeguare i piani di cui agli articoli 12 e 13 in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute” (lett. b).
I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal d.Lvo 19 novembre 1999, n. 528, applicabile ratfone temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell’art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori i compiti di “verificare” (e non più “assicurare”) l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 (lett. a) e quello di “adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute”.
Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo 1999/528 (ora sostituito dall’art.92 d.Lvo 9 aprile 2008, n. 81)
Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione dei lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di verificare sia l’applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza e coordinamento che l’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS), che, con finalità complementare di dettaglio del PSC, deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; di organizzare la cooperazione e il coordinamento delle attività; di segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze, proponendo la sospensione dei lavori o arrivando finanche ad esercitare personalmente il potere/dovere di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni (articolo 92 cit.).
In altre parole, va detto che le funzioni dei coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni dei piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell’incolumità dei lavoratori (v. in tal senso Sezione IV, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177).
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, si tratta di figure le cui posizioni di garanzia non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza sul lavoro, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori.
Con la doverosa puntualizzazione che tali soggetti, a differenza del RSPP, hanno una posizione di garanzia diretta, giacchè è prevista una diretta responsabilità penale per il caso di inosservanza dei loro obblighi (cfr. articolo 158 del decreto legislativo n. 81).
Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere dei coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo n. dei 1999 (ora art. 92 dei citato d.lvo 81/2008), che comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed imminente.
Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti lo stato del cantiere in generale e le condizioni in cui si trovava la bocca di lupo in cui è precipitato il D.V., non consentono dubbi sulla palese violazione degli obblighi sopra indicati da parte dell’imputato, che, per sua stessa ammissione ha sostenuto in dibattimento di non essere nemmeno a conoscenza della presenza del D.V. e dell’impresa dal quale lo stesso dipendeva, così palesandosi inequivocabilmente l’intrinseca pericolosità dell’attività in corso e la commistione di soggetti non meglio individuati all’interno del cantiere.
Il ricorrente introduce, come nel ricorso trattato in precedenza, profili di merito, afferenti l’epoca in cui venne realizzata la copertura della bocca di lupo, che non possono trovare accoglimento, per quanto sopra esposto con riferimento ad analogo motivo proposto dal coimputato.
Anche sulla censura afferente il trattamento dosimetri valgono le spesse considerazioni sviluppate con riferimento all’altro ricorso.
Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
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